venerdì 31 dicembre 2010

Il Vaticano e la catarsi degli scandali

Il Vaticano onora gli impegni presi con l'Unione Europea ed emana la nuova disciplina sulla trasparenza finanziaria. Con un Motu Proprio (l'equivalente di un decreto) il Papa ha istituito un'autorità indipendente che dovrà vigilare sui flussi di denaro, raccogliere denunce e far rispettare gli standard internazionali, ha imposto a tutti i dipendenti degli uffici il controllo sull'attività che si svolge e li ha liberati dal dovere di segreto in caso di irregolarità (si è parlato di Sant'Uffizio finanziario). Il tutto dovrebbe permettere l'ingresso nella white list dei paesi trasparenti.
Dopo la stretta sulla pedofilia, questo è il secondo caso in cui lo scoppio di uno scandalo ha portato ad una revisione in positivo delle farraginose legislazioni ecclesiastiche: se la magistratura italiana non avesse indagato il banchiere dello Ior Gotti Tedeschi, probabilmente tutto sarebbe rimasto nel grigiore della semi-illegalità.
Non può essere che contento chi ha sempre sostenuto che gli scandali dovrebbero essere percepiti come un motivo di riforma della Chiesa e non come degli attacchi al cattolicesimo: la chiusura a riccio e la difesa dello status quo, in queste situazioni, sono motivo di discredito, più che una strategia difensiva.
Non si può ignorare che il pontificato di Ratzinger, cominciato sotto i peggiori auspici, in questo senso sia migliore di quello del suo predecessore. Ragione di ciò è proprio la maggiore debolezza di Benedetto XVI, pontefice poco carismatico, caduto nella trappola della riconciliazione coi Lefebvriani (si ricordi il caso di Williamson), poi nella gaffe di Ratisbona (non voluta, ma è ciò che appare a valere), infine messo sotto accusa per quella che è sembrata una politica di involuzione rispetto ai canoni del Concilio. La scarsa capacità mediatica, infatti, ha permesso agli scandali prima nascosti di esplodere e di avviare un processo catartico senza precedenti.
Quando alla fine solo gli atei devoti e pochi fanatici papisti erano rimasti a negare la pedofilia dilagante, la Curia aveva già cambiato rotta, ammettendo le colpe e cominciando a prendere provvedimenti. E col caso Ior di nuovo, mentre la politica italiana cattolica (o presunta tale) faceva scudo a Gotti Tedeschi, si è adempiuto alle promesse fatte all'Europa sulla trasparenza finanziaria.
Il risultato in termini di immagine sarà senza dubbio rilevante, se in via applicativa si rispetteranno alla lettera le disposizioni: gran parte delle accuse solitamente rivolte alla Chiesa cadranno o dovranno essere ridimensionate. Già ora la base ateo-anticattolica (che trovate scatenata in commenti sui siti de Il Fatto, dei Radicali e dell'UAAR) non riesce che a strepitare che sarebbe tutta fuffa (ma senza argomentazioni) o che saremmo davanti ad uno specchietto per le allodole (anche qui senza spiegare perché ed, evidentemente, senza leggere...).
Se si andrà avanti di questo passo, il pontificato che sembrava iniziare alla volta dell'immobilismo tradizionalista potrebbe trasformarsi in una stagione preziosa per la Chiesa.

