venerdì 31 dicembre 2010

Il Vaticano e la catarsi degli scandali

Il Vaticano onora gli impegni presi con l'Unione Europea ed emana la nuova disciplina sulla trasparenza finanziaria. Con un Motu Proprio (l'equivalente di un decreto) il Papa ha istituito un'autorità indipendente che dovrà vigilare sui flussi di denaro, raccogliere denunce e far rispettare gli standard internazionali, ha imposto a tutti i dipendenti degli uffici il controllo sull'attività che si svolge e li ha liberati dal dovere di segreto in caso di irregolarità (si è parlato di Sant'Uffizio finanziario). Il tutto dovrebbe permettere l'ingresso nella white list dei paesi trasparenti.
Dopo la stretta sulla pedofilia, questo è il secondo caso in cui lo scoppio di uno scandalo ha portato ad una revisione in positivo delle farraginose legislazioni ecclesiastiche: se la magistratura italiana non avesse indagato il banchiere dello Ior Gotti Tedeschi, probabilmente tutto sarebbe rimasto nel grigiore della semi-illegalità.
Non può essere che contento chi ha sempre sostenuto che gli scandali dovrebbero essere percepiti come un motivo di riforma della Chiesa e non come degli attacchi al cattolicesimo: la chiusura a riccio e la difesa dello status quo, in queste situazioni, sono motivo di discredito, più che una strategia difensiva.
Non si può ignorare che il pontificato di Ratzinger, cominciato sotto i peggiori auspici, in questo senso sia migliore di quello del suo predecessore. Ragione di ciò è proprio la maggiore debolezza di Benedetto XVI, pontefice poco carismatico, caduto nella trappola della riconciliazione coi Lefebvriani (si ricordi il caso di Williamson), poi nella gaffe di Ratisbona (non voluta, ma è ciò che appare a valere), infine messo sotto accusa per quella che è sembrata una politica di involuzione rispetto ai canoni del Concilio. La scarsa capacità mediatica, infatti, ha permesso agli scandali prima nascosti di esplodere e di avviare un processo catartico senza precedenti.
Quando alla fine solo gli atei devoti e pochi fanatici papisti erano rimasti a negare la pedofilia dilagante, la Curia aveva già cambiato rotta, ammettendo le colpe e cominciando a prendere provvedimenti. E col caso Ior di nuovo, mentre la politica italiana cattolica (o presunta tale) faceva scudo a Gotti Tedeschi, si è adempiuto alle promesse fatte all'Europa sulla trasparenza finanziaria.
Il risultato in termini di immagine sarà senza dubbio rilevante, se in via applicativa si rispetteranno alla lettera le disposizioni: gran parte delle accuse solitamente rivolte alla Chiesa cadranno o dovranno essere ridimensionate. Già ora la base ateo-anticattolica (che trovate scatenata in commenti sui siti de Il Fatto, dei Radicali e dell'UAAR) non riesce che a strepitare che sarebbe tutta fuffa (ma senza argomentazioni) o che saremmo davanti ad uno specchietto per le allodole (anche qui senza spiegare perché ed, evidentemente, senza leggere...).
Se si andrà avanti di questo passo, il pontificato che sembrava iniziare alla volta dell'immobilismo tradizionalista potrebbe trasformarsi in una stagione preziosa per la Chiesa.

