lunedì 7 novembre 2011

Alla frutta

Sì, se ne va. No, non se ne va. E' questione di ore. No, resiste. La maggioranza c'è, la maggioranza non c'è...
In un'agonia senza fine, il governo, che per tre anni ha negato l'esistenza della crisi e che ancora qualche giorno fa la derubricava ad un fenomeno passeggero, che non ha fatto assolutamente nulla mentre le borse crollavano ed i tassi di interesse sul nostro debito pubblico schizzavano alle stelle, alla fine ha consegnato il paese nelle mani degli strozzini del Fondo Monetario Internazionale.
Che un latin-lover che va ai meeting europei giusto per guardarsi qualche fondoschiena, un vecchietto che pare che sia costretto a versare centinaia di migliaia di euro a faccendieri perché loro non testimonino nei processi a carico del satrapo, fosse troppo preso dagli ultimi rigurgiti di testosterone per badare al bene pubblico sembra scontato. Eppure si trova sempre in parlamento qualche macchietta come Scilipoti a sostenerlo e sui giornali ed in televisione qualche maggiordomo come Ferrara ad incensarlo.
Del resto è stato il Popolo Sovrano, non solo ad eleggerlo, ma ad incoronarlo: il nostro piccolo Napoleone ha sempre affermato candidamente di trovare la democrazia solo un impiccio, di volere tutto il potere per sè, senza limiti, di aspirare ad essere un monarca assoluto, il Re Sòla, più che un presidente del consiglio.
E solo ora che si scopre che il Cesare a-loro-immagine-e-somiglianza ci sta trascinando tutti nel baratro, c'è chi si rifugia in un'antipolitica ovina (tanto i politici sono tutti uguali - come se questo bastasse come assoluzione!) e chi invece si aggrappa alla figura del Capo, povera vittima di non si sa bene cosa.
La conferenza stampa che ha seguito il G20 è sembrata l'ultima superba festa di corte, dove sono state ripetute come un mantra le solite fandonie e dove Berlusconi e il suo non più fido Tremonti hanno dato sfoggio di tutta la residua arroganza di chi non sa più che pesci pigliare, ma che si sente comunque in una botte di ferro. Adesso non resta che aspettare la fine dell'incubo, sperando che nel risvegliarci non andremo incontro a qualcosa di persino peggiore.

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