mercoledì 29 dicembre 2010

La Repubblica (per distrazione) fa propaganda a Putin

La Repubblica è un quotidiano che pare essere stato colto da schizofrenia: venti giorni fa il suo inserto del Lunedì, Affari & Finanza, pubblicava un reportage sulle relazioni pericolose tra l'Italia e la Russia, mentre ieri se ne esce con un allegato dal titolo di Russia Oggi, di tenore diametralmente opposto.
Sui rapporti tra l'establishment italiano, politico ed economico, con la nuova Russia dell'ex KGB Putin ciò che resta dell'informazione indipendente nel nostro paese ha scritto molto e molto continuerà a scrivere: l'amicizia personale di Berlusconi col suo omologo ex-sovietico è passata alla ribalta delle cronache mondiali, l'ENI è diventata dipendente da Gazprom per le forniture energetiche e (ci svela Report) si trova in una situazione di semi-sudditanza nei confronti del colosso energetico russo e il sospetto degli USA a causa della vicinanza di Roma con Mosca è ormai dichiarato.
Così nessuno avrebbe potuto immaginare che La Repubblica potesse pubblicare un inserto di dieci pagine preparato da Rossiyskaya Gazeta (organo governativo russo) in modo assolutamente acritico. La redazione non pare averlo sfogliato e il direttore (che pure per legge sarebbe responsabile di tutto ciò che viene scritto sul suo giornale) non si deve essere accorto proprio di nulla mentre dava il via libera al suo inserimento nel giornale.
La ragione di tutto ciò sarebbe l'ingresso di questa pubblicazione per mezzo di un inaspettato cavallo di Troia, il New York Times. L'autorevole quotidiano newyorkese, infatti, aveva in precedenza pubblicato (scientemente) quelle pagine su richiesta della Rossiyskaya Gazeta (il regime di Putin si fa buona propaganda all'estero) e il giornale di Ezio Mauro si è limitato a prendere tutto per oro colato e a tradurlo in italiano. Immaginiamo con quale sconcerto di Feltri, Belpietro e Sallusti che non sono riusciti a farlo per primi!
Il nodo del problema non è che La Repubblica abbia pubblicato degli articoli con una linea editoriale opposta alla propria, dando spazio ad una voce governativa russa. Il punto centrale è che La Repubblica abbia pubblicato dieci pagine di giornale senza nemmeno leggerle, senza minimamente accorgersi del loro contenuto e domandarsi della loro origine.
In un paese come l'Italia, dove il deficit informativo è enorme, dove la libera stampa è ridotta a poche riserve indiane e dove i lettori sono sommersi da voci di opinionisti, ma lasciati a digiuno circa i fatti discussi, l'ultima cosa di cui si sente il bisogno sono appunto giornali sciatti e direttori sbadati. La posta in gioco, il raggiungimento di una democrazia adulta, è troppo alta perché i mezzi d'informazione (ovvero gli organi che devono preparare il cittadino politico) possano dimostrare una simile superficialità.

sabato 25 dicembre 2010

I mercanti nel tempio o i sacerdoti al mercato?