mercoledì 29 dicembre 2010

La Repubblica (per distrazione) fa propaganda a Putin

La Repubblica è un quotidiano che pare essere stato colto da schizofrenia: venti giorni fa il suo inserto del Lunedì, Affari & Finanza, pubblicava un reportage sulle relazioni pericolose tra l'Italia e la Russia, mentre ieri se ne esce con un allegato dal titolo di Russia Oggi, di tenore diametralmente opposto.
Sui rapporti tra l'establishment italiano, politico ed economico, con la nuova Russia dell'ex KGB Putin ciò che resta dell'informazione indipendente nel nostro paese ha scritto molto e molto continuerà a scrivere: l'amicizia personale di Berlusconi col suo omologo ex-sovietico è passata alla ribalta delle cronache mondiali, l'ENI è diventata dipendente da Gazprom per le forniture energetiche e (ci svela Report) si trova in una situazione di semi-sudditanza nei confronti del colosso energetico russo e il sospetto degli USA a causa della vicinanza di Roma con Mosca è ormai dichiarato.
Così nessuno avrebbe potuto immaginare che La Repubblica potesse pubblicare un inserto di dieci pagine preparato da Rossiyskaya Gazeta (organo governativo russo) in modo assolutamente acritico. La redazione non pare averlo sfogliato e il direttore (che pure per legge sarebbe responsabile di tutto ciò che viene scritto sul suo giornale) non si deve essere accorto proprio di nulla mentre dava il via libera al suo inserimento nel giornale.
La ragione di tutto ciò sarebbe l'ingresso di questa pubblicazione per mezzo di un inaspettato cavallo di Troia, il New York Times. L'autorevole quotidiano newyorkese, infatti, aveva in precedenza pubblicato (scientemente) quelle pagine su richiesta della Rossiyskaya Gazeta (il regime di Putin si fa buona propaganda all'estero) e il giornale di Ezio Mauro si è limitato a prendere tutto per oro colato e a tradurlo in italiano. Immaginiamo con quale sconcerto di Feltri, Belpietro e Sallusti che non sono riusciti a farlo per primi!
Il nodo del problema non è che La Repubblica abbia pubblicato degli articoli con una linea editoriale opposta alla propria, dando spazio ad una voce governativa russa. Il punto centrale è che La Repubblica abbia pubblicato dieci pagine di giornale senza nemmeno leggerle, senza minimamente accorgersi del loro contenuto e domandarsi della loro origine.
In un paese come l'Italia, dove il deficit informativo è enorme, dove la libera stampa è ridotta a poche riserve indiane e dove i lettori sono sommersi da voci di opinionisti, ma lasciati a digiuno circa i fatti discussi, l'ultima cosa di cui si sente il bisogno sono appunto giornali sciatti e direttori sbadati. La posta in gioco, il raggiungimento di una democrazia adulta, è troppo alta perché i mezzi d'informazione (ovvero gli organi che devono preparare il cittadino politico) possano dimostrare una simile superficialità.

sabato 25 dicembre 2010

I mercanti nel tempio o i sacerdoti al mercato?

Ho già avuto modo di scrivere che, se una volta c'erano il Tempio e i mercanti, con i secondi che entravano nel primo per avvantaggiarsi nei propri affari, la nostra epoca moderna ha preferito con molta praticità unificare le due istituzioni. La festa in cui in gran pompa si celebra questa fusione è il Natale.
Si cominciò in sordina, importando la figura di un santo anatolico rivisitato dalla Coca Cola (San Nicola, Sanctus Nicolaus, Santa Claus, Babbo Natale), che col benessere si è affiancato alla Befana (ossia l'Epifania) nella distribuzione di regali ai bambini, superandola rapidamente per importanza. Poi gli anni della crescita economica e dell'abbondanza dei generi di consumo resero universale lo scambio dei doni ed il relativo shopping prenatalizio. Il Natale, così, da religione si è trasformato in tradizione, ovvero in un insieme di gesti e di riti che si ripetono perché si devono ripetere, senza una ragione precisa.
In seguito c'è stata la secolarizzazione e gli elementi caratterizzanti della tradizione del Natale hanno smesso di essere quelli cristiani (che da tradizionali sono tornati ad essere eminentemente religiosi) a vantaggio degli aspetti più mondani, come l'albero, il cenone, i regali e Santa Claus. Il collegamento tra la festa e la fede si è quindi affievolito, così che oggi anche il peggiore mangiapreti taglia il panettone con gioia (quando in passato gli anticlericali, come Mussolini, nei confronti della ricorrenza nutrivano una profonda ostilità).
Le due metà della festa tra loro sono difficilmente compatibili: da una parte c'è il cristianesimo che, almeno nella sua versione cattolica, elogia il pauperismo ("ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote." o più facile che un cammello [che poi sarebbe una gomena, per traduttori più accorti] passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio", ecc), dall'altra c'è la festa dei regali, che col tempo diventano sempre più costosi (secondo l'ISTAT si spenderebbero in media più di 1300 euro a famiglia per i doni) e che sono completamente svincolati dall'occorrenza religiosa (li fanno e li ricevono anche i non cristiani).
La messa di Natale, parallelamente, è divenuta il palcoscenico giusto per lanciare giaculatorie sul consumismo della nostra società occidentale e sulla secolarizzazione. Si tratta nelle sue versioni più estreme di una vera condanna senza appello dell'aspetto mondano della festa.
Alcuni commentatori cattolici, come Socci,  al contrario scrivono che il consumismo natalizio è pienamente compatibile con la fede cristiana e che, anzi, è sua manifestazione vistosa: i beni terreni - dicono - sono dono di Dio e dovere del cristiano in festa sarebbe goderseli spensieratamente, anche a vantaggio della "nostra economia che soffre di un Pil stentato". Male fanno, anzi, i preti che condannano consumismo e materialismo, perché così facendo sottrarrebbero spazio alle vere riflessioni sulla fede!
Le idee di Socci in materia, del resto, si inseriscono bene nella mentalità dell'autore che assorbe moltissimi stimoli religiosi provenienti dall'altra sponda dell'Atlantico, dove, negli USA, Tempio e Mercato si sono saldati dichiaratamente e anche le Chiese si sottopongono al meccanismo della concorrenza e della legge della domanda e dell'offerta (hanno perfino gli spot in TV): non c'è da stupirsi che il fedele-consumatore ritenga più che divinamente giustificato il meccanismo economico col quale è giunto a Dio.
Ma ai fedeli non ancora contagiati da queste nuove idee d'oltreoceano, al fine di evitare la prosecuzione di questa sterile disputa sull'opportunità o meno di ricordare facendo shopping la nascita di Cristo in una stalla, non resta che prendere atto una volta ancora che l'Occidente non è più la Cristianità. Si dovrebbe così riconoscere l'esistenza di due diverse feste del Natale: quella a cui partecipano tutti, qualsiasi siano le loro convinzioni religiose, e che comprende gli addobbi puramente estetici, i regali e il cenone, e l'altra, importante solo per chi crede, con la Natività ed il culto.
Sia ben chiaro che questo non è un auspicio alla dicotomia, ma è semplicemente l'osservazione di ciò che già accade. Prendere atto del fenomeno, però, avrebbe l'indubbio vantaggio di permettere alla seconda festa di riacquistare la dignità che ha perso da quando, mescolata alla prima, si è ridotta ad essere un semplice spazio mentale del credente.

