venerdì 29 luglio 2011

Lo sconto sull'abbonamento del bus per un impiegato è un orribile privilegio?

Il Fatto Quotidiano locale dell'Emilia Romagna scopre degli inquietanti privilegi nei palazzi del potere della regione e della provincia e del comune di Bologna. Lo scandalo starebbe nel fatto che questi tre enti abbiano inserito nella contrattazione collettiva con i propri dipendenti la possibilità di usufruire di una convenzione, stipulata con l'azienda bolognese dei trasporti pubblici, che permette di avere a prezzo agevolatissimo l'abbonamento annuale per gli autobus.
Forse il cronista ignora che è pratica diffusa tra i datori di lavoro quella di accordarsi con imprese erogatrici di servizi per garantire ai propri dipendenti l'accesso alle prestazioni a costo vantaggioso: mense aziendali, buoni pasto, servizi navetta, tariffe telefoniche speciali e abbonamenti ferroviari sono solo alcuni dei benefit che sono comunemente concessi. Talvolta, invece, ai lavoratori sono concessi prodotti e servizi aziendali a integrazione della retribuzione (pensiamo alle corse gratuite per i ferrovieri) o benefici finanziari (partecipazioni agli utili o azioni).
Gli enti locali dell'articolo hanno deciso di inserire la suddetta clausola contrattuale a vantaggio dei dipendenti e ciò basta a far gridare al giornalista che siamo davanti ad un orribile privilegio, giusto perché, in ossequio a una legge dello Stato, si è fornito un abbonamento per gli autobus a un dirigente pubblico invece che concedergli un aumento salariale (che sarebbe quasi naturale se alla prossima contrattazione si decidesse di togliere questa agevolazione) perché si compri un SUV con cui andare in ufficio...
Un abbonamento è un giro d'affari di 300 euro all'anno (non al mese) e in realtà la perdita per la municipalizzata è (per quanto riguarda la provincia) di 90 euro (sempre all'anno), a fronte di una fonte sicura di entrate e di centinaia di clienti fissi garantiti: è chiaro che se si forniscono migliaia di abbonati uno sconto del 30% può anche sembrare vantaggioso all'esercente.
Se più imprese facessero accordi di questo tipo con le aziende di trasporto pubblico, da un lato elimineremmo molte auto dalle strade, dall'altro garantiremmo alle municipalizzate una fonte sicura di entrate che metterebbe al riparo i loro piuttosto dissestati bilanci. L'acquisto in stock conviene sia al venditore che al compratore.
Più che improprio è il paragone tra questi accordi e le agevolazioni concesse a studenti e pensionati, perché un conto è ciò che l'amministrazione concede come prestazione al cittadino, un conto è la sua azione come soggetto di diritto privato nel rapporto di lavoro. In questa seconda sfera si può opinare l'ammontare totale delle risorse spese (se eccessivo, può essere uno spreco di denaro pubblico), ma non il modo in cui tali risorse vengono impiegate (non si può sindacare il fatto che il lavoratore abbia diritto a buoni pasto piuttosto che ad un bonus in busta paga equivalente).
Si obietta, poi, che gli sconti avverrebbero senza badare al reddito del dipendente. Così si cade nello stesso errore su indicato: non siamo davanti ad una prestazione fornita ai cittadini, ma ad una clausola contrattuale. A tutti i lavoratori è offerta un'opportunità sulla base di una convenzione di diritto privato, indipendentemente dalle condizioni personali e dall'effettivo bisogno (mettiamo il caso del dipendente che abita davanti al proprio ufficio). Il diverso contratto dei dirigenti, non a caso, ha previsto condizioni diverse (nello spedifico più onerose, ma potevano anche, legittimamente, essere migliori) e, nel caso della Provincia, non ha proprio concesso il benefit.
Ma dato che si doveva montare il caso per fare lo scoop, si è deciso di ignorare tutto questo e di sparare una denuncia priva di senso.