Ho già avuto modo di scrivere che, se una volta c'erano il Tempio e i mercanti, con i secondi che entravano nel primo per avvantaggiarsi nei propri affari, la nostra epoca moderna ha preferito con molta praticità unificare le due istituzioni. La festa in cui in gran pompa si celebra questa fusione è il Natale.
Si cominciò in sordina, importando la figura di un santo anatolico rivisitato dalla Coca Cola (San Nicola, Sanctus Nicolaus, Santa Claus, Babbo Natale), che col benessere si è affiancato alla Befana (ossia l'Epifania) nella distribuzione di regali ai bambini, superandola rapidamente per importanza. Poi gli anni della crescita economica e dell'abbondanza dei generi di consumo resero universale lo scambio dei doni ed il relativo shopping prenatalizio. Il Natale, così, da religione si è trasformato in tradizione, ovvero in un insieme di gesti e di riti che si ripetono perché si devono ripetere, senza una ragione precisa.
In seguito c'è stata la secolarizzazione e gli elementi caratterizzanti della tradizione del Natale hanno smesso di essere quelli cristiani (che da tradizionali sono tornati ad essere eminentemente religiosi) a vantaggio degli aspetti più mondani, come l'albero, il cenone, i regali e Santa Claus. Il collegamento tra la festa e la fede si è quindi affievolito, così che oggi anche il peggiore mangiapreti taglia il panettone con gioia (quando in passato gli anticlericali, come Mussolini, nei confronti della ricorrenza nutrivano una profonda ostilità).
Le due metà della festa tra loro sono difficilmente compatibili: da una parte c'è il cristianesimo che, almeno nella sua versione cattolica, elogia il pauperismo ("ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote." o più facile che un cammello [che poi sarebbe una gomena, per traduttori più accorti] passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio", ecc), dall'altra c'è la festa dei regali, che col tempo diventano sempre più costosi (secondo l'ISTAT si spenderebbero in media più di 1300 euro a famiglia per i doni) e che sono completamente svincolati dall'occorrenza religiosa (li fanno e li ricevono anche i non cristiani).
La messa di Natale, parallelamente, è divenuta il palcoscenico giusto per lanciare giaculatorie sul consumismo della nostra società occidentale e sulla secolarizzazione. Si tratta nelle sue versioni più estreme di una vera condanna senza appello dell'aspetto mondano della festa.
Alcuni commentatori cattolici, come Socci,  al contrario scrivono che il consumismo natalizio è pienamente compatibile con la fede cristiana e che, anzi, è sua manifestazione vistosa: i beni terreni - dicono - sono dono di Dio e dovere del cristiano in festa sarebbe goderseli spensieratamente, anche a vantaggio della "nostra economia che soffre di un Pil stentato". Male fanno, anzi, i preti che condannano consumismo e materialismo, perché così facendo sottrarrebbero spazio alle vere riflessioni sulla fede!
Le idee di Socci in materia, del resto, si inseriscono bene nella mentalità dell'autore che assorbe moltissimi stimoli religiosi provenienti dall'altra sponda dell'Atlantico, dove, negli USA, Tempio e Mercato si sono saldati dichiaratamente e anche le Chiese si sottopongono al meccanismo della concorrenza e della legge della domanda e dell'offerta (hanno perfino gli spot in TV): non c'è da stupirsi che il fedele-consumatore ritenga più che divinamente giustificato il meccanismo economico col quale è giunto a Dio.
Ma ai fedeli non ancora contagiati da queste nuove idee d'oltreoceano, al fine di evitare la prosecuzione di questa sterile disputa sull'opportunità o meno di ricordare facendo shopping la nascita di Cristo in una stalla, non resta che prendere atto una volta ancora che l'Occidente non è più la Cristianità. Si dovrebbe così riconoscere l'esistenza di due diverse feste del Natale: quella a cui partecipano tutti, qualsiasi siano le loro convinzioni religiose, e che comprende gli addobbi puramente estetici, i regali e il cenone, e l'altra, importante solo per chi crede, con la Natività ed il culto.
Sia ben chiaro che questo non è un auspicio alla dicotomia, ma è semplicemente l'osservazione di ciò che già accade. Prendere atto del fenomeno, però, avrebbe l'indubbio vantaggio di permettere alla seconda festa di riacquistare la dignità che ha perso da quando, mescolata alla prima, si è ridotta ad essere un semplice spazio mentale del credente.

lunedì 20 dicembre 2010

Il reverendo Jones, alcuni hooligans in politica e qualche sigla neonazista

L'English Defence League è un'organizzazione islamofoba inglese con molti emulatori in giro per il mondo: le sue finalità sono il reclutamento di nemici dell'Islam di tutte le estrazioni sociali, politiche e culturali, la promozione dell'odio verso i musulmani e il sostegno allo Stato di Israele (considerato il nostro baluardo contro la minaccia islamica). Le sue schiere, però, sono reclutate più che altro tra i tifosi di calcio delle curve, ritenuti una forza d'urto di discreta efficacia nelle manifestazioni (spesso violente) per la loro capacità organizzativa e per il loro talento innato nell'urlare slogan e nella devastazione delle aree urbane.
Ospite d'onore di un'assise dell'EDL sarebbe dovuto essere il famoso reverendo Terry Jones, il leader di un gruppo cristiano-evangelico la cui teologia è così semplicemente riassumibile: gli USA sono la nazione eletta da Dio (come i biblici israeliti), Dio è arrabbiato con gli USA per i peccati degli americani, Dio fa andare male le guerre degli USA e fa morire i soldati americani. Nemici per elezione di Jones sono gli infedeli musulmani, ragione per cui il pastore passò alla ribalta delle cronache per la sua minaccia, poi eseguita, di bruciare in un sol giorno Corano e bandiera statunitense.
In seguito alle proteste dei gruppi antirazzisti, anche considerati gli episodi di violenza che avevano visto protagonista l'EDL in precedenti sue manifestazioni, l'invito al reverendo è stato ritirato da parte dell'organizzazione omofoba (la motivazione ufficiale è che si sarebbero scoperte le sue dichiarazioni omofobe e razziste!). Altri gruppi inglesi di estrema destra, invece, sembrano interessati a poter far parlare nel corso dei propri convegni Jones, prova di come all'insegna dell'odio verso il nemico comune (l'Islam), le differenze tra razzisti filoisraeliani, predicatori evangelici e neonazisti diventino all'improvviso molto labili.
Lo scopo del mancato incontro di Jones con gli ex-hooligans dell'English Defence League, a detta del leader Tommy Robinson, sarebbe stata una discussione sulla malignità dell'Islam, religione medievale, nella società inglese odierna. La mobilitazione degli anti-estremisti ed il rischio di un diniego del visto per il pastore a causa dei probabili problemi di ordine pubblico hanno spinto il gruppo a desistere.