lunedì 20 dicembre 2010

Il reverendo Jones, alcuni hooligans in politica e qualche sigla neonazista

L'English Defence League è un'organizzazione islamofoba inglese con molti emulatori in giro per il mondo: le sue finalità sono il reclutamento di nemici dell'Islam di tutte le estrazioni sociali, politiche e culturali, la promozione dell'odio verso i musulmani e il sostegno allo Stato di Israele (considerato il nostro baluardo contro la minaccia islamica). Le sue schiere, però, sono reclutate più che altro tra i tifosi di calcio delle curve, ritenuti una forza d'urto di discreta efficacia nelle manifestazioni (spesso violente) per la loro capacità organizzativa e per il loro talento innato nell'urlare slogan e nella devastazione delle aree urbane.
Ospite d'onore di un'assise dell'EDL sarebbe dovuto essere il famoso reverendo Terry Jones, il leader di un gruppo cristiano-evangelico la cui teologia è così semplicemente riassumibile: gli USA sono la nazione eletta da Dio (come i biblici israeliti), Dio è arrabbiato con gli USA per i peccati degli americani, Dio fa andare male le guerre degli USA e fa morire i soldati americani. Nemici per elezione di Jones sono gli infedeli musulmani, ragione per cui il pastore passò alla ribalta delle cronache per la sua minaccia, poi eseguita, di bruciare in un sol giorno Corano e bandiera statunitense.
In seguito alle proteste dei gruppi antirazzisti, anche considerati gli episodi di violenza che avevano visto protagonista l'EDL in precedenti sue manifestazioni, l'invito al reverendo è stato ritirato da parte dell'organizzazione omofoba (la motivazione ufficiale è che si sarebbero scoperte le sue dichiarazioni omofobe e razziste!). Altri gruppi inglesi di estrema destra, invece, sembrano interessati a poter far parlare nel corso dei propri convegni Jones, prova di come all'insegna dell'odio verso il nemico comune (l'Islam), le differenze tra razzisti filoisraeliani, predicatori evangelici e neonazisti diventino all'improvviso molto labili.
Lo scopo del mancato incontro di Jones con gli ex-hooligans dell'English Defence League, a detta del leader Tommy Robinson, sarebbe stata una discussione sulla malignità dell'Islam, religione medievale, nella società inglese odierna. La mobilitazione degli anti-estremisti ed il rischio di un diniego del visto per il pastore a causa dei probabili problemi di ordine pubblico hanno spinto il gruppo a desistere.

