Il Movimento 5 Stelle di Bologna ha inaugurato un nuovo sistema di controllo dei proprio eletti che, sulla carta, vorrebbe garantire che il rappresentante sia costantemente in linea con i propri rappresentati in modo efffettivo. In parole povere, i consiglieri comunali grillini dovranno fare rendiconto semestrale all'assemblea dei tesserati del Movimento, dopodiché un voto deciderà se potranno andare avanti o dovranno dimettersi dall'incarico istituzionale.
Se per i grillini questa pratica è un esempio da imitare in quanto modello di democrazia dal basso, ci è imposto di osservare che non è tutto oro quel che luccica.
La prima lampante anomalia è che, se il consigliere è eletto da migliaia di cittadini alle urne, sembra molto strano che alcune decine (o massimo centinaia) di militanti possano decidere di dimissionarlo. Potrebbe apparire come una riproposizione velata del vecchio potere assoluto delle segreterie di partito.
In secondo luogo, nel corso della propria attività istituzionale l'eletto non dovrebbe essere sottoposto a vincolo di mandato. E' stata questa una delle maggiori conquiste del costituzionalismo moderno, che appunto differenzia i nostri organi rappresentativi dagli antichi parlamenti medievali in cui il rappresentante altro non era che una sorta di ambasciatore della comunità d'appartenenza. La ragione è facile da comprendere: è impossibile che il candidato conosca a priori tutti i possibili scenari a cui andrà incontro (la realtà supera la fantasia) e la sua libertà garantisce una maggiore flessibilità nell'andare incontro alle esigenze impreviste.
Esiste poi già un meccanismo di controllo degli eletti da parte degli elettori, ovvero le elezioni. Le scadenze elettorale, poste a distanza di qualche anno l'una dall'altra, permettono al rappresentante di godere dell'autonomia necessaria per promuovere politiche di lungo respiro, magari impopolari nel breve termine, ma ricche di buoni frutti nel medio-lungo. Sei mesi, al contrario, non corrispondono nemmeno alla durata di un esercizio: il politico sarà più propenso a votare un taglio indispensabile o a dilapidare le risorse pubbliche per ottenere la riconferma?
In un paese ammalato di berlusconismo dove alla politica della responsabilità si preferisce il tutto e subito, questo modo di fare rischia di trasformarsi nel trionfo del populismo se gestito dalle persone sbagliate. Siamo sicuri che la base grillina sia sufficientemente preparata e responsabile per saper distinguere una politica inetta da una semplicemente "ipermetrope"?
Resta poi da comprendere a che titolo i primi dei non eletti potranno rimpiazzare i rappresentanti dimissionati dalla base del movimento: perché favorire una persona che ha preso meno voti, ma che è più popolare tra i tesserati? Avranno così gioco facile i grillini a sovvertire il voto a pochi mesi dalle consultazioni, cacciando un consigliere molto votato, ma a loro sgradito. E' questo il modello di democrazia dal basso proposto dalle 5 Stelle?
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