venerdì 17 dicembre 2010

Tendenza suicidio a sinistra

E' iniziato uno sterile confronto all'interno della sinistra su quanto sia giusto devastare il centro di Roma per protesta. Nonostante le rivelazioni de L'Espresso, che essendo rivelazioni non hanno avuto proprio alcun seguito, come sempre accade nel nostro paese, si continua a discutere se sia più efficace come strumento di lotta politica la manifestazione pacifica o il tumulto vandalico.
Emotivamente parlando, devastare tutto ciò che si vede è certamente più soddisfacente di una semplice sfilata: si sfogano gli istinti distruttivi, si colpisce il presunto nemico, ci si fa notare, è ganzo... Politicamente parlando, invece, non mi ricordo di aver mai visto seguire a un tafferuglio un vero dibattito pubblico sulle ragioni della protesta: devastare è soltanto un ottimo sistema per inimicarsi l'opinione pubblica e per legittimare chi ha il potere all'uso della forza bruta.
Il concetto era ben chiaro a Cossiga, che suggeriva a Maroni di incentivare i disordini durante le dimostrazioni per poi legittimare la polizia a picchiare pesante, forte del sostegno popolare. Le foto de L'Espresso potrebbero far crede che il consiglio di Cossiga sia stato subito raccolto dal ministro e messo in pratica. Comunque sia, il telespettatore medio ha recepito il messaggio: chi protesta contro la Gelmini e la sua controriforma è un vandalo lavativo, mentre la maggioranza silenziosa degli studenti operosi sostiene il ministro e i suoi sforzi per la meritocrazia. Semplice, banale e immediato.
A controprova, inviterei i sostenitori della "lotta armata", ovvero quelli che credono che minacciare il governo di distruggere tutto sia un ricatto efficace per ottenere qualcosa, a riflettere su quanto possa spaventare un governo che sta sfasciando l'Italia in maniera industriale e scientifica qualche gruppetto di facinorosi che lo fa artigianalmente...
Gli scontri di piazza il 14 dicembre sono stati la più bella arma di distrazione di massa regalata a Berlusconi: la compravendita dei deputati e il marcio della politica del governo sono stati dimenticati, mentre le telecamere erano puntate sul "ragazzo con la pala" che assaltava la camionetta della polizia.
Intanto certi siti di sinistra se la prendono con Saviano, accusandolo di essere divenuto funzionale al potere in quanto reo di aver scritto cose molto simili a quelle che avete letto qui. Mentre Silvio Cesare ride, i progressisti duri e puri, pronti a colpire chiunque si discosti dalla loro ortodossia perché la giudica controproducente per la causa comune, sono coloro che avranno in capo la duplice responsabilità del salvataggio del berlusconismo e del suicidio definitivo della sinistra italiana.

