Paesi coinvolti nei disordini |
Nella cartina hanno colorazioni diverse la Tunisia (dove la rivolta ha già registrato un primo successo, anche se non è ancora conclusa), l'Egitto (dove la rivolta è in atto proprio in questi giorni), l'Algeria e il Marocco (paesi magrebini dove i tumulti ci sono stati, ma per ora principalmente per ragioni economici e non con l'incisività tunisina) e infine Mauritania, Siria e Giordania (toccate da fatti di minore rilievo, almeno per ora). Caso leggermente a sè è il Sudan, nazione da qualcuno definita Stato-rottame è che in questo periodo oltre alle proteste contro il suo dittatore sta vivendo anche lo spettro della secessione (o della dissoluzione).
Tutte le nazioni colorate sono rette da governi non eletti democraticamente, ma che, in un modo o nell'altro, sono funzionali agli interessi occidentali nella regione. Così l'Algeria è primaria per gli approvvigionamenti europei di idrocarburi, il Marocco e la Giordania sono cani da guardia contro l'ascesa di partiti antioccidentali di ispirazione religiosa e l'Egitto è un paese che ormai da anni collabora attivamente con Israele nel blocco totale contro la Striscia di Gaza. Non è caso che sia stato Blair, il responsabile per la promozione dei negoziati di pace tra Israele e Palestina, ad auspicare una transizione ordinata in Egitto al fine di evitare di cambiare gli equilibri nella regione (tradotto, di rendere meno salda la posizione di forza israeliana...). Solo la Siria è malvista dalle cancellerie americane ed europee per i suoi rapporti troppo stretti con l'Iran.
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