venerdì 17 dicembre 2010

Tendenza suicidio a sinistra

E' iniziato uno sterile confronto all'interno della sinistra su quanto sia giusto devastare il centro di Roma per protesta. Nonostante le rivelazioni de L'Espresso, che essendo rivelazioni non hanno avuto proprio alcun seguito, come sempre accade nel nostro paese, si continua a discutere se sia più efficace come strumento di lotta politica la manifestazione pacifica o il tumulto vandalico.
Emotivamente parlando, devastare tutto ciò che si vede è certamente più soddisfacente di una semplice sfilata: si sfogano gli istinti distruttivi, si colpisce il presunto nemico, ci si fa notare, è ganzo... Politicamente parlando, invece, non mi ricordo di aver mai visto seguire a un tafferuglio un vero dibattito pubblico sulle ragioni della protesta: devastare è soltanto un ottimo sistema per inimicarsi l'opinione pubblica e per legittimare chi ha il potere all'uso della forza bruta.
Il concetto era ben chiaro a Cossiga, che suggeriva a Maroni di incentivare i disordini durante le dimostrazioni per poi legittimare la polizia a picchiare pesante, forte del sostegno popolare. Le foto de L'Espresso potrebbero far crede che il consiglio di Cossiga sia stato subito raccolto dal ministro e messo in pratica. Comunque sia, il telespettatore medio ha recepito il messaggio: chi protesta contro la Gelmini e la sua controriforma è un vandalo lavativo, mentre la maggioranza silenziosa degli studenti operosi sostiene il ministro e i suoi sforzi per la meritocrazia. Semplice, banale e immediato.
A controprova, inviterei i sostenitori della "lotta armata", ovvero quelli che credono che minacciare il governo di distruggere tutto sia un ricatto efficace per ottenere qualcosa, a riflettere su quanto possa spaventare un governo che sta sfasciando l'Italia in maniera industriale e scientifica qualche gruppetto di facinorosi che lo fa artigianalmente...
Gli scontri di piazza il 14 dicembre sono stati la più bella arma di distrazione di massa regalata a Berlusconi: la compravendita dei deputati e il marcio della politica del governo sono stati dimenticati, mentre le telecamere erano puntate sul "ragazzo con la pala" che assaltava la camionetta della polizia.
Intanto certi siti di sinistra se la prendono con Saviano, accusandolo di essere divenuto funzionale al potere in quanto reo di aver scritto cose molto simili a quelle che avete letto qui. Mentre Silvio Cesare ride, i progressisti duri e puri, pronti a colpire chiunque si discosti dalla loro ortodossia perché la giudica controproducente per la causa comune, sono coloro che avranno in capo la duplice responsabilità del salvataggio del berlusconismo e del suicidio definitivo della sinistra italiana.

giovedì 16 dicembre 2010

L'Ambiente all'asta per salvare il governo

Mentre Mentana alla fine del suo TG di La7 speciale del 14 dicembre definisce il respingimento della sfiducia al governo come un momento importante per la democrazia e Paolo Mieli quella sera stessa a Ballarò rincara minimizzando lo scandalo della compravendita dei voti, ora il Svp presenta a Berlusconi il "papello" delle proprie richieste. Si tratta di un esempio emblematico di come la compravendita dei voti in certi casi possa avvenire anche a costo zero per i privati, ma con drastiche conseguenze per il benessere generale.
Il partito altoatesino, infatti, aveva venduto cara l'astensione dei propri due deputati: l'autonomia dal ministero nella gestione del Parco dello Stelvio (che l'Alto Adige condivide col Trentino e con la Lombardia), l'impossibilità del trasferimento dei poliziotti assunti nel contingente bilingue germanofono e altre richieste minori che metteranno l'interesse generale in secondo piano rispetto all'interesse di bottega degli altoatesini.
Il WWF vede con allarme lo smembramento del Parco, istituito nel 1935 in base a una politica congiunta italo-svizzera per la protezione delle Alpi e gestito fino ad ora da un consorzio tra Lombardia, Trentino e Alto Adige, sotto la supervisione del Ministero dell'Ambiente. La differenziazione dei regimi tra i tre enti locali, infatti, potrebbe portare a drastiche riduzioni della tutela ambientale, che diverrebbe disomogenea e più facilmente eludibile.
Già il 30 novembre, si denuncia, la commissione paritetica della regione e delle due provincie autonome ha deciso di aumentare i poteri dei singoli enti nella gestione dello Stelvio, prefigurando un selvaggio federalismo ambientale che ha tutta l'aria di essere una festa per palazzinari e speculatori in attesa di mettere le mani sulle poche aree incontaminate del paese. Sembra difficile credere che ora, con un governo che si regge anche sulle astensioni del Svp, qualcuno vorrà opporsi a questo nuovo regime.
Questa scelta scriteriata potrebbe rivelarsi un pericoloso precedente per altre regioni, certamente meno responsabili delle provincie autonome di Trento e Bolzano, i cui esponenti a Roma potrebbero decidere di ricattare in modo simile il sempre più fragile esecutivo mettendo su un piatto della bilancia la fame di suoli edificatori e sull'altro la prosecuzione della legislatura.