giovedì 16 dicembre 2010

L'Ambiente all'asta per salvare il governo

Mentre Mentana alla fine del suo TG di La7 speciale del 14 dicembre definisce il respingimento della sfiducia al governo come un momento importante per la democrazia e Paolo Mieli quella sera stessa a Ballarò rincara minimizzando lo scandalo della compravendita dei voti, ora il Svp presenta a Berlusconi il "papello" delle proprie richieste. Si tratta di un esempio emblematico di come la compravendita dei voti in certi casi possa avvenire anche a costo zero per i privati, ma con drastiche conseguenze per il benessere generale.
Il partito altoatesino, infatti, aveva venduto cara l'astensione dei propri due deputati: l'autonomia dal ministero nella gestione del Parco dello Stelvio (che l'Alto Adige condivide col Trentino e con la Lombardia), l'impossibilità del trasferimento dei poliziotti assunti nel contingente bilingue germanofono e altre richieste minori che metteranno l'interesse generale in secondo piano rispetto all'interesse di bottega degli altoatesini.
Il WWF vede con allarme lo smembramento del Parco, istituito nel 1935 in base a una politica congiunta italo-svizzera per la protezione delle Alpi e gestito fino ad ora da un consorzio tra Lombardia, Trentino e Alto Adige, sotto la supervisione del Ministero dell'Ambiente. La differenziazione dei regimi tra i tre enti locali, infatti, potrebbe portare a drastiche riduzioni della tutela ambientale, che diverrebbe disomogenea e più facilmente eludibile.
Già il 30 novembre, si denuncia, la commissione paritetica della regione e delle due provincie autonome ha deciso di aumentare i poteri dei singoli enti nella gestione dello Stelvio, prefigurando un selvaggio federalismo ambientale che ha tutta l'aria di essere una festa per palazzinari e speculatori in attesa di mettere le mani sulle poche aree incontaminate del paese. Sembra difficile credere che ora, con un governo che si regge anche sulle astensioni del Svp, qualcuno vorrà opporsi a questo nuovo regime.
Questa scelta scriteriata potrebbe rivelarsi un pericoloso precedente per altre regioni, certamente meno responsabili delle provincie autonome di Trento e Bolzano, i cui esponenti a Roma potrebbero decidere di ricattare in modo simile il sempre più fragile esecutivo mettendo su un piatto della bilancia la fame di suoli edificatori e sull'altro la prosecuzione della legislatura.

martedì 14 dicembre 2010

Fiducia all'incanto

Alla fine il mercato dei buoi di Montecitorio ha chiuso i battenti e Cesare è riuscito a conquistare la fiducia desiderata alla Camera: tre voti di vantaggio (non so perché, ma mi ricorda qualcosa) decretano il prolungamento dell'agonia dell'esecutivo per qualche altro mese. Agonia e non vita perché il Parlamento ora sarà più paralizzato che mai, con un governo che si regge su voti palesemente comprati quando prima poteva vantarsi di avere "la maggioranza più ampia della storia repubblicana". Non ci sarà più il bicolore Pdl-Lega, ma intorno al Capo orbiteranno innumerevoli partitini e cani sciolti acquistati con qualche promessa e qualche rassicurazione, pronti a sfilarsi alla prima occasione.
Ma l'obiettivo di Berlusconi non è mai stato governare, ma solo rimanere in sella per garantirsi l'impunità. Ma Bossi sarà favorevole a questo stato di cose? Già abbaia per il ritorno alle urne: vegetare per anni gli porterebbe via molti elettori già arrabbiati per il mancato arrivo del federalismo fiscale vero.
Non dimentichiamo il ruolo di Napolitano che, chiedendo di paralizzare le camere e di rinviare il voto al 14 dicembre, ha favorito Cesare permettendogli di raccattare voti che prima non aveva: non ha mai nascosto di essere preoccupato dall'idea della crisi.

sabato 11 dicembre 2010

Wikileaks e il Vaticano: nulla di nuovo sotto il sole, eccetto qualche incomprensione