mercoledì 27 luglio 2011

Il terrorista di Oslo figlio del nostro mondo

Nella grande operazione di catarsi collettiva avvenuta dopo la strage di Oslo, il terrorista "fallaciano" Breivik ha ricevuto dalla stampa occidentale e da tutta l'opinione pubblica l'etichetta di pazzo. Pazzo perché non è possibile che un europeo normale abbia compiuto un gesto del genere nel pieno delle proprie facoltà mentali. Pazzo perché deve essere antropologicamente quanto di più diverso possibile da noi per non costringerci ad interrogarci su cosa c'è di sbagliato nel nostro civile mondo occidentale.
Parallelamente, l'idea che Breivik possa essere condannato solo a ventun anni di reclusione scandalizza la gente: un mostro simile dovrebbe essere rinchiuso per sempre, si dice!
Ora, delle due l'una: o l'uomo è pazzo, e allora non è responsabile delle proprie azioni e non va punito, ma aiutato, oppure è un lucido criminale stragista che, soffocando ogni senso di umana pietà, ha deciso che massacrare 75 persone a caso è un mezzo idoneo per raggiungere il fine superiore della salvezza della civiltà occidentale.
Ma il folle non è imputabile, a differenza del malvagio, e per questo l'avvocato difensore ha già sostenuto l'infermità mentale del terrorista, in accordo con la stampa e con la vulgata popolare. Ma perché Breivik dovrebbe essere pazzo, se nelle sue 1500 pagine di manifesto non c'è una sola idea originale, ma solo pensieri da tempo ampiamente condivisi da politici e commentatori nostrani?
E' da dieci anni che siamo bombardati di propaganda islamofoba e razzista sui pericoli che la nostra civiltà starebbe correndo, sul fatto che i musulmani starebbero cercando di conquistarci, sul pericolo mortale che la nostra civiltà e la democrazia stessa correrebbero a causa delle ondate migratorie. Le moschee sono bollate come covi di terroristi, chi denuncia il razzismo viene etichettato come un dhimmi venduto all'Islam e i partiti xenofobi prendono fiumi di voti e in alcuni paesi (come il nostro) vanno al governo.
La violenza e la morte sono state magnificate da politici e giornalisti embadded che ci raccontavano cronache trionfali sulle guerre in Afganistan e Iraq, dove un massacro come quello di Falluja, degno di un Tamerlano in cacciabombardiere, era minimizzato e considerato indispensabile per vincere. Anche le garanzie processuali minime sono state derogate in nome dello scontro di civiltà in atto, della guerra del bene contro il male da combattere a costo di qualunque prezzo in vite umane (mediorientali).
Per la sicurezza di uno Stato, si è giustificato il massacro dell'operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza, l'uccisione di una decina di pacifisti a bordo della prima Freedom Flotilla e l'occupazione perdurante di gran parte dei Territori Palestinesi. Per il contenimento del fenomeno migratorio, invece, si sono chiusi gli occhi davanti ai naufragi dei barconi dei clandestini nel Mediterraneo e i paesi dell'Europa Meridionale si sono palleggiati centinaia e anche migliaia di esseri umani per non doversi accollare personalmente l'onere del mantenimento e dell'eventuale rimpatrio.
Gente come Oriana Fallaci, Marcello Pera, Magdi Cristiano (o Crociato?) Allam e compagnia cantando si è mantenuta per anni seminando odio, qualche sparuta donna velata è stata resa un caso mediatico mondiale e verso chiunque chiedesse moderazione davanti alla deriva xenofobo-populista si è usato l'epiteto di radical chic, liberal ignaro delle sofferenze e delle vessazioni subite dalla gente comune (causate dalla presenza di una decina di donne col niqab in tutta la Francia?), collaborazionista col nemico dell'Occidente...
Adesso, dopo che per dieci anni si è seminato tutto questo ed è diventato normale pensare idiozie del genere, una persona che condivide queste idee e che ha l'idea idiota di metterle in pratica personalmente, senza sguinzagliare qualche aereo da combattimento a farlo per sè, viene bollata come pazza. No, Breivik non è un pazzo se non nella misura in cui tutta la nostra società è in preda ad una pazzia collettiva: Breivik è solo il frutto più maturo di un'ideologia intrinsecamente violenta e intollerante che si è diffusa capillarmente in tutto l'Occidente e che ancora oggi, dopo Oslo, nessuno si sogna di ripudiare.

martedì 26 luglio 2011

Notti greche

La Grecia pare che si salverà, grazie alla mancia europea (anche nostra). Ogni tanto ci tocca ripianare il frutto del bengodi altrui.

Bucchi su Repubblica

In compenso i greci sono efficientissimi quando si tratta di respingere le barche dei pacifisti, su richiesta dei loro nuovi amici.

lunedì 25 luglio 2011

Otto per mille, una questione di trasparenza

Un leitmotiv dell'anticlericalismo è l'esistenza dell'otto per mille, vero scandalo e segno della corruzione insanabile della Chiesa cattolica. Non tollerano, questi critici, che una simile somma di denaro possa giungere al clero con questa regolarità e non accettano che la maggior parte di questo contributo sia destinata al sostentamento degli ecclesiastici e alle spese di gestione dell'organizzazione.
Al contrario suscitano molta ammirazione quei gruppi protestanti (Valdesi in primis) che dichiarano di impiegare tutte le somme dell'otto per mille per opere di carità, senza tenere nulla per sè e autofinanziandosi in altro modo. Appunto, questo è il vero problema: in quale altro modo si autofinanziano?
Purtroppo, a differenza che per l'otto per mille, di cui conosciamo l'ammontare e l'impiego di ogni beneficiario, di queste altre fonti di finanziamento delle organizzazioni religiose (Chiesa cattolica inclusa) non sappiamo e non possiamo sapere niente. E' Dio che fa piovere manna dal cielo? Oppure sono rendite finanziarie? O, infine, sono semplicemente elargizioni di misteriosi donatori che per noi restano anonimi, ma che per il ministro di turno hanno nome, cognome e volto, oltre che interessi da tutelare?
Valutando con scetticismo la prima ipotesi e sospendendo il giudizio sulla seconda, resta che la maggior parte delle entrate fuori dall'otto per mille sono rappresentate dai donativi dei privati, che siano fedeli oppure no.
Se sono fedeli, è chiaro che ci sarà chi potrà donare di più e chi potrà donare di meno: il ministro del culto sarà più attento a non urtare la suscettibilità di chi dona cinque euro alla settimana, oppure di chi ne versa cinquecento più altrettanti per le ricorrenze particolari? E come può, per esempio, un religioso cristiano decidere di scagliarsi una domenica contro la ricchezza se il suo sostentamento dipende dal denaro di un possidente generoso? E, tra i musulmani, sicuri che il tenore dei sermoni dell'imam non varierà a seconda di chi sarà il ricco contribuente straniero che sosterrà la moschea?
Se invece le donazioni provengono da persone estranee alla comunità, lo scenario diventa allora tragico: che interesse hanno costoro a contribuire? E, se contribuiscono in modo rilevante, possibile che non avranno un peso abnorme nella vita religiosa, tanto da riuscire a controllare da dietro le quinte il ministro così dipendente dalla loro generosità?
Infine, alcuni gruppi religiosi (come i veterocattolici) sostengono di essere indipendenti perché i loro ministri, non percependo nulla dalla comunità, hanno l'obbligo di lavorare per vivere. Ottima cosa, il lavoro teoricamente garantisce l'indipendenza economica. Teoricamente, perché occorre vedere che lavoro è: un ministro negoziante, per esempio, potrebbe non aver voglia di fare affermazioni scomode che allontanino i suoi clienti; un ministro lavoratore dipendente, invece, potrebbe doversi ogni tanto chiedere se ciò che predicherà favorirà o meno il suo licenziamento, visto che prima di rispondere a Dio o ai fedeli dovrà garantirsi la benevolenza del datore di lavoro che gli dà di che vivere.
Tornando alla Chiesa cattolica, qualsiasi lobby farebbe i salti di gioia se venissero strappati alla Chiesa gli unici soldi sicuramente puliti che essa gestisce. Nel mare delle dichiarazioni dei redditi, non ha alcun peso la minaccia del singolo di dirottare il proprio contributo altrove se la Chiesa non dovesse essere abbastanza pronta ad esaudire le sue richieste. Al contrario, le buste al parroco o al vescovo hanno un potere di convincimento e di ricatto notevolmente superiore.
Peggio ancora va se l'autofinanziamento dell'organizzazione religiosa proviene da attività economiche, ovvero da rendite finanziarie: ogni volta che si entra nel mondo del lucro ogni scopo ideale muore a vantaggio del torbido tornaconto economico immediato.