martedì 14 dicembre 2010

Fiducia all'incanto

Alla fine il mercato dei buoi di Montecitorio ha chiuso i battenti e Cesare è riuscito a conquistare la fiducia desiderata alla Camera: tre voti di vantaggio (non so perché, ma mi ricorda qualcosa) decretano il prolungamento dell'agonia dell'esecutivo per qualche altro mese. Agonia e non vita perché il Parlamento ora sarà più paralizzato che mai, con un governo che si regge su voti palesemente comprati quando prima poteva vantarsi di avere "la maggioranza più ampia della storia repubblicana". Non ci sarà più il bicolore Pdl-Lega, ma intorno al Capo orbiteranno innumerevoli partitini e cani sciolti acquistati con qualche promessa e qualche rassicurazione, pronti a sfilarsi alla prima occasione.
Ma l'obiettivo di Berlusconi non è mai stato governare, ma solo rimanere in sella per garantirsi l'impunità. Ma Bossi sarà favorevole a questo stato di cose? Già abbaia per il ritorno alle urne: vegetare per anni gli porterebbe via molti elettori già arrabbiati per il mancato arrivo del federalismo fiscale vero.
Non dimentichiamo il ruolo di Napolitano che, chiedendo di paralizzare le camere e di rinviare il voto al 14 dicembre, ha favorito Cesare permettendogli di raccattare voti che prima non aveva: non ha mai nascosto di essere preoccupato dall'idea della crisi.

sabato 11 dicembre 2010

Wikileaks e il Vaticano: nulla di nuovo sotto il sole, eccetto qualche incomprensione

Mentre si continuano ad ignorare le conseguenze vere di Wikileaks di ui si è parlato nell'ultimo post, finalmente i giornali italiani rendono note le fuoriuscite di notizie riguardanti il Vaticano. I dispacci sono molto poco utili per capire il Vaticano, ma interessantissimi per comprendere il punto di vista statunitense sulla Santa Sede.
Il primo problema evidenziato è lo scarso uso delle nuove tecnologie: pochi blakberry e quasi nessun indirizzo e-mail, cosa che fa definire i prelati come tecnofobi. Si dice che la Curia ha una scarsissima capacità di produrre e di orientare informazione.
In secondo luogo, ci si lamenta che quasi nessuno in Vaticano conosca l'inglese, perché la struttura è italocentrica, ermetica e antiquata. Così per gli USA è impossibile influenzare le decisioni e avviare una partnership efficiente (si noti che per gli americani l'unico rapporto di amicizia possibile è quello di ingerenza!). E' noto, però, che la lingua della diplomazia vaticana è il francese, non l'inglese, per cui è strano che i funzionari statunitensi si stupiscano di non poter parlare la propria lingua ed essere compresi...
Poi se la prendono con il cardinal Bertone, reo di girare il mondo facendo poca politica e molta missione pastorale. Da cattolico italiano, ho sempre criticato Bertone per il suo troppo interesse per le vicende squisitamente politiche e la scarsa attività spirituale: che per gli USA la Santa Sede non sia un'istituzione religiosa ma un think tank come le lobby evangeliche di casa loro?
Infine tante informazioni inutili e già note: l'opposizione di Ratzinger cardinale all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, il desiderio dei Papi di veder inserito nella costituzione UE un riferimento alle radici cristiane, la scarsa collaborazione in tema di pedofilia e la polemica con gli anglicani sul passaggio alla Chiesa Cattolica dei loro preti critici verso il sacerdozio femminile.
Sappiamo poi che i servizi di sicurezza del Vaticano, con l'eccezione di un breve corso di formazione sugli esplosivi, sono sempre stati restii a collaborare con l'FBI nella lotta (isterica) al terrorismo messa in atto negli anni passati.
La sala stampa della Santa Sede ha definito di "estrema gravità" le notizie pubblicate. Ovvero ha messo in atto quella strategia di vittimismo e di scandalo con cui riesce sempre a ingigantire qualsiasi cosa portando il Vaticano al centro di una tempesta internazionale. I documenti, infatti, lo criticano come macchina statale (cosa che non dovrebbe essere), non come istituzione religiosa.
La stampa italiana dedica un moderato interesse alla notizia e alle reazioni. L'Unità si limita perfino a riferire dei cablogrammi sulla pedofilia e poco più. Il Corriere, Il Fatto, Il Messaggero e Il Giornale dedicano un articolo e nessun commento. Solo La Repubblica esprime un parere, inserendolo nel bel mezzo del pezzo di cronaca: «Le carte del Dipartimento di Stato filtrate da Wikileaks che si riferiscono al Vaticano raccontano l'incontro fra due Imperi, e svelano in realtà lo scontro culturale fra un Paese moderno, democratico e dinamico e un sistema di potere monarchico, millenario ed ermetico».
Il confronto tra i due Imperi, così come lo scontro tra la modernità, la democrazia e il dinamismo degli USA (bombardamenti e arresti illegali inclusi) e l'ermetismo (dovuto all'uso della lingua francese, immagino) della monarchia millenaria vaticana, è tema così abusato da strappare un mezzo sorriso al lettore. Invece la confusione tra potere politico e religione in cui cade l'articolista potrebbe apparire sorprendente in un giornale che si definisce solitamente laico e laicista.