Mentre si continuano ad ignorare le conseguenze vere di Wikileaks di ui si è parlato nell'ultimo post, finalmente i giornali italiani rendono note le fuoriuscite di notizie riguardanti il Vaticano. I dispacci sono molto poco utili per capire il Vaticano, ma interessantissimi per comprendere il punto di vista statunitense sulla Santa Sede.
Il primo problema evidenziato è lo scarso uso delle nuove tecnologie: pochi blakberry e quasi nessun indirizzo e-mail, cosa che fa definire i prelati come tecnofobi. Si dice che la Curia ha una scarsissima capacità di produrre e di orientare informazione.
In secondo luogo, ci si lamenta che quasi nessuno in Vaticano conosca l'inglese, perché la struttura è italocentrica, ermetica e antiquata. Così per gli USA è impossibile influenzare le decisioni e avviare una partnership efficiente (si noti che per gli americani l'unico rapporto di amicizia possibile è quello di ingerenza!). E' noto, però, che la lingua della diplomazia vaticana è il francese, non l'inglese, per cui è strano che i funzionari statunitensi si stupiscano di non poter parlare la propria lingua ed essere compresi...
Poi se la prendono con il cardinal Bertone, reo di girare il mondo facendo poca politica e molta missione pastorale. Da cattolico italiano, ho sempre criticato Bertone per il suo troppo interesse per le vicende squisitamente politiche e la scarsa attività spirituale: che per gli USA la Santa Sede non sia un'istituzione religiosa ma un think tank come le lobby evangeliche di casa loro?
Infine tante informazioni inutili e già note: l'opposizione di Ratzinger cardinale all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, il desiderio dei Papi di veder inserito nella costituzione UE un riferimento alle radici cristiane, la scarsa collaborazione in tema di pedofilia e la polemica con gli anglicani sul passaggio alla Chiesa Cattolica dei loro preti critici verso il sacerdozio femminile.
Sappiamo poi che i servizi di sicurezza del Vaticano, con l'eccezione di un breve corso di formazione sugli esplosivi, sono sempre stati restii a collaborare con l'FBI nella lotta (isterica) al terrorismo messa in atto negli anni passati.
La sala stampa della Santa Sede ha definito di "estrema gravità" le notizie pubblicate. Ovvero ha messo in atto quella strategia di vittimismo e di scandalo con cui riesce sempre a ingigantire qualsiasi cosa portando il Vaticano al centro di una tempesta internazionale. I documenti, infatti, lo criticano come macchina statale (cosa che non dovrebbe essere), non come istituzione religiosa.
La stampa italiana dedica un moderato interesse alla notizia e alle reazioni. L'Unità si limita perfino a riferire dei cablogrammi sulla pedofilia e poco più. Il Corriere, Il Fatto, Il Messaggero e Il Giornale dedicano un articolo e nessun commento. Solo La Repubblica esprime un parere, inserendolo nel bel mezzo del pezzo di cronaca: «Le carte del Dipartimento di Stato filtrate da Wikileaks che si riferiscono al Vaticano raccontano l'incontro fra due Imperi, e svelano in realtà lo scontro culturale fra un Paese moderno, democratico e dinamico e un sistema di potere monarchico, millenario ed ermetico».
Il confronto tra i due Imperi, così come lo scontro tra la modernità, la democrazia e il dinamismo degli USA (bombardamenti e arresti illegali inclusi) e l'ermetismo (dovuto all'uso della lingua francese, immagino) della monarchia millenaria vaticana, è tema così abusato da strappare un mezzo sorriso al lettore. Invece la confusione tra potere politico e religione in cui cade l'articolista potrebbe apparire sorprendente in un giornale che si definisce solitamente laico e laicista.

