martedì 7 giugno 2011

Voluit igitur aliquid quod non habebat nec tunc velle debebat

Il titolo è una citazione del De Casu Diaboli (ovvero, in latino, La Caduta del Diavolo), dialogo di Anselmo d’Aosta: volle [Lucifero] quindi qualcosa che non aveva, né allora doveva volere, cioè volle essere pari a Dio. Questa colpa quindi, come il più celebre peccato originale di Adamo, coincide con l’ambizione dell'essere pari a Dio: solius enim Dei esse debet sic voluntate propria velle aliquid, ut superiorem non sequatur voluntatem, deve essere solo proprio di Dio il volere qualcosa di propria volontà, senza seguire una volontà superiore.
Queste considerazioni del Doctor Magnificus, come è chiamato Anselmo, meritano delle riflessioni aggiuntive, per non essere fonte del solito fin troppo banale fraintendimento. A prima vista, infatti, questo periodo sembrerebbe essere un inno all’asservimento e alla subordinazione del pensiero e dell’agire umano ad una volontà superiore; una volontà che ordina e dispone, senza concedere possibilità di appello, in modo totalitario e totalizzante.
Invece la ribellione contro questa volontà (il peccato di Lucifero, nel nostro racconto) apparirebbe un atto di umanità, un gesto di libertà, perché solo nel superamento della sudditanza e nel raggiungimento dello stato "divino" l’uomo acquisterebbe tutta la propria dignità, prima compressa dalla sottomissione. In una visione molto miltoniana, il diavolo e Adamo si assocerebbero in un moto di rivolta contro un ordine totalitario, oppressivo e intollerante nei confronti delle scelte diverse, cercando di imporre se stessi come artefici del proprio destino.
Il discepolo del dialogo, il quale svolge il ruolo di controparte del maestro che esprime le idee dell'autore, è tuttavia meno superficiale nella lettura e ci mette poco ad obiettare che qualcosa non quadra nel desiderio di raggiungere Dio: si Deus non potest cogitari nisi ita solus ut nihil illi simile cogitari possit, quomodo potuit diabolus velle quod non potuit cogitare? Se Dio non può essere pensato se non come unico, tale che niente di simile a Lui possa essere pensato, come ha potuto il diavolo voler [essere] ciò che non poteva nemmeno pensare?
Obiezione apparentemente formalistica, questa, ma che dà l’opportunità al maestro di rispondere spiegando che il diavolo (e, in conseguenza del parallelo portato avanti nel dialogo, anche l’uomo) non nutriva il desiderio di rendersi esattamente tale a Dio, dato che lui stesso sapeva bene che non sarebbe stato possibile, ma semplicemente quello di rivestire un ruolo e un grado quasi simili. Colpa certamente non minore.
Ma colpa di che genere? Di sicuro non è colpevole il tentativo di migliorare se stessi al fine di raggiungere un livello maggiore di perfezione, poiché questo tipo di agire non può che essere positivo e ricco di conseguenze benefiche per sè e per gli altri. E il discorso non si riduce certamente al solo orgoglio, per cui il fallo starebbe nel voler essere ciò che non si può diventare, ad onta dei limiti e dell’ordine del mondo.
Forse ha più senso vedere il tentativo di rendersi pari a Dio non in relazione al rapporto tra la creatura e il Creatore che si vuole spodestare, ma a quello tra creatura e creatura: il non cercare di farsi grandi per essere grandi, ma al fine di essere superiori ai propri simili, per essere divini ai loro occhi ed essere in grado di imporre loro il proprio potere e la propria volontà . Ut superiorem non sequatur voluntatem, per non dover seguire una volontà superiore, cioè essere i padroni di sè e degli altri.
Non quindi una ricerca della libertà, ma un tentativo di rompere ogni limite per rendere se stessi gli appositori dei limiti, trasformando gli altri da simili ad asserviti.

1 commento:

  1. Sinceramente, secondo me sono tutte queste cose assieme: il peccato d'orgoglio, di voler essere colui che pone il giusto e l'ingiusto, il bene e il male, di voler prevaricare sulle altre creature, di voelr essere come Dio (come Dio, non Dio...).
    O, perlomeno, questa è la parte che al Diavolo è stata assegnata e ha accettato di recitare...

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