sabato 23 luglio 2011

Una gita in elicottero per Renata Polverini

Esistono tre modi per andare da Roma a Rieti, due accessibili a tutti, uno riservato a pochi. Il primo è imbottigliarsi in macchina (o in bus: € 4,10 sulle linee Cotral) sulle autostrade o sulle strade statali (che sono in gran parte regionalizzate), il secondo è prendere un treno regionale (cioè cofinanziato dalla Regione Lazio) fino a Terni, per poi lì cambiare (non esiste ancora il diretto!) e così raggiungere la destinazione, al costo di € 11,95 in prima classe e 8,60 in seconda. Così sono tenuti a fare tutti i cittadini del Lazio.
Esiste, però, una cittadina più cittadina degli altri che può permettersi un mezzo alternativo per raggiungere la Festa del Peperoncino reatina senza dover subire i disservizi della viabilità della regione che presiede e potendo in questo garantirsi un arrivo molto più ad effetto. Parliamo, naturalmente, di Renata Polverini, la presidente del Lazio che ha vinto le elezioni sull'onda dello scandalo dei trans di Marrazzo e contestando il nichilismo morale dell'avversaria Emma Bonino, e del suo formidabile elicottero (pubblico?) giunto agli onori delle cronache nazionali.
Per prima cosa, viene da chiedersi quanto è costata ai contribuenti questa gita/inderogabile impegno istituzionale che era così urgente e cruciale da meritare persino la creazione di un ponte aereo tra Roma e Rieti. In secondo luogo ci chiediamo se il simpatico signore, aspirante picchiatore, che la Polverini si portava accanto abbia un regolare contratto da body guard o, quantomeno, da camicia nera autorizzata.
In sostanza, però, il problema è il segnale che la Polverini ha lanciato a tutti coloro che vivono e viaggiano in Lazio: a lei non gliene importa nulla se le strade sono o meno insufficienti, il servizio ferroviario lacunoso e il complesso del sistema dei trasporti non idoneo a permette di muoversi agevolmente da un capoluogo all'altro, perché tanto lei ha corsie preferenziali e mezzi così esclusivi da non rischiare in nessun momento di provare sulla propria pelle l'esperienza delle persone comuni..
Se il modello ideale sarebbe quello del sindaco newyorkese che gira in metropolitana perché riesce a garantire ai cittadini il servizio che vorrebbe per sè, quello peggiore è la Polverini che se ne frega del servizio che lei offre alla gente comune perché, a spese nostre, si garantisce una situazione non solo migliore dal punto di vista quantitativo (come sarebbe una tribuna VIP, un'auto blu o un volo privato), ma soprattutto da quello qualitativo: nessuno - o quasi - può bypassare in elicottero come lei la pessima viabilità per Rieti.
A Maria Antonietta, che in mancanza di pane suggeriva al popolo di mangiare brioches, poteva essere riconosciuta la scusante di una grottesca ignoranza. Al contrario, l'ex sindacalista di destra ha dimostrato il menefreghismo pieno tipico di chi è consapevole dei propri privilegi ed altrettanto consapevole che la gente comune non può avere il diritto nemmeno di sognarsi di goderne di simili. Una mentalità, usando un termine molto in voga, di casta.

giovedì 21 luglio 2011

La fabbrica dei santi e il prodotto Pio XII

Il principale rimprovero che si muove a Pio XII è il suo silenzio: silenzio (e simpatia) davanti al consolidamento del Nazismo, silenzio davanti alle persecuzioni antiebraiche (ma non solo), silenzio davanti ai rastrellamenti nella stessa Roma. Di contro, coloro che da parte cattolica vogliono difendere la figura del Principe della Chiesa, sostengono che il silenzio all'epoca fosse indispensabile per evitare che le truppe tedesche avviassero per ritorsione una vera persecuzione ai danni della Chiesa: il basso profilo sarebbe servito all'azione di aiuto sotterraneo portata realmente avanti dalla Curia. A riprova, si presenta il caso dell'Olanda, dove la conferenza episcopale locale, a fronte del silenzio di tutte le altre confessioni religiose, condannò i nazisti ed espose i cattolici ad una dura rappresaglia.
Oggi, invece, Benedetto XVI, il paladino della canonizzazione di Pio XII, fa la voce grossa contro la Cina, paese in cui esistono due cattolicesimi, il primo clandestino, in comunione con Roma e perseguitato dal governo, il secondo (minoritario) ufficiale e costituente la "Chiesa patriottica". Si minaccia quindi l'anatema contro tutti i cattolici che accetteranno cariche ecclesiastiche dalla Chiesa di regime, si condanna Pechino per la rottura dei negoziati con la Santa Sede e si pretende la piena libertà religiosa. Per rinfrancare i cristiani di laggiù, la Curia dorata ricorda gli esempi di Stefano e dei martiri dei primi secoli, invitando tutti a rimanere saldi e coerenti nonostante le avversità del mondo.
Dunque, il vescovuccio cinese senza pretese di santità deve resistere a qualunque costo davanti alla minaccia concreta delle leggi penali del suo paese, mentre un romano pontefice, che tra qualche anno ci ritroveremo sugli altari, faceva bene a tacere e a far finta di nulla per tutelarsi dall'eventualità di un'ipotetica repressione nazista ai danni della.... totalità della popolazione italiana dell'epoca!
E' lampante il paradosso di una Curia che da un lato cerca di far rispettare una plurimillenaria convinzione costante della Chiesa (la coerenza), mentre dall'altro porta avanti un assurdo processo canonico per il più chiacchierato pontefice del XX secolo, probabilmente solo per far felici quei tradizionalisti che vogliono liquidare come un'età di mezzo tutto ciò che è avvenuto dal tempo di Giovanni XXIII e della sua infausta idea di concilio alla svolta conservatrice dell'attuale pontificato. Oppure, ma sarebbe ancora più triste e patetico, Benedetto XVI vuole lanciare un messaggio ai vari sedevacantisti: il pontefice attuale è il successore legittimo e diretto di Pio XII.
Altre ragioni per canonizzare l'ennesimo santo del Novecento non ce ne sarebbero. Tutta la faccenda, al contrario, rimarca la distanza siderale tra l'idea originaria di santificazione (il popolo che riconosceva in una persona scomparsa veramente speciale un sicuro salvato) e ciò che l'istituto è diventato dopo la deregulation di Giovanni Paolo II: una fabbrica in serie di centinaia di nomi sconosciuti alla quasi totalità dei cattolici. Ormai non è più il santo come persona ad essere un messaggio, ma è la statistica dei santi a voler dimostrare (dichiaratamente) che la Chiesa esisterebbe ancora e che la salvezza è alla portata di tutti.
Il risultato non può che essere uno svuotamento del significato della canonizzazione con conseguenti disaffezione della gente per i santi (salvo che non si tratti del canonizzato della parrocchia o del movimento ecclesiale di turno) e ulteriore secolarizzazione della società.