Wikileaks dimenticata: Iran, Libano e venti di guerra mediorientali

Mentre la nostra stampa si preoccupava dei commenti ingenerosi dei diplomatici americani sulle macchiette che abbiamo come leader, le vere conseguenze rilevanti di Wikileaks sono da tutti dimenticate e ignorate.
Per esempio nulla è stato detto sui cablogrammi (ovvero i messaggi criptati usati dalle sedi diplomatiche per comunicare con i ministeri in patria) con cui i funzionari statunitensi hanno bollato il governo turco di fanatismo religioso e di odio gratuito per Israele e che adesso rischiano di dare il colpo di grazia alle già fredde relazioni tra USA e Turchia.
Effetti peggiori, però, stanno avendo le rivelazioni sulla posizione di moltissimi leader arabi in merito ad una possibile guerra futura contro l'Iran: nazioni come l'Arabia Saudita, il Bahrein e l'Oman hanno fatto sapere di desiderare un conflitto contro Teheran.
Gli israeliani da ciò deducono la necessità dell'intervento militare e invitano gli USA a bruciare le tappe e attaccare il prima possibile. I dittatorelli arabi, disponibili al conflitto, temono invece che adesso sia il loro potere ad essere messo in pericolo dalle rivelazioni che certamente faranno riversare su di loro parte del sentimento antiamericano delle masse mediorientali. Anche il regime di Mubarak teme per via dell'indiscrezione che vorrebbe l'Egitto ostile ad Hamas (movimento che invece trova un fortissimo sostegno popolare).
Inquietante è invece scoprire che il nuovo direttore dell'agenzia atomica dell'ONU, il giapponese Amano, ci ha tenuto a dichiarare la propria piena vicinanza agli USA sulla questione iraniana. Parallelamente, si è saputo che il governo americano in realtà non avrebbe mai creduto nella via diplomatica per sciogliere il nodo del nucleare e che per questo motivo gli sforzi della diplomazia a stelle e strisce non sarebbero mai stati né incisivi né efficienti: l'unica strategia sul tavolo sarebbe sempre stata quella militare.
Ugualmente destabilizzanti sono le notizie filtrate sull'attività anti-Hezbollah di USA e Israele in Libano, dove si rivela che le fazioni cristiane avrebbero sostenuto l'invasione israeliana del 2006 fino a che i bombardamenti non le hanno toccate direttamente e che, nel 2008, il ministro della difesa cristiano avrebbe promesso la neutralità delle forze armate libanesi in caso di un nuovo attacco contro i miliziani sciiti. Risulta anche che tutte le inchieste sul famoso omicidio Hariri sarebbero state condotte dai tribunali interni e internazionali subendo una fortissima ingerenza americana.
In un Medio Oriente sempre più destabilizzato e percorso da venti di guerra, la gaffe di Wikileaks rischia di sparigliare le già confuse carte in tavola.

giovedì 9 dicembre 2010

AAA deputati cercansi

E' cominciata quella che è una via di mezzo tra il Telethon per salvare il governo Berlusconi e un suk arabo dove le contrattazioni durano giorni e giorni tra chi cerca di comprare e chi cerca di vendere (in questo caso, vendersi), la sindrome che precede il giorno della verità, quel fatidico prossimo 14 dicembre in cui Cesare si giocherà il tutto e per tutto.
Da un lato, infatti, la Camera oggi paralizzata testerà i numeri dell'Esecutivo, dall'altro la Consulta (dove le intercettazioni ci hanno rivelato una insidiosa presenza di giudici in quota P3) dovrà decidere la legittimità costituzionale o meno dello scudo del legittimo impedimento, in parole povere quella legge che permette ai membri del governo di non presentarsi in tribunale a loro piacere.
Il mercato, intanto, è florido e già cominciano ad essere noti i primi acquisti: Pionati (ex UdC) sembra ormai acquisito, i due deputati del SvP altoatesimo hanno promesso l'astensione, i sei radicali eletti col Pd sembra che vogliano amnistia ed epurazione di Santoro in cambio del passaggio a Berlusconi e Scilipoti diventa il degno successore di Cirami e De Gregorio nell'IdV (partito che ogni legislatura regala un parlamentare al centrodestra...).
Intanto l'ex Pd Calearo racconta che il prezzo di un parlamentare va da 350 a 500 mila euro, ma con l'avvicinarsi della data fatidica e l'assenza dei numeri il prezzo pare che stia salendo sempre di più. 345 parlamentari, inoltre, perderebbero la pensione in caso di scioglimento anticipato delle camere, così che il vendersi sarebbe un ottimo modo per ottenere l'invidiabilissimo vitalizio.
Si muove Bondi, fedelissimo del Capo, si muove Verdini che, come sappiamo, gode di una rete non trascurabile, si muove la Santanché, che invece sguazza da una rete all'altra con le sue calze a rete, e si muove anche quell'Aldo Brancher che, fallita la corsa al ministero, continua a lavorare nell'ombra in attesa della legge che gli darà l'impunità.
Ma se anche a Berlusconi dovesse andare male, non tutto è perduto: Fini ha già promesso che lavorerà per fargli avere un secondo mandato entro 72 ore per un nuovo governo. Ma Fini sta anche prendendo accordi con Casini e Rutelli, cosa che potrebbe anche far pensare ad una nuova Casa delle Libertà, da Bossi a Rutelli, dai neofascisti ai democristiani.

