martedì 7 giugno 2011

La crescita prima di tutto su Corriere Economia

Sul Corriere Economia di ieri, a pagina 4, è apparso un intervento di Gian Filippo Cuneo, consulente manageriale. Il pezzo contiene una ricetta per la ripresa, formulata in risposta alla relazione di Draghi, ed è molto interessante farne l'analisi per comprendere cosa sia il PIL per alcuni osservatori economici.
La tesi è che sarebbe il settore pubblico una delle principali cause della stagnazione italiana: esso non è nel mercato, la sua produttività non aumenta e gli stipendi reali degli statali crescerebbero. Il settore privato, al contrario, è obbligato (a pena di fallimento) ad incrementare la produttività del 2% l'anno e ciò garantisce la crescita del PIL. L'impresa, continua, se un anno produce 100 e ha 100 dipendenti, l'anno successivo ne eliminerà due dall'organico e ne avrà 98, salvando la produttività. Evidentemente Cuneo non nota il meccanismo perverso di una crescita costruita sulla pelle dei lavoratori licenziati. Ma che importa? Si cresce per crescere, non per far stare tutti meglio!
Non si può che biasimare il pubblico che non fa periodicamente tagli al personale: «il concetto che gli occupati ed il loro costo debba e possa diminuire ogni anno non sfiora alcun politico o amministratore. C'è l'ipocrisia di definire ogni attività come un servizio al cittadino, indipendentemente dal fatto che il cittadino la richieda o dal suo costo. Essendo inoltre il settore pubblico inefficiente; e non essendo mai stato sottoposto alle cure manageriali tipiche di un'azienda, il potenziale di riduzione dei costi è molto superiore al 2% l'anno». Poi magari il nostro opinionista oggi sta borbottando perché le strade non sono sicure per mancanza di agenti o perché deve attendere mesi in lista d'attesa per un esame medico... ma forse lui si paga la vigilanza privata e va agli ospedali pubblici, a differenza di quei barboni dei lavoratori da licenziare al ritmo del 2% l'anno...
Continua quindi la brillante analisi di Cuneo: «C'è una bella differenza fra fare una centrale elettrica rispetto a occupare dei forestali per evitare che s'incendino i boschi». Anzi, sarebbe proprio da lasciare i boschi bruciare, così che poi potranno intervenire i palazzinari a produrre un po' di PIL cementificando il territorio. Ancora una volta sembra che agli occhi dell'opinionista la crescita non sia uno dei tanti strumenti per rendere la vita dell'uomo migliore, ma che sia il fine per il quale sacrificare ogni cosa: l'uomo, il benessere e l'ambiente.
Si passa dunque al cosa fare pratico. Occorre investire per aumentare la produttività, e fin qui l'idea è condivisibile, ma poi afferma che per rendere efficienti gli uffici si dovrebbe «creare competitività fra unità che fanno le stesse cose». Cioè, abbiamo una ASL da 100 dipendenti. Applicando la ricetta di Cuneo, dobbiamo eliminarne 2 e quindi ne restano 98. A questo punto dobbiamo creare una seconda ASL, con apparato burocratico, dirigenti e tutto il resto, per metterla in concorrenza con la prima. Questo sì che è un modo per risparmiare risorse, no?
Occorre annullare centinaia di migliaia di posti di lavoro, afferma il commentatore, in modo da trasferirli implicitamente al settore privato. Esattamente che cosa si deve ancora privatizzare? Gli ospedali? Le scuole? La polizia? L'INPS? Gli asili comunali? Perché i cittadini meno abbienti dovrebbero rinunciare a servizi essenziali per far ripartire una crescita che non avrà nessuna ripercussione sul loro benessere?
Alla fine la strategia di bilancio: non una ristrutturazione ragionata, ma tagli lineari. Proprio così, tagli lineari: via servizi e sprechi, eccellenze e stipendifici, ricerca e baronie. Perché, a suo dire, sono i tagli indiscriminati quelli che preparano l'ambiente (cioè seminano il panico) ad accettare qualsiasi ristrutturazione dopo, anche se da macelleria (avete presente Mirafiori?).
Alla fine, paradossalmente, si evoca la figura di Enrico Bondi, il commissario straordinario nominato per la Parmalat, il gruppo privato entrato in crisi per via del modo spregiudicato col quale il suo imprenditore gestiva gli affari, accumulando ingenti capitali privati e danneggiando così la collettività. Che forse anche il privato non sia la soluzione a tutti i mali del mondo?
A cosa servirà mai produrre qualche punto di PIL in più se poi complessivamente si sta peggio? E, ancora di più, torna utile aumentare la produttività delle imprese se poi, una volta creato uno stuolo di disoccupati e di poveri, non esisteranno consumatori che potranno acquistare i loro beni e servizi?

1 commento:

  1. Questo accade quando si sposta il fine dell'umanità, della storia, del mondo, in qualcosa di terreno e non superiore all'uomo. Solo se tutte le componenti umane, compresa l'economia, sono poste all'interno di un pensiero, un credo e unb'etica religiosa, l'interesse per il benessere di tutti può sussistere.

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