sabato 16 luglio 2011

L'escort (presunta) e il Presidente. La nuova serie

Mi hanno obbligata a parlare per ricattare Silvio Berlusconi, rivela Patrizia D'Addario, l'escort che tempo fa sputtanò (letteralmente) Silvio "Cesare" Berlusconi. Intervistata in esclusiva su Libero (ma la versione completa c'è solo nell'edizione cartacea), ci informa che sarebbero state delle forze oscure ad utilizzare lei per colpire il Presidente, povera vittima di un sinistro complotto. Ma andiamo con ordine.
Già il cappello in prima pagina ci informa che la D'Addario non sarebbe mai stata un'escort e che l'onesta signora è venuta a Roma per essere ricevuta dal suo compagno di lettone di Putin. Per fortuna Cristiana Lodi, l'intervistatrice, ci assicura che loro di Libero si sono immediatamente presi la briga di avvertire il Cavaliere della visita imminente.
Poi si ricostruiscono i fatti in modo un po' fantasioso, sostenendo che il sexgate pugliese sarebbe stato il preludio dell'attacco togato milanese per il caso Ruby, quando in realtà l'indagine della procura di Bari sul giro di Tarantini è un'inchiesta del tutto indipendente rispetto a quella di Milano, nata dalla famosa telefonata nottura di Silvio a una questura volta a far liberare la nipote di Mubarak.
Non vengono negati i rapporti sessuali tra "Patty" e Silvio, nè che lei avrebbe registrato tutto (del resto, le abbiamo sentite tutti le registrazioni), ma si sottolinea più volte che la donna non sarebbe mai stata una prostituta, che quelle notti sarebbero state solo delle scappatelle del Premier (che negli anagrammi fatti fare alle olgettine era sempre l'unico boss virile - Silvio Berlusconi), uomo premuroso e gentile. Lei non avrebbe avuto alcuna intenzione di ricattarlo pubblicando i nastri, mentre la sua successiva esposizione mediatica sarebbe stata architettata e favorita dal suo avvocato Maria Pia Vigilante.
Ma perché un'amante dovrebbe registrare gli incontri amorosi? Perché, ci spiega Patty, il suo ex la picchiava e, per denunciarlo, aveva dovuto cominciare a registrarlo: il registratore da allora sarebbe il suo angelo custode che le garantisce di poter sempre provare ciò che fa e subisce. Eh, sì, lei non è andata a letto col Papi per soldi, ma perché rimase infatuata dal fascino di un uomo da cui temeva di essere aggredita...
Ma perché la finta escort avrebbe reso pubbliche le registrazioni? Ma, ovviamente, perché delle forze oscure l'avrebbero perseguitata a lungo: avrebbe ricevuto minacce (da parte di chi e di che tenore?), avrebbe subito un furto in casa (anch'io una volta, ma non rilascio interviste a Libero per denunciare complotti) e sarebbe stata perfino violentata da un carabiniere, mai identificato (proprio come l'aggressore di Belpietro, il direttore del giornale) ed entrato nel suo appartamento (in alta uniforme, forse) probabilmente per cercare i nastri (questo deve averlo compreso grazie a delle sue sconosciute doti telepatiche).
Lei aveva paura e l'avvocato le avrebbe suggerito di depositare in Procura quel materiale per non essere accusata di falsa testimonianza (in che procedimento?) ed estorsione (ai danni di chi?), assicurandole anche che, se avesse denunciato, avrebbe avuto soldi e celebrità (e la finta escort Patty per soldi e celebrità avrebbe diffamato l'uomo più potente d'Italia?). Così la poverina è andata dai magistrati e, tra pressioni continue da una parte (ma quale?) e gli inquirenti dall'altra, avrebbe montato il caso.
Ma chi avrebbe rivelato in giro che la D'Addario aveva quei nastri? Sarebbe stata Barbara Montereale, la escort che andò con lei a Roma per conto di Tarantini. Ma che cosa ci facesse una finta escort in compagnia di una vera escort e di un noto protettore come Giampiero Tarantini non ci viene spiegato.
Ora, continua lei, è rovinata, non ha avuto i soldi e la celebrità che le avevano promesso e la sua immagine è compromessa. Non è che adesso sono stati quelli di Libero a prometterle nuovi soldi e celebrità per farle rilasciare quest'intervista?
Lui ha ragione quando afferma che certi magistrati lo perseguitano ingiustamente e lo colpiscono nella vita privata solo per cancellarlo dalla scena pubblica, deduce la pseudo-escort, ripetendo una delle frasi fatte della stampa pidiellina. Ma da cosa lo ha capito? E poi, non era stato il suo avvocato a dirle di andare in Procura? Non erano state delle forze oscure a perseguitarla? Che c'entrano ora i magistrati?