Wikileaks dimenticata: Iran, Libano e venti di guerra mediorientali

Mentre la nostra stampa si preoccupava dei commenti ingenerosi dei diplomatici americani sulle macchiette che abbiamo come leader, le vere conseguenze rilevanti di Wikileaks sono da tutti dimenticate e ignorate.
Per esempio nulla è stato detto sui cablogrammi (ovvero i messaggi criptati usati dalle sedi diplomatiche per comunicare con i ministeri in patria) con cui i funzionari statunitensi hanno bollato il governo turco di fanatismo religioso e di odio gratuito per Israele e che adesso rischiano di dare il colpo di grazia alle già fredde relazioni tra USA e Turchia.
Effetti peggiori, però, stanno avendo le rivelazioni sulla posizione di moltissimi leader arabi in merito ad una possibile guerra futura contro l'Iran: nazioni come l'Arabia Saudita, il Bahrein e l'Oman hanno fatto sapere di desiderare un conflitto contro Teheran.
Gli israeliani da ciò deducono la necessità dell'intervento militare e invitano gli USA a bruciare le tappe e attaccare il prima possibile. I dittatorelli arabi, disponibili al conflitto, temono invece che adesso sia il loro potere ad essere messo in pericolo dalle rivelazioni che certamente faranno riversare su di loro parte del sentimento antiamericano delle masse mediorientali. Anche il regime di Mubarak teme per via dell'indiscrezione che vorrebbe l'Egitto ostile ad Hamas (movimento che invece trova un fortissimo sostegno popolare).
Inquietante è invece scoprire che il nuovo direttore dell'agenzia atomica dell'ONU, il giapponese Amano, ci ha tenuto a dichiarare la propria piena vicinanza agli USA sulla questione iraniana. Parallelamente, si è saputo che il governo americano in realtà non avrebbe mai creduto nella via diplomatica per sciogliere il nodo del nucleare e che per questo motivo gli sforzi della diplomazia a stelle e strisce non sarebbero mai stati né incisivi né efficienti: l'unica strategia sul tavolo sarebbe sempre stata quella militare.
Ugualmente destabilizzanti sono le notizie filtrate sull'attività anti-Hezbollah di USA e Israele in Libano, dove si rivela che le fazioni cristiane avrebbero sostenuto l'invasione israeliana del 2006 fino a che i bombardamenti non le hanno toccate direttamente e che, nel 2008, il ministro della difesa cristiano avrebbe promesso la neutralità delle forze armate libanesi in caso di un nuovo attacco contro i miliziani sciiti. Risulta anche che tutte le inchieste sul famoso omicidio Hariri sarebbero state condotte dai tribunali interni e internazionali subendo una fortissima ingerenza americana.
In un Medio Oriente sempre più destabilizzato e percorso da venti di guerra, la gaffe di Wikileaks rischia di sparigliare le già confuse carte in tavola.

giovedì 9 dicembre 2010

AAA deputati cercansi

E' cominciata quella che è una via di mezzo tra il Telethon per salvare il governo Berlusconi e un suk arabo dove le contrattazioni durano giorni e giorni tra chi cerca di comprare e chi cerca di vendere (in questo caso, vendersi), la sindrome che precede il giorno della verità, quel fatidico prossimo 14 dicembre in cui Cesare si giocherà il tutto e per tutto.
Da un lato, infatti, la Camera oggi paralizzata testerà i numeri dell'Esecutivo, dall'altro la Consulta (dove le intercettazioni ci hanno rivelato una insidiosa presenza di giudici in quota P3) dovrà decidere la legittimità costituzionale o meno dello scudo del legittimo impedimento, in parole povere quella legge che permette ai membri del governo di non presentarsi in tribunale a loro piacere.
Il mercato, intanto, è florido e già cominciano ad essere noti i primi acquisti: Pionati (ex UdC) sembra ormai acquisito, i due deputati del SvP altoatesimo hanno promesso l'astensione, i sei radicali eletti col Pd sembra che vogliano amnistia ed epurazione di Santoro in cambio del passaggio a Berlusconi e Scilipoti diventa il degno successore di Cirami e De Gregorio nell'IdV (partito che ogni legislatura regala un parlamentare al centrodestra...).
Intanto l'ex Pd Calearo racconta che il prezzo di un parlamentare va da 350 a 500 mila euro, ma con l'avvicinarsi della data fatidica e l'assenza dei numeri il prezzo pare che stia salendo sempre di più. 345 parlamentari, inoltre, perderebbero la pensione in caso di scioglimento anticipato delle camere, così che il vendersi sarebbe un ottimo modo per ottenere l'invidiabilissimo vitalizio.
Si muove Bondi, fedelissimo del Capo, si muove Verdini che, come sappiamo, gode di una rete non trascurabile, si muove la Santanché, che invece sguazza da una rete all'altra con le sue calze a rete, e si muove anche quell'Aldo Brancher che, fallita la corsa al ministero, continua a lavorare nell'ombra in attesa della legge che gli darà l'impunità.
Ma se anche a Berlusconi dovesse andare male, non tutto è perduto: Fini ha già promesso che lavorerà per fargli avere un secondo mandato entro 72 ore per un nuovo governo. Ma Fini sta anche prendendo accordi con Casini e Rutelli, cosa che potrebbe anche far pensare ad una nuova Casa delle Libertà, da Bossi a Rutelli, dai neofascisti ai democristiani.

