Il gruppo di destra Movimento per Roma, che sostiene la giunta Alemanno e che si colloca nella coalizione berlusconiana, ha tappezzato i muri della Capitale di manifesti che invitano a votare sì ai referendum di domenica prossima sull'acqua pubblica. Lo slogan della campagna è giù le mani dal nasone.
Il nasone è la fontanella pubblica, così chiamata per via della sua forma, una specie di alta bitta con in mezzo un lungo becco ricurvo (simile, appunto, a un lungo naso), oggetto facilissimo da incontrare passeggiando per le strade romane e che svolge una funzione utilissima non solo per i turisti, ma anche per i residenti che possono sempre contare su una fonte d'acqua gratuita e sempre disponibile.
Garantire la rete di fontanelle, dopo la privatizzazione, vorrà dire o costringere il nuovo gestore ad accollarsele col contratto di servizio o per il pubblico giungere al risultato aberrante di dover vendere l'acqua alle imprese private per dopo riacquistarla a prezzo maggiorato, ovviamente sfruttando risorse della fiscalità generale che dalle tasche dei cittadini andranno a finire a quelle degli azionisti della società di gestione. Nel primo caso le imprese cercheranno di fare tutto il possibile per limitare il servizio, in quanto fisiologicamente gratuito e in perdita, nel secondo i comuni dovranno affrontare spese aggiuntive, con il conseguente incentivo alla riduzione del servizio. In entrambi i casi, che destino per le fontanelle pubbliche?
Comunque una obiezione al nasone romano sarebbe molto facile: come si vede dalla foto, gli manca il rubinetto e dunque il getto d'acqua è continuo, giorno e notte, quando serve e quando non serve. La privatizzazione non dovrebbe fermare questo oggettivo spreco? Il privato erede della gestione delle fontanelle non dovrebbe intervenire sostituendo le fontanelle attuali con altre meno sprecone?
In realtà non è così semplice. Il privato potrebbe non essere incentivato ad affrontare le enormi spese di sostituzione (parliamo di migliaia di interventi su tutto il territorio comunale), dal momento che da un lato potrebbe considerare più semplice interrompere l'erogazione su quella rete (gettando così via il bambino con l'acqua, usando questa espressione decisamente calzante) e dall'altro, nel caso in cui questo servizio dovesse essere garantito dal contratto tra il gestore e il comune, al posto dell'immane investimento potrebbe essere preferibile lasciare tutto com'è e caricare sulle bollette dei privati la perdita. In breve, nell'ipotesi migliore non cambierebbe nulla.
L'unica soluzione a questo fallimento del mercato (espressione che indica il caso in cui le leggi della concorrenza non portano spontaneamente alla soluzione più auspicabile) sarebbe sempre l'intervento pubblico: il Comune deve prendere l'iniziativa e ordinare la sostituzione delle fontanelle. Ma se non lo fa ora che ne avrebbe diretto interesse, difficilmente deciderà di farlo quando tutta la faccenda sarà nelle mani di qualche imprenditore privato, magari straniero.
Va sempre ricordato che l'impresa per sua natura non tutela interessi collettivi, ma ha una funzione eminentemente economica. Anche se si constata il fallimento del pubblico nella tutela degli interessi collettivi, dunque, non si può cercare nel privato il tappabuchi, perché quello non è il suo ruolo e non si può pretendere che lo sia, se si vuole ancora garantire la libertà economica riconosciuta dalla Costituzione.
La soluzione dei problemi pubblici va ricercata negli strumenti pubblici, anche mediante uno sforzo di tutta la cittadinanza: l'attesa messianica del privato che risolve tutti i problemi, dell'uomo della Provvidenza che metterà ogni cosa in ordine, è giusto l'antitesi dello Stato assistenziale e non può che portare a grosse delusioni.
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