Patty si lamenta di non aver nemmeno potuto fare il proprio residence per scadenza dei permessi (insomma, Silvio l'ha tradita), anche se in realtà lei non aveva domandato nulla al Presidente, fu lui a prometterle aiuto per poi non riceverla più. E così la D'Addario, spinta dalle forze oscure (la Spectre?), decise di sputtanarlo (quindi, caro Silvio, qualunque cosa deciderai di concederle quando ora vi incontrerete a Roma, cerca di non essere il solito Pinocchio, perché lei è vendicativa!). Ma allora a spingerla a rivelare tutto fu il tradimento di Silvio o l'azione delle forze oscure?
Quindi il suo avvocato le avrebbe posto un'imboscata programmandole un'intervista a sua insaputa e lei, dopo aver pianto perché non la voleva rilasciare, si sarebbe lasciata convincere (dall'idea della celebrità o dalla voglia di vendetta?), per tutelare la famiglia (ma da chi?). Ma i perfidi giornalisti che hanno fatto nella notte, prima di pubblicare? Avrebbero alterato le bozze (e perché, allora, nelle interviste video e audio ha sempre confermato tutto? Era una sua imitatrice a rilasciarle?) e poi le avrebbero fatto firmare le liberatorie a tradimento.
Quindi la finta escort spiega che lei in realtà è una donna d'un pezzo, che si sarebbe finta prostituta solo per risultare credibile quando denunciò il suo ex per sfruttamento della prostituzione, spacciandosi cioè per sfruttata (ma se fosse così la D'Addario sarebbe nientemento che una calunniatrice) in modo da conquistarsi la fiducia degli inquirenti. Per questo Silvio non avrebbe mai potuto sospettare che lei fosse una escort: perché lei non lo era mai stata (ma forse il giro di papponi e prostitute che frequentava avrebbe potuto far scattare qualche campanello d'allarme nell'entourage di Cesare).
Infine ci racconta che Tarantini sarebbe stato per lei un mezzo sconosciuto. Quando si incontrarono le avrebbe proposto subito di andare a cena dal Presidente: facciano attenzione, dunque, le signore per bene che incrociano Giampi Tarantini, perché lui potrebbe invitarle a sorpresa ai festini del Cavaliere!
Ma non è vero che il mezzano l'avrebbe pagata. Semplicemente le avrebbe dato un rimborso spese per il viaggio, cioè mille euro (Bari-Olbia-Villa Certosa è un itinerario piuttosto costoso, vedo), invece dei duemila inizialmente pattuiti, ma con la calusola di passare la notte con Silvio. Strano rimborso spese, che valuta mille euro il tragitto tra il soggiorno e la camera da letto di Villa Certosa, ma non considera che Patty dovette pagarsi l'albergo per quella notte.
Così finisce l'intervista, accompagnata da un fondo di Maurizio Belpietro (altro specialista di complotti e agguati) che spiega perché ora cambierebbe tutto. In realtà, visto che la nuova versione è identica a quella ufficiale propagandata dal Cavaliere e dai suoi giornali, non cambia assolutamente nulla: il Presidente del Consiglio si è reso ricattabile entrando in giri poco limpidi, si è messo nelle mani di una donna che, allettata dai soldi e dalla celebrità, lo ha sputtanato sulla scena globale e si è messo nelle condizioni di perdere quel poco di credibilità che aveva a causa della propria libido.
Molti passaggi dell'intervista confermano la volubilità della (presunta?) escort e la sua indole vendicativa: lei rivela e spiffera ogni volta che vede che non ottiene ciò che vuole o ciò che le è stato promesso (il residence, la protezione, il denaro), non curandosi delle vittime che miete e non rilettendo sulle proprie azioni.
Quali sarebbero le forze oscure di cui continuamente si parla, poi? Sono citati solo un carabiniere senza volto e nome, l'avvocato dell'intervistata, le procure di Bari e Milano e qualche giornalista di gossip. Sarebbero queste le entità in combutta per sovvertire la democrazia italiana? Davvero un magistrato e un avvocato baresi sarebbero gli artefici di un complotto ai danni dell'uomo più potente d'Italia?
Se anche fosse vero che queste non meglio determinate forze oscure avrebbero architettato tutto per colpire il Premier e l'Italia intera, allora, noi come nazione, possiamo permetterci di avere un capo del governo così facilmente ricattabile? La nuova versione della D'Addario non rende, paradossalmente, ancora più precaria la posizione di Berlusconi?

venerdì 15 luglio 2011

Prendi i soldi e scappa!

