venerdì 30 settembre 2011

Appello pidiellino per la fine della ricerca storica

Torno a scrivere per diffondere questo articolo pubblicato in un altro blog e che credo sia decisamente condivisibile. Oltre ad affrontare alcuni temi a me cari come il problema della medievistica italiana, i preconcetti sul Medioevo e il sempre più diffuso disprezzo per le discipline non tecnico-scientifiche, il pezzo mette in evidenza l'ennesimo caso dimostrante che un popolo bue non può che eleggere politici buoi i quali alimenteranno il circolo vizioso rendendo il popolo ancora più bue.
Dopo le ultime uscite della Gelmini, però, forse il senatore di cui si parla ha ragione a chiedere tagli alla medievistica: tutte le risorse vanno convogliate nel team di insegnanti di geografia che dovrà cercare di insegnare alla signora ministro che il Gran Sasso non fa parte delle Alpi o, in alternativa, che Ginevra non è in provincia di Teramo...


Un senatore del PdL e il Medioevo

Fuori dallo studio di un professore di storia di Ca’ Foscari (università di Venezia) c’era appeso questo. Purtroppo, non so la data di quando questo discorso sarebbe stato pronunciato/pubblicato. E’ stato esposto dal professore immagino per far conoscere alle persone chi è che ci governa.




La Storia Medievale secondo un senatore del PDL


Dibattito Parlamentare


RAMPONI (pdl) Non riesco a comprendere, innanzitutto, che cosa ancora ci sia da ricercare sul Medioevo. Per dirla francamente, vi sono centinaia di migliaia di studi, pubblicazioni e libri che da trecento anni riempiono le biblioteche e che godono di una discreta consultazione. L’importanza di conoscere la propria storia si esplica nello studiare la storia, non continuando per centinaia di anni a fare ricerca.

In secondo luogo, l’Italia dedica certamente poche risorse alla ricerca, ma quelle poche necessitano di un discernimento nella scelta. Ebbene, a me non sembra che sia così necessario studiare il Medioevo e varare addirittura una legge per sostenere quattro istituti che fanno ricerca su tale periodo, ricerca che, tra l’altro, viene svolta anche da tanti altri enti a livello universitario.


Voi parlate di turismo e di prestigio della nostra storia, ma se c’è un periodo durante il quale la nostra storia ha ben poco prestigio è proprio il Medioevo. Quindi, potremmo anche concentrarci a diffondere valori della nostra cultura là dove sono veramente grandi.




“Non riesco a comprendere, innanzitutto, che cosa ancora ci sia da ricercare sul Medioevo. Per dirla francamente, vi sono centinaia di migliaia di studi, pubblicazioni e libri che da trecento anni riempiono le biblioteche e che godono di una discreta consultazione”.
E’ indubbiamente vero che vi sono moltissimi studi e pubblicazioni sul Medioevo, ma forse al sommo senatore sfugge un minuscolo particolare: in qualunque ambito si continua a studiare, a fare ricerca, a progredire, e non si rimane fermi sulle posizioni di un secolo prima (o addirittura di un anno prima). Altrimenti, perché non rimanere all’efficace medicina del ‘600? In base a nuove scoperte, si possono fare nuove considerazioni, nuove ipotesi, comprendere punti precedentemente oscuri, rimettere in discussione precedenti teorie e porsi nuove domande. E questo, però, non solo grazie a nuove fonti scoperte, ma semplicemente grazie al fatto che ogni persona è diversa dalle altre, che le generazioni si trovano in climi culturali diversi, e dunque si pongono domande diverse. Infatti, alla storia vengono poste domande che servono per l’oggi. “La storia è sempre storia contemporanea” sostiene Croce. Nuove domande portano nuove risposte, e le nuove risposte inevitabilmente generano altri dubbi. Un documento può essere esaminato per ricevere risposte, diverse, a diversissime domande. La ricerca non è mai finita, così come in qualunque altra disciplina degna di questo nome. Perché non abbiamo più il sistema tolemaico? Perché qualcuno ha fatto ricerca. Perché non ci siamo fermati alle scoperte di Galileo e Newton? Perché la ricerca è continuata, e continua ancora, nonostante l’enorme mole di studi e libri pubblicati.
Probabilmente, però, il dotto senatore ce l’ha su col Medioevo perché la ricerca in tale ambito non procura una ricchezza immediata e i benefici che può dare sono troppo difficili da applicare, e forse non sono così voluti dalla classe politica.

“L’importanza di conoscere la propria storia si esplica nello studiare la storia, non continuando per centinaia di anni a fare ricerca”.
Ma certo! Come abbiamo potuto essere così idioti? Livio e Tacito hanno già scritto della storia di Roma antica, quindi perché tanti altri stupidi, nel corso dei secoli, hanno sprecato il loro tempo a studiarla e a fare ricerca? C’erano già Livio e Tacito, avevano già fatto ricerca loro e già ci avevano presentato la storia di Roma! Perché investigare ancora? Detta in altri termini: perché voi, massa popolare, dovreste far ricerca e scoprire qualcosa di nuovo, farvi un’idea ed eleborare teorie o perlomeno vostri convincimenti? Voi studiate la storia che vi diamo noi, e basta!
Mussolini non avrebbe potuto essere più d’accordo.