sabato 4 dicembre 2010

Otto per mille alla Chiesa cattolica 2009. Come sono stati investiti i soldi

Nel 2009 i fondi assegnati alla CEI con lo strumento dell'otto per mille sono stati 968 milioni di euro, cioè in leggero calo rispetto ai due anni precedenti, ma in crescita di 213 milioni rispetto al 1999. L'impiego dei proventi si può trovare in dettaglio nel sito apposito della Conferenza Episcopale, che così cerca di rintuzzare le accuse di scarsa trasparenza ricevute negli anni passati.
Come da tradizione, per l'anno 2009 la prima voce, con 423 milioni di euro assegnati, è l'esigenza di culto della popolazione, ovvero tutte le attività parrocchiali, le spese per il culto, i seminari vescovili e le diocesi, i tribunali ecclesiastici per le cause matrimoniali (con ben 11 milioni di euro stanziati), la catechesi e l'educazione cristiana (con 32 milioni: ma i catechisti non sono volontari? E i soldi a chi vanno?), gli eventi nazionali (voce da 37 milioni), l'edilizia di culto (122 milioni, se non altro comprensibili) e altre voci minori.
Il secondo capitolo di spesa è il sostentamento del clero: 381 millioni di euro versati. Dividendo il primo capitolo nelle diverse voci di spesa, però, ci rendiamo conto che è il sostentamento del clero ad assorbire la maggioranza relativa delle risorse, cioè quasi il 40% dei 968 milioni di euro ricevuti dal Fisco italiano.
Altrettanto interessante è l'andamento di questa voce di spesa: nel 2000 le erano destinati 284 milioni, divenuti 308 nel 2002, 330 nel 2003 e, dopo un lieve calo nei due anni successivi, 336 nel 2006 e 373 nel 2008. Un aumeno notevole, di cento milioni, che ha fatto salire la quota delle destinazioni alle paghe dei chierici dal 33% sul totale della torta del 1999 all'attuale 40. Ancora più notevole se si considera il contestuale calo delle vocazioni (il 60% dei preti è stato ordinato prima del 1978 e da quella data i sacerdoti si sono ridotti del 25%), cosa che fa chiedere al consultatore a cosa servano tutte quelle risorse in più.
Infine agli interventi caritativi, ultima voce di spesa, sono stati destinati 205 milioni di euro, stabili da tre anni.

giovedì 2 dicembre 2010

Merry Christmas! Anzi, buona Stagione Bianca

L'Inghilterra ha deciso di darsi al politicamente corretto in campo religioso, perché - si dice - non si possono offendere i non credenti o i credenti in religioni minoritarie. L'Inghilterra è quel paese in cui il sovrano deve essere necessariamente di religione anglicana, dove Stato e Chiesa non sono separati, dove una questione d'indipendenza, quella dell'Irlanda del Nord, si è tinta di connotati religiosi e dove ogni 5 novembre si festeggia la morte del "papista" Guy Fawkes che aveva congiurato contro la Corona e il Parlamento per via delle persecuzioni subite dai cattolici.
Naturalmente niente di tutto ciò è stato colpito dalla nuova ossessione britannica. Ci si è limitati ad un semplice make up sul Natale che da quest'anno non è più Christmas (letteralmente, Messa di Cristo), ma è White Season, Winter Festival ed altre espressioni religiosamente neutre. Ovviamente la Chiesa anglicana si è scandalizzata, ma è stato il Partito Conservatore stesso a inaugurare l'anno scorso questa tendenza evitando di augurare un buon Natale, ma solo delle buone non meglio determinate feste. Molti consigli comunali hanno optato per questa linea ribattezzando la festa e cancellando ogni riferimento alla religione dagli addobbi.
Se fate una brevissima ricerca su internet, magari digitanto Christmas Winter Festival, trovate immediatamente orde di inglesi infuriati per quello che considerano un attacco alle radici culturali da parte degli immigrati (musulmani, ovviamente) che non vogliono integrarsi nella società locale e pretendono di imporre i loro costumi. Resta solo da capire in quale comunità musulmana si festeggino la Stagione Bianca e le Feste-non-meglio-determinate.
Al contrario è da ricercare appunto nella comunità inglese nativa la ragione della trasformazione del nome della festa: da decenni, ormai, il Natale ha smesso di essere una festa religiosa ed è diventato qualcosa di molto simile alla festa dello shopping, occasione per stare in famiglia, essere allegri senza motivo e dare mostra di buoni sentimenti sdolcinati. Le religioni da sempre vanno e vengono, ma le feste restano cambiando nome.
Dato che non si può incolpare una dinamica sociale interna per questo cambiamento, gli inglesi più conservatori sono pronti a dare la colpa al nemico esterno, più facilmente visibile e capace di mascherare i cambiamenti di un Occidente che ormai non è più cristiano da tempo e che crede solo nella religione del benessere economico. Chiaramente nulla a vedere con le tradizioni dei paesi da cui provengono gli immigrati, i quali poco ci capiranno di queste nuove feste che poi sono la vecchia festa rinnegata.

