In Tunisia si sparano quelli che potrebbero essere gli ultimi colpi della rivolta contro gli apparati del dittatore uscente Ben Ali. Nonostante per le strade continuino a girare gruppi armati senza regole che se la prendono con passanti malcapitati, rubano e uccidono, forse perché il paese è in un relativo caos, forse per cercare di destabilizzare la fase di transizione e facilitare una reazione antirivoluzionaria dei vicini regimi algerino e libico, nonostante tutto questo, gruppi di volontari cercano di mantenere l'ordine pubblico e l'euforia popolare per il successo dell'insurrezione continua a diffondersi.
I vecchi gerarchi avevano intrecciato una rete di rapporti con Francia e Italia che portava loro un sostegno incondizionato da parte di questi due paesi: la lotta all'immigrazione, i rifornimenti di idrocarburi e la garanzia della stabilità politica in Maghreb sembravano essere garantite dal dittatore amico. Craxi ad Hammamet aveva trovato il proprio esilio dorato, al riparo dalla giustizia italiana e sicuro sotto un governo già amico. Le paranoie europee sull'estremismo islamico erano nello stesso tempo soddisfatte dalla presenza nel paese di un'autorità forte in grado di impedire a tutti i partiti di ispirazione anche lontanamente religiosa di andare al governo democraticamente e le nostre femministe potevano indicare nelle tunisine un modello da imporre a tutto il mondo arabo. Anche durante l'ultimo atto della dittatura i governi francese e italiano sono riusciti solo a balbettare davanti alla repressione operata dalle forze di sicurezza, mentre ancora pochi mesi fa Sarkozy elogiava le riforme istituzionali di Ben Ali.
Questi rapporti politici si sono fatti sentire nel modo in cui i nostri mezzi di comunicazione hanno riportato le notizie sulla rivolta: Stefania Craxi ha autorevolmente formulato una propria lusinghiera analisi ai microfoni TG1, la stampa ha minimizzato le vittime della repressione e tutti gli avvenimenti sono stati a lungo rappresentati come una sommossa per il pane, mescolando le vicende tunisine con quelle della vicina Algeria (dove effettivamente i tumulti riguardavano gli aumenti dei generi alimentari). Pochissimo invece è stato dedicato alle ragioni della rivolta e alle rivendicazioni popolari per una maggiore democrazia, come se gli ottimi impegni gridati a gran voce negli anni passati sulla democratizzazione del mondo arabo e sull'esportazione dei diritti europei fossero stati all'improvviso dimenticati da tutti.
Così, mentre la gente lottava per la libertà, tutti in Italia plaudivano a Ben Ali che prometteva denaro al popolo e posti di lavoro ai giovani, affermando che il dittatore stava venendo a patti con il popolo, mentre in realtà stava soltanto cercando invano di comprarsi il sostegno dei più poveri con qualche regalo dell'ultima ora. La democrazia, così, veniva equiparata a qualche pagnotta distribuita nel paese che ha mandato truppe in Iraq e Afganistan per esportarla...
Intanto l'opinione pubblica tunisina, esaltata dal successo, pretende una svolta politica radicale, una nuova costituzione che riconosca le libertà volute e una legge elettorare che possa dar vita ad un parlamento veramente rappresentativo del popolo che finalmente vuole divenire sovrano. Sebbene dall'Occidente sedicentemente filodemocratico non si sia ricevuto nessun aiuto, mentre si teme che i servizi segreti del mondo arabo e dei suoi partner tra i paesi ricchi siano già in moto per far crollare il sogno nazionale, le notizie dei focolai di insurrezione in altri paesi della regione danno forza ai protagonisti della Rivoluzione dei Gelsomini.
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