“In secondo luogo, l’Italia dedica certamente poche risorse alla ricerca, ma quelle poche necessitano di un discernimento nella scelta. Ebbene, a me non sembra che sia così necessario studiare il Medioevo e varare addirittura una legge per sostenere quattro istituti che fanno ricerca su tale periodo, ricerca che, tra l’altro, viene svolta anche da tanti altri enti a livello universitario”.
Un’altra persona potrebbe rispondere che a lei non sembra così necessario investire nel campo bellico, dato che l’Italia teoricamente ripudia la guerra come strumento per risolvere le dispute e che, sempre in teoria, non siamo in guerra, ma impegnati in missioni di pace.
Non so quali siano i quattro istituti menzionati, ma so che le università hanno ben pochi finanziamenti per la ricerca e che molti corsi, sia di storia sia d’altro, vengono aboliti per mancanza di soldi. Dunque, chi è che dovrebbe farla questa ricerca?

“Voi parlate di turismo e di prestigio della nostra storia, ma se c’è un periodo durante il quale la nostra storia ha ben poco prestigio è proprio il Medioevo. Quindi, potremmo anche concentrarci a diffondere valori della nostra cultura là dove sono veramente grandi”.
Suppongo che l’illuminato senatore del PdL non abbia mai sentito parlare dei Longobardi (o che gli siano sfuggiti molti scritti che mostrano come il periodo longobardo non fu affatto di decandenza), del periodo dei Comuni, di Venezia, di Dante, Petrarca e Boccaccio, tanto per rimanere su cose note ai più. Forse il sapiente senatore è rimasto all’idea Quattro-Cinquecentesca di Medioevo, il Medioevo come età di oscurantismo e decandenza. Ma, in effetti, dato che il saggio senatore è contrario alla ricerca, è logico che sia rimasto indietro di 600 anni.
Sarebbe interessante sapere quali sono i periodi storici, secondo il senatore filosofo, che hanno dato veramente prestigio alla nostra storia. Contando che da circa metà ‘500 l’Italia è stata dominata da potenze straniere fino a quando il Duca di Savoia si è ritrovato per caso re di Italia, e contando che, a quanto pare, secondo lui, il Medioevo non ha dato prestigio all’Italia, le soluzioni sono due: un’epoca di prestigio per l’Italia è o prima del Medioevo o dopo la dominazione straniera, quindi nell’800, grosso modo (contando che le prime spinte di indipendenza si ritrovano anche nella prima metà del secolo). La storia romana non può certo aver dato prestigio all’Italia per il semplice fatto che definire i romani italiani è piuttosto dura. Inoltre, per quanto alla Lega possa dispiacere, per lungo tempo l’Italia vera era quella sotto al Po, mentre a nord c’erano popoli considerati barbari, come i Galli. Ma forse alla Lega non dispiace: in fondo, pare che siano convinti di discendere dai Celti e, cosa veramente assurda, di conoscere le usanze celtiche. Inoltre, la cultura romana era troppo impregnata di Grecia perché il prestigio possa andare alla sola Italia, senza contare che la parte Occidentale dell’Impero decadde negli ultimi secoli di quella che viene considerata storia romana, sostituita, come importanza, da Bisanzio.
Dunque, la parte di storia che dà prestigio all’Italia deve essere quella dell’Ottocento e del Novecento. Nell’Ottocento  uno statarello ha creato, quasi senza volerlo, uno Stato ed è poi stato incapace di dirigerlo, salvo qualche parentesi qua e là. Nel Novecento, però, l’Italia ha l’Impero! E’ questo che dovrebbe darci prestigio? L’avere due scatoloni di sabbia, conquistati, fra l’altro, a prezzo di moltissime vite e ricorrendo, infine, ai gas, il cui utilizzo era teoricamente proibito? E che dire poi della partecipazione dell’Italia alle leggi razziali (che non sono un’invenzione, né un’imposizione, della Germania, smettiamola di prenderci in giro)? E poi c’è la fuga del re e lo sfascio dell’esercito e dello Stato italiano. Sono questi a darci prestigio?
Forse allora la seconda metà del secolo Novecento. Però, direi che nemmeno in questo arco di tempo c’è molto che possa dar prestigio all’Italia.
Non è che, forse, non bisogna cercare l’epoca storica che dà prestigio al singolo Paese, ma studiarle tutte? Fare ricerca su tutte? I valori della cultura italiana, ed europea, affondano nella storia greca, romana e celtico-germanica, e nel cristianesimo che le amalgamò e arricchì. I valori di una cultura non nascono in un anno, o anche 10 secoli, ma hanno una storia millenaria. Bisogna conoscerla, studiarla e investigarla tutta, se si vogliono davvero comprendere i valori e la propria cultura, cosa che al giorno d’oggi viene fatta ben poco.

Qui si parla di un singolo senatore, ma naturalmente, e purtroppo, egli non è che un’espressione di un sentire più comune e diffuso, pertanto quanto scritto si riferisce a tutti costoro e non a un singolo.
 Fonte: http://poetitenebrosi.blogspot.com/2011/09/un-senatore-del-pdl-e-il-medioevo.html