Gli indignados spagnoli hanno fatto la loro parte e ora scompaiono dalle cronache, in attesa di farlo anche dalle piazze. Si è votato alle elezioni locali, tutte le principali amministrazioni di centrosinistra sono passate al centrodestra e l'alternanza del bipolarismo ha vinto ancora, senza produrre nessun cambiamento reale. Almeno per ora.
Paradossalmente, ha vinto quella parte politica (la destra) che è tradizionalmente più vicina ai valori del liberismo e che sostiene per sua ideologia l'allentamento delle regole e dei vincoli per dare libertà al mercato. Cioè hanno vinto i primi sostenitori del sistema che ha causato la crisi in atto.
Il movimento 15 Maggio era nato raccogliendo istanze eterogenee, non come protesta contro vere e proprie scelte politiche o con una critica lucida al modo di concepire l'economia, ma come lamentela per la crisi economica e i tagli ai quali il governo è costretto dalle dissestate casse statali. Una presa di posizione, dunque, contro un risultato, non contro le sue cause.
I 15-M non avevano una base teorica alle spalle che permettesse loro di formulare una proposta politica e ciò ha loro precluso la partecipazione alla formazione della volontà popolare col metodo democratico. Una vampata che, incapace di produrre idee rappresentabili, è destinata a disperdersi dopo lo sfogo iniziale: nessun candidato o politico può impegnarsi a soddisfare i bisogni della gente se essi non si traducono in proposte chiare.
Non è da tutti produrre sistemi teorici, ma qualcuno che li formuli è indispensabile per cambiare il mondo. Il '68 non avrebbe avuto senso senza la Scuola di Francoforte e il 1789 non sarebbe stato possibile senza gli illuministi: ciò che trasforma un tumulto in una rivoluzione e in una svolta è un programma politico. La rivolta di piazza, semmai, è l'opportunità per realizzare questo progetto, ma non può in alcun modo precederlo o farne a meno, pena il fallimento.
Ora gli indignados sembrano destinati all'oblio se la rabbia non condurrà alla riflessione. Occorre allora che siano gli intellettuali a prendere in mano la questione, partendo dalla ragionevole considerazione che il fallimento di un sistema è forse il segno della sua inadeguatezza e della necessità di una riforma profonda, se non proprio della sua sostituzione con qualcosa di meglio e di nuovo.
Meglio e nuovo rispetto al capitalismo purtroppo non c'è niente, a meno che qualcuno non abbia la forza di utilizzare la sintesi fra i due estremi proposta dalla Chiesa cattolica ormai da tempo.
RispondiEliminaNon conosco la questione di cui si parla, ma, in generale, non considererei un movimento con ideologie e programmi politici non chiari e omogenei destinato al fallimento e all'oblio. Il fascismo raccoglieva al suo interno un po' di tutto, era nato da sinistra e della sinistra manteneva varie istanze, mischiandole con altre di destra e del liberalismo. Era un guazzabuglio di idee e credi, tenuto assieme dal capo carismatico e dalla lotta contro il comunismo. Solo dopo si è via via chiarito cosa fosse il fascismo.