mercoledì 1 dicembre 2010

Wikileaks. Il Re è nudo, ma si eviti di dirlo

Wikileaks è l'unione di wiki (veloce), prefisso divenuto celebre con Wikipedia e che sta a singificare la libertà di contenuti, e leaks (fughe di notizie). Il sito ha diffuso centinaia di migliaia di documenti di cancelleria riservati o segreti provocando un piccolo terremoto planetario e agitando ancora di più le già inquiete acque in cui naviga l'amministrazione Obama.
Alla vigilia della grande fuga di notizie dell'altro giorno, i media italiani già scalpitavano all'idea di conoscere ciò che negli ambienti diplomatici americani si dice dell'Italia e del suo governo. Così, ancor più delle rivelazioni sulla pessima condotta occidentale in Afganistan (strana guerra di liberazione in cui i liberati sparano da un decennio addosso ai liberatori), erano le schede sui leader mondiali a interessare i mass media.
Anche Palazzo Chigi era in subbuglio ed aveva emanato una delirante nota in cui si affermava che i crolli di Pompei, la spazzatura di Napoli, le inchieste della magistratura su Finmeccanica e Wikileaks (e per fortuna non anche l'effetto serra, gli alieni e il traffico sulla Salerno-Reggio Calabria) fossero tutti frammenti di un grande complotto volto a screditare l'Italia (nella figura del suo Presidente, si intende) sulla scena internazionale. Frattini, autorevole portavoce dell'esecutivo in questo frangente, ha negato l'esistenza di un'unica mente dietro queste manovre: piuttosto sarebbe una congiura di tutti i mezzi di informazione del mondo ostili a Berlusconi.
L'attesa così era in crescita: che cosa conterranno mai le rivelazioni di Wikileaks per sconvolgere così tanto il moribondo governo Berlusconi? Che cosa può spingere Frattini a definire la fuga di notizie come un nuovo 11 settembre? Sicuramente qualcosa di scottante, hanno pensato tutti i media che infatti ci hanno aggiornato minuto per minuto sulle notizie che trapelavano.
Alla fine, però, la montagna ha partorito un topolino: gli stranoti rapporti con Putin, i festini, la scarsa serietà, l'inettitudine... insomma, tante cose che in Italia e all'estero si ripetono da quindici anni e che ora sappiamo essere state dette anche da funzionari americani. Tanto è bastato a terrorizzare Frattini che adesso sta chiedendo la cattura e l'interrogatorio immediati del creatore di Wikileaks, l'australiano Assange.
Come nella fiaba di Andersen, il Re è nudo e ciò che teme ora più di ogni altra cosa è che qualcuno lo dica, svergognandolo davanti a un popolo narcotizzato che sembra non accorgersi (o non volersi accorgere) della realtà dietro le fragili menzogne. Così si cerca di silurare dai media coloro che indicano le palesi vergogne del Capo, accusandoli di disfattismo, chiudendo i programmi televisivi e intimidendo. Ogni voce più forte delle altre è riconosciuta come pericolosa, perché potrebbe essere quella che fa svegliare l'opinione pubblica che fino ad ora ha preferito guardare il Grande Fratello al posto della nudità del sovrano.
Il Re, intanto, continua a sfilare sperando che il momento della fine dell'incanto arrivi il più tardi possibile o che, almeno, la copertura di ridicolo sia relativamente ridotta. Ma, come insegna la fiaba, nessuna farsa è destinata a durare all'infinito.