In un conciliabolo notturno, degno di una masnada di lestofanti, i nostri politici hanno deciso di dimostrare al paese quanta voglia hanno di condividere l'austerità che impongono a tutti gli altri. La commissione bilancio del Senato ha infatti bocciato i tagli all'indennità dei parlamentari.
Esistono due categorie di statisti. Alcuni sono bravi a curare la propria immagine e cercano sempre di mostrare ai governati che si è tutti sulla stessa barca, che non si chiede a nessuno più di quanto non si sia disposti a sacrificare personalmente (ovviamente è una finzione, ma quantomeno una finzione esemplare); altri, al contrario, sono gli emuli di Maria Antonietta che, assolutamente ignari delle condizioni dei comuni mortali, ostentano i propri privilegi e vi ci si abbarbicano fino all'ultimo. Questa seconda categoria, in ogni tempo, è quella più odiosa.
I nostri, indegni perfino di essere definiti statisti, hanno in pratica fatto la mossa peggiore possibile: prima hanno creato aspettative, assicurando che si sarebbero allineati le indennità alla media europea (sempre a partire dalla prossima legislatura, ovviamente!), che avrebbero contribuito al risparmio tagliando i costi della politica e tanti altri begli annunci. Poi, di notte e di nascosto, si sono rimangiati tutto e hanno confermato il sospetto di molti, ovvero che si resterà allo status quo.
Tutto ciò, in un periodo in cui tutti gli italiani sono chiamati a fare sacrifici per il bene comune ed una guida seria e affidabile sarebbe manna dal cielo, è non solo vergognoso per il decoro, ma anche suicida per la credibilità delle nostre istituzioni politiche.
Ma ancora più suicide sono le motivazioni portate. La prima è che le indennità così alte sarebbero indispensabili per garantire l'indipendenza e l'incorruttibilità del parlamentare. Tradotto, occorrono per tenere alti i prezzi dei vari Scilipoti, altrimenti tutti se li potrebbero permettere...
In secondo luogo, non si possono abbassare gli assegnoni a livello di media UE, perché non ovunque il costo della vita è uguale: in Italia, per esempio, il costo della vita è inferiore rispetto a quelli tedesco e francese, eppure i nostri parlamentari vengono remunerati in modo ben più lauto di quelli di Francia e Germania.
La terza fondamentale ragione (e questa l'ha esposta Sanna del Pd) è la diversa consistenza demografica dei vari paesi: eh, già, i mille parlamentari italiani, che governano una popolazione leggermente inferiore rispetto ai loro altrettanti colleghi francesi, devono pur guadagnare un po' di più!
Nel grande banchetto collettivo celebrato la notte scorsa, non c'è stata opposizione: tutti i commissari, unanimenente, hanno pensato bene di affondare i tagli e di salvare le proprie abbondanti retribuzioni presenti e future. A Palazzo, anche in tempi di fame, la festa deve continuare.

ADDENDA
Dopo l'articolo (che basato su ciò che due quotidiani hanno scritto, Il Fatto e Libero) aggiorno su ciò che è facile da trovare sull'argomento. Si tratta della votazione su un parere, quindi di un atto non vincolante, ma che comunque dovrebbe avere il suo peso, visto che tutti i gruppi parlamentari hanno concordato sull'oggetto. Inoltre, in un vortice di ambiguità, la Commissione ha anche auspocato maggiori interventi sui costi della politica (ma evidentemente senza toccare le indennità?) e sembra che lo sguardo sia caduto sugli extra dovuti a deputati e senatori con incarichi particolari e benefit non meglio determinati. Belle dichiarazioni di intenti, ma l'ostilità ad interventi sulle indennità parlamentari lascia comunque attoniti.
Il motivo della mancanza di queste informazioni nel post originale era appunto la loro assenza nei due articoli usati come fonte. In particolare, l'articolo del Fatto appare come un riassunto di quello di Libero (!), un pezzo di Franco Bechis (inaffidabilissimo cronista dedito al sensazionalismo). E' inutile che sul Fatto cerchiate addende, perché non ne troverete...

mercoledì 6 luglio 2011

Le responsabilità del nostro paese

L'Italia non può sottrarsi alle proprie responsabilità ammonisce il presidente Napolitano, ricordando alla politica i propri imprescrittibili doveri. Ma a quali responsabilità si riferisce?
Non alla responsabilità verso quelle migliaia di invalidi che rischiano di vedersi togliere l'assegno perché non troppo disabili. Nemmeno alla responsabilità verso gli studenti svantaggiati che dovranno vedersela anche l'anno prossimo con un organico degli insegnanti di sostegno ridotto all'osso. E neanche a quella verso i pensionandi che forse dovranno lavorare qualche anno di più per guadagnare qualcosina di meno, mentre le spaventose pensioni dei parlamentari vengono dichiarate intangibili. Non c'è chiaramente responsabilità verso i poliziotti e carabinieri che subiranno un'altra volta la scure del governo, mentre vengono spediti in Val di Susa a picchiare i manifestanti in modo da permettere all'Italia di spendere una quindicina di miliardi di euro per 70 km di ferrovia.
Napolitano non parla della responsabilità dello Stato verso gli ammalati, che dovranno assistere impotenti al taglio lineare al budget della sanità. Sembra che non esista nemmeno una responsabilità verso gli studenti, visto che il ministero dell'istruzione quest'anno opererà altri tagli, o i ricercatori, verso quali lo Stato è sempre stato irresponsabile. Chiaramente non c'è nessun dovere nemmeno verso il pubblico impiego che dovrà fare la propria parte per il bene comune.
Verso chi è responsabile, quindi, l'Italia? Ma è responsabile sul piano internazionale, naturalmente.
Certo, non si parla del dovere di cooperazione internazionale: i fondi per gli aiuti ai paesi poveri restano insignificanti e, talvolta, qualche distratto funzionario si dimentica perfino di spedirli ai destinatari... Ma non sono questi i nostri indefettibili obblighi verso il resto del mondo.
Le responsabilità italiane sono le missioni militari all'estero: garantire in Afganistan la presenza a tempo indeterminato di un corpo di occupazione - pardon, di ricostruzione e democratizzazione- per non sfigurare con gli USA o investire qualche altro miliardo di euro nel bombardamento della Libia, paese a cui abbiamo sganciato fiumane di denaro fino a qualche mese fa. Questo è l'interesse cruciale del paese.
Certo, ci sono anche altre parimenti degne responsabilità interne, come quella verso gli imprenditori della Cricca o della P4 che si occuperanno del cantiere TAV e quella verso le cosche che gestiscono il movimento terra sull'Aspormonte sbancato per la costruzione del Ponte sullo Stretto. Per questi non c'è mai crisi, ma anzi, lo Stato deve dimostrare fermezza contro tutti i contestatori. Altrimenti ne va del buon nome dell'Italia...

A piè di pagina, noto che non è nemmeno più avvertita la necessità di eliminare le provincie.

martedì 5 luglio 2011

Il paradigma islandese

L'Islanda è sempre stato un paese marginale, sempre escluso dal grande palcoscenico europeo e ignorato dall'opinione pubblica occidentale. L'isola atlantica, conosciuta dai più solo per i geyser e per le saghe, è stata invece protagonista negli ultimi due anni di una storia (quasi tutta islandese) che nelle nostre TV non è stata raccontata, ma a cui molti sulla rete guardano con ammirazione.
Qui si trova una breve sintesi della vicenda.

