Intanto occorre fare pulizia nel linguaggio. La parola laico, riferita a uno Stato, indica semplicemente il contrario di "confessionale", quindi la laicità dello Stato è il mancato riconoscimento di una religione come culto ufficiale della nazione. In questo senso, l'Italia è uno Stato laico.
La parola laicista, invece, si riferisce ad una persona che politicamente ritiene che uno Stato debba essere laico. Il laicismo, quindi, è il movimento d'opinione dei laicisti. Chi scrive, un credente cattolico praticante, è anche un laicista, perché non desidera vivere in un paese confessionale.
Per ateismo di Stato, infine, si intende il rifiuto da parte di uno Stato di tutte le manifestazioni esterne dei culti religiosi: cerimonie pubbliche, propaganda delle fedi e creazione di istituzioni confessionali. La religione è ridotta ad un fatto puramente mentale del fedele (sulla mente lo Stato non ha potere).
E' chiaro, quindi, che tra gli estremi del confessionalismo e dell'ateismo ci sia una vasta gamma di laicità possibili. La Costituzione italiana ne ha scelto una e l'ha codificata negli articoli 7, 8, 19 e 20, come parte dei principi fondanti del nostro ordinamento, basi della convivenza civile e limiti e ispirazione dell'azione legislativa.
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.Così recita l'articolo 19 della Carta, che riconosce a tutti (non solo ai cittadini) la libera professione della fede religiosa. I costituenti hanno ritenuto opportuno dedicare alla libertà religiosa un capitolo a sè, segno che nella loro opinione una religione non fosse semplicemente un'idea come le altre, ma molto di più. Se infatti la religione fosse stata una concezione del mondo al pari delle altre, per tutelare la libertà religiosa sarebbero bastate altri articoli: il 18 per garantire le associazioni religiose, il 17 per le assemblee di fedeli, il 21 per la libera espressione delle idee religiose e così via.
La Costituzione, invece, dedica un intero articolo per garantire in special modo la libertà religiosa, non relegandola al piano privato (il culto può essere celebrato in pubblico e pubblicamente si può propagandare la fede), nè in qualche modo ostacolando la formazione di organizzazioni di fedeli. La professione deve poter avvenire in qualsiasi forma con l'unico limite del buon costume, ovvero la pubblica decenza.
Sulle facoltà riconosciute alle associazioni religiose, è stato dedicato perfino uno specifico articolo, il ventesimo della Costituzione.
Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.Dunque un'associazione religiosa deve vedersi riconoscere tutti i diritti che hanno le associazioni di altro genere, nessuno escluso. Il carattere religioso, inoltre, non deve nemmeno essere un limite alle attività svolgibili, motivo per cui un gruppo religioso potrebbe in teoria perfino sostenere linee politiche e prendere parte alla vita pubblica del paese in modo rilevante(e no, in tal caso non di potrebbe parlare di ingerenza).
Ciò che abbiamo visto fin qui potrebbe comunque far pensare ad una laicità di tipo americano: tutti i gruppi religiosi sono liberi e indipendenti e lo Stato, neutrale, non si interessa in nessun modo della vita religiosa del cittadino, che si può realizzare in tutto e per tutto in queste forme associative. Ma così non è.
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.Così recitano rispettivamente gli articoli 7 e 8 della Costituzione. Il primo è dedicato al rapporto tra lo Stato e la Chiesa cattolica, rapporto particolare perché la Santa Sede è soggetto di diritto internazionale. Il secondo, invece, è dedicato al rapporto tra lo Stato italiano e tutte le altre confessioni religiose. Il modello seguito in entrambi i casi non è quello della reciproca indifferenza, ma pattizio: lo Stato viene incontro alle associazioni religiose perché, mediante intese, esse possano svolgere il proprio ruolo (ritenuto evidentemente importante da parte dei costituenti) nel modo più efficace, anche contando di un rapporto con le istituzioni in qualche modo "personalizzato".
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Coloro che quindi credono che lo Stato dovrebbe fondamentalmente disinteressarsi della problematica religiosa e in nessun modo favorire le diverse confessioni, devono semplicemente sapere che non è questo il modello di nazione indicato dalla Costituzione, che ha preferito invece organizzare una repubblica inclusiva (non atea, non indifferente, non confessionale) in cui effettivamente si possa pienamente svolgere la personalità (come recita l'articolo 2) dei singoli individui.
Condivido con te l'essere cattolico e fautore di uno stato laico (che oggi non vedo). Vorrei suggerire come nel linguaggio dei dibattiti cattolici le parole vengono usate comunemente in senso diverso da quello che proponi. Laicista in particolare diventa un pò il dispregiativo di laico e si tende ad usarlo per identificare la tendenza a negare qualsiasi possibile politica "cattolica". La conseguenza del laicismo sarebbe allora quella di relegare la fede a fatto puramente intimistico e privato. Come cattolico penso anch'io che la fede come fatto solo privato non si regga ma il cortocircuito é immediato con chi vorrebbe fosse la fede ad illuminare ogni principio di convivenza civile. Tendenzialmentde il dissidio con la costituzione viene risolto non in nome della democrazia ma in nome di una dittatura della maggioranza.
RispondiEliminaIl problema allora non é solo semantico, e siamo noi cattolici a doverlo risolvere al nostro interno riqualificando la nostra testimonianza di fede. Esiste ancora lo spazio per un cattolicesimo democratico ? Ciao,
Luca
C'è qualche laicista che propugna l'eliminazione delle idee di origine religiosa dal dibattito pubblico, come anche qualche cattolico che, al contrario, pretende che lo Stato adegui la propria legislazione ai precetti religiosi. Entrambi sono fondamentalisti e,a rigore, antidemocratici.
RispondiEliminaIl cattolicesimo democratico (come l'ateismo democratico, l'islam democratico, l'ebraismo democratico e così via) si fonda invece sul principio che ogni idea debba avere cittadinanza nel dibattito politico, qualcunque provenienza abbia. Deve poi essere il dibattito politico, con gli strumenti rappresentativi, a vagliare tutte le proposte e, ragionevolmente, cercare tra tutte quelle più utili al bene comune, che poi è il fine della politica.
Postulare che un'idea non debba avere cittadinanza perché proviene da una determinata fonte o, come spesso al contrario fanno certi gruppi cattolici, pretendere che la legge si ispiri ad una dottrina aprioristicamente, solo perché questa dottrina è sostenuta dalla cosiddetta religione maggioritaria (ma fino a che punto?) del paese, allora questo significa fare a pugni col sistema liberale e democratico in cui viviamo. DEVE esistere un cattolicesimo democratico, pena la scomparsa del cattolicesimo come forza propulsiva nella società.