Personalmente, considero questo episodio come paradigmatico della perdita di responsabilità delle società civili democratiche occidentali.
In parole povere, i governi eletti dai cittadini islandesi, col pieno sostegno dei cittadini islandesi, hanno scialato le risorse pubbliche e si sono indebitati fino al collo pur di non costringere i cittadini islandesi a pagare più tasse o a rinunciare a qualche servizio: si è fatto esattamente ciò che fece Craxi da noi in Italia, cioè garantire il bengodi a debito, fino ad esaurimento.
Poi è arrivata la crisi, il sistema che piaceva tantissimo agli islandesi ha fatto crack ed il governo si è trovato inseguito dai creditori. Qualunque lettore di questo blog, in questi casi, sarebbe costretto a pagare fino all'ultimo centesimo perché si troverebbe gli ufficiali giudiziari a casa per il pignoramento. Ma gli islandesi, con proteste di piazza, hanno costretto alle dimissioni il governo che fino a pochi mesi prima incensavano per le sue politiche suicide, costringendo il nuovo esecutivo a non pagare i debiti e dichiarare bancarotta, ovvero fallimento di Stato.
Io sono un convinto democratico e credo che i popoli abbiano il diritto di governarsi da soli. "Honor onus", dicevano i latini, un potere è un onere: se si elegge il proprio governo, allora si è responsabili per ciò che fa tale governo. Gli islandesi hanno portato all'esasperazione l'infantilità che purtroppo sempre di più flagella le nostre società e si sono rifiutati di pagare il disastro che i loro rappresentanti hanno combinato.
Problema delle banche? Non solo, ma anche di qualsiasi governo che verrà, visto che uno Stato irresponsabile fa molta fatica a trovare credito a buon mercato. Gli islandesi, da domani, pagheranno tassi di interesse stratosferici per i loro titoli e dovranno sottrarre risorse pubbliche a servizi e investimenti.
Naturalmente auguro loro che si riescano a trovare soluzioni alternative, ma i precedenti storici non lasciano ben sperare. Sembra di essere in una sorta di Spagna seicentesca, dove si vive sopra le proprie possibilità, si combattono guerre globali a debito e si confida in una prosperità che si rivela ogni anno più precaria.
Anche questo ci insegna la vicenda islandese, un monumento a questo nostro Occidente sempre più scriteriato. Temo che, più di censura, si debba parlare di autorimozione, sia da parte del mainstream (che tace), sia da parte di coloro che invece cercano laggiù un modello da imitare.

lunedì 4 luglio 2011

I difensori dell'anarchia della rete

Libertà è una delle parole magiche del nostro tempo. Le peggiori disuguaglianze sociali e globali sono giustificate in nome della libertà, i tentativi di limitazione dell'attività inquirente sono motivati con la tutela della libertà del cittadino, una coalizione (poi diventata partito) ha scelto come nome la parola libertà...
L'ambiente ideale per la retorica della libertà è stato trovato nella rete, quello strano mondo parallelo in cui, protetti dall'anonimato, tutti pensano di poter fare ciò che vogliono, i freni inibitori si allentano e diventano spontanei e naturali atti che nel mondo reale (ma ha senso questa distinzione?) non avrebbero cittadinanza. Una realtà anarchica in cui molto è gratis, popolare è sinonimo di buono, il vero è ciò che si dice e quello che conta è vendersi bene, perché il successo può anche trasformarsi in molto denaro.
Ogni tentativo di fissare dei limiti è denunciato dagli internauti come un'introduzione della censura. La libertà della rete è considerata così tanto un bene in sè che nessuno si sorprende o si indigna se in un paese civile come la Svezia un partito politico mette al centro del proprio programma la tutela della pirateria informatica, ovvero la garanzia che sul PC tutto sia permesso e nulla possa essere vietato, per quanto appaia immorale e contrastante coi più basilari principii di diritto.
Tra un paio di giorni l'Autorità Garante per le Comunicazioni voterà una deliberà il cui contenuto autorizzerà la chiusura coatta dei siti internet in cui si registreranno violazioni del diritto d'autore. Già è stato lanciato l'allarme su tutta la rete: è un cavallo di Troia per cercare di imbavagliare le voci libere! Dunque il problema non è che si commettano illeciti sulle pagine web, ma che qualcuno cerchi di porre un freno a queste infrazioni con l'unico strumento possibile, ovvero l'ammonizione e, dopo un contraddittorio, l'eventuale oscuramento.
Si può obiettare che una proposta del genere violerebbe gravemente la riserva di giurisdizione prevista dall'articolo 21 della Costituzione:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria
Il blocco del sito, dunque, potrebbe essere autorizzato solo dal giudice e un'autorità amministrativa indipendente, pur garantendo il contraddittorio, non potrebbe vedersi attribuita tale facoltà.
A leggere meglio l'articolo, però, ci si accorge subito che questa tutela è limitata unicamente alla stampa: un sito (come questo che leggete) che contiene un desclaimer che nega la natura giornalistica delle pubblicazioni non dovrebbe essere così tutelato.
Un secondo allarme giunge dall'Europa: l'Unione sta per approvare una direttiva che permetterà una chiusura più rapida dei siti contenenti materiale che si presume pedopornografico. Qualunque persona di buon senso - si immagina - concorderà sul dovere di tutela dei minori e sulla necessità di combattere contro la pornografia infantile. Ma così non è e in Germania si raccolgono firme per bloccare il progetto perché si teme una restrizione della mitica libertà della rete.
Se la direttiva riguardasse le pubblicazioni cartacee, probabilmente il dibattito interesserebbe solo i giuristi e gli operatori del settore, ma dato che si parla di internet, allora il coinvolgimento è più sentito: tra la tutela dei minori e l'anarchia della rete moltissime persone ritengono più importante la seconda, così che ora il Parlamento Europeo sarà chiamato a riesaminare la questione.

Che la rete sia un fondamentale presidio della libertà d'espressione è vero, perché è su di essa che tutte le posizioni minoritarie riescono a trovare la propria unica vetrina. Parliamo di complottisti, sessisti, neopagani, atei anticattolici estremisti, fondamentalisti islamici, omofobi, antisemiti, neonazisti, negazionisti, islamofobi esagitati, provocatori, fanatici religiosi di varia natura, settaroli e spiritualisti allucinati: una galassia di voci escluse dal dibattito pubblico, spesso e volentieri sgradevoli se non disgustose. La libertà da tutelare, dunque, è la loro, non quella di pirati informatici e maniaci sessuali.

venerdì 1 luglio 2011

Strauss-Kahn, una cameriera e il processo americano

Dopo il gigantesco clamore mediatico e le certezze degli inquirenti, Strauss-Kahn sembra che la stia per spuntare, ma non perché la difesa sarebbe riuscita a confutare i capi d'accusa, ma perché la figura della cameriera che denunciò la violenza è stata praticamente demolita dal passaggio al pettine della sua vita privata.
Nel processo americano, infatti, basta mettere in pessima luce una persona per far perdere qualsiasi credito alle sue parole, per quanto di per sè credibili possano essere. Ora c'è chi esulta, chi grida al complotto, chi denuncia un altro complotto, ma ordito dai poteri forti per liberare l'ex direttore del FMI e salvare uno dei propri...
Ribadisco che vale sempre e comunque la presunzione di innocenza. Tuttavia uguali garanzie devono essere riconosciute alla presunta vittima, che adesso viene presentata come una bugiarda patentata ed una calunniatrice di professione, mossa da opportunismo e da avidità, in combutta con una banda di suoi pari contro un povero innocente: giudizi lapidari sui quali non serve nè il condizionale nè la cautela.
Il processo americano, che piace tanto a certi pseudo-garantisti di casa nostra, è fondato sulla diffamazione reciproca tra le parti, sulla violazione dei più intimi spazi privati dei coinvolti e sullo sputtanamento di tutto lo sputtanabile. Un modello di populismo che, francamente, mi sembra tutto fuorché encomiabile.

 Riporto estratti dei principali articoli italiani sul caso, a volte corredati di breve commento.

Si legge su Repubblica:
l'accusatrice avrebbe un passato così burrascoso da non poter sostenere la versione dei fatti

Il Gran Khan è difeso da Ben Brafman, l'avvocato che aveva fatto assolvere Michael Jackson

Ofelia ha mentito su tanti particolari della sua vita privata. Quella che il suo avvocato difensore dipingeva come una musulmana modello è una donna dal passato e forse dal presente a dir poco movimentato
Notare che la cultura giuridica americana, decisamente primitiva, ha il pallino per la "credibilità" dell'accusatore: se sono uno sfigato e notoriamente bugiardo, anche se mi pestano a sangue, è probabilissimo che assolvano i miei aggressori perché io non sono "credibile". E' il problema della giuria popolare, gente che, come dice qualche giurista americano più illuminato, deve decidere la questione di fatto di un caso di diritto senza conoscere nè il fatto nè il diritto...

Da "Il fatto"

Quello che è stato fatto trapelare, per ora, è l’esistenza di una registrazione telefonica, in cui la cameriera 32enne parla al telefono con un uomo in prigione e discute dei possibili “benefici” che le verrebbero dalle accuse contro Strauss-Kahn. L’uomo è agli arresti perché trovato in possesso di un notevole quantitativo di marijuana. E’ anche tra coloro che negli ultimi due anni hanno fatto diversi versamenti di denaro sul conto della donna, per un totale di circa 100 mila dollari. I bonifici sono stati realizzati in Arizona, Georgia, New York e Pennsylvania.
La banda di drogati che cospira contro il presidente del FMI.

Gli investigatori hanno anche scoperto che la donna, che ha sempre sostenuto di avere una sola utenza telefonica, è invece in possesso di cinque differenti numeri telefonici
Vale lo stesso commento di prima

Avrebbe anche mentito sul fatto di aver subito una stupro e una mutilazione genitale nella Guinea, suo Paese di origine. La cameriera dice di avere inserito queste informazioni nella richiesta di asilo politico negli Stati Uniti, ma gli investigatori non ne hanno trovato traccia.
A questo non saprei, ora, che senso dare: perché una persona mentirebbe in modo così palese dando informazioni che non c'entrano assolutamente nulla con il caso? A me, invece, ingenuità del genere sembrano più indice di sincerità che indizio di complotto. Una spiegazione potrebbe essere la necessità di chi accusa di presentarsi come "vittima storica" per poter essere creduta dai giudicanti.

"Libero" (con molte virgolette) si interroga:
Le accuse di stupro, sodomia, e sequestro di persona sono pronte ad evaporare come acqua al sole: "Chi gli chiederà scusa, adesso?", si chiede il vicedirettore di Libero, Massimo De' Manzoni

Di Dsk erano emersi parecchi particolari sulla sua vita privata: "E' un farfallone", "Si diverte ai festini erotici", "Frequenta club di scambisti" e via dicendo. Tutto vero, forse. Ma queste abitudini non facevano di lui, automaticamente, uno stupratore.

Così, oggi venerdì 1 luglio, si scopre che probabilmente quel garantismo era dovuto: secondo il New York Times, gli inquirenti che indagano sul caso avrebbero scoperto una serie di incongruenze, contraddizioni e bugie che minerebbero la credibilità della cameriera stuprata. "Falle" che non riguardano l’aggressione, quanto il privato della donna
Si elencano dunque le cose già riportate dagli altri: chiaramente tutti gli articoli sono un unico lancio di agenzia "arricchito" (che si discosta nella forma, ma non nei contenuti, dalla versione del NYT). Curioso che il passato di DSK non debba essere ritenuto indicativo, mentre quello della cameriera basti a bollare le accuse di calunnia.