sabato 4 dicembre 2010

Otto per mille alla Chiesa cattolica 2009. Come sono stati investiti i soldi

Nel 2009 i fondi assegnati alla CEI con lo strumento dell'otto per mille sono stati 968 milioni di euro, cioè in leggero calo rispetto ai due anni precedenti, ma in crescita di 213 milioni rispetto al 1999. L'impiego dei proventi si può trovare in dettaglio nel sito apposito della Conferenza Episcopale, che così cerca di rintuzzare le accuse di scarsa trasparenza ricevute negli anni passati.
Come da tradizione, per l'anno 2009 la prima voce, con 423 milioni di euro assegnati, è l'esigenza di culto della popolazione, ovvero tutte le attività parrocchiali, le spese per il culto, i seminari vescovili e le diocesi, i tribunali ecclesiastici per le cause matrimoniali (con ben 11 milioni di euro stanziati), la catechesi e l'educazione cristiana (con 32 milioni: ma i catechisti non sono volontari? E i soldi a chi vanno?), gli eventi nazionali (voce da 37 milioni), l'edilizia di culto (122 milioni, se non altro comprensibili) e altre voci minori.
Il secondo capitolo di spesa è il sostentamento del clero: 381 millioni di euro versati. Dividendo il primo capitolo nelle diverse voci di spesa, però, ci rendiamo conto che è il sostentamento del clero ad assorbire la maggioranza relativa delle risorse, cioè quasi il 40% dei 968 milioni di euro ricevuti dal Fisco italiano.
Altrettanto interessante è l'andamento di questa voce di spesa: nel 2000 le erano destinati 284 milioni, divenuti 308 nel 2002, 330 nel 2003 e, dopo un lieve calo nei due anni successivi, 336 nel 2006 e 373 nel 2008. Un aumeno notevole, di cento milioni, che ha fatto salire la quota delle destinazioni alle paghe dei chierici dal 33% sul totale della torta del 1999 all'attuale 40. Ancora più notevole se si considera il contestuale calo delle vocazioni (il 60% dei preti è stato ordinato prima del 1978 e da quella data i sacerdoti si sono ridotti del 25%), cosa che fa chiedere al consultatore a cosa servano tutte quelle risorse in più.
Infine agli interventi caritativi, ultima voce di spesa, sono stati destinati 205 milioni di euro, stabili da tre anni.

giovedì 2 dicembre 2010

Merry Christmas! Anzi, buona Stagione Bianca

L'Inghilterra ha deciso di darsi al politicamente corretto in campo religioso, perché - si dice - non si possono offendere i non credenti o i credenti in religioni minoritarie. L'Inghilterra è quel paese in cui il sovrano deve essere necessariamente di religione anglicana, dove Stato e Chiesa non sono separati, dove una questione d'indipendenza, quella dell'Irlanda del Nord, si è tinta di connotati religiosi e dove ogni 5 novembre si festeggia la morte del "papista" Guy Fawkes che aveva congiurato contro la Corona e il Parlamento per via delle persecuzioni subite dai cattolici.
Naturalmente niente di tutto ciò è stato colpito dalla nuova ossessione britannica. Ci si è limitati ad un semplice make up sul Natale che da quest'anno non è più Christmas (letteralmente, Messa di Cristo), ma è White Season, Winter Festival ed altre espressioni religiosamente neutre. Ovviamente la Chiesa anglicana si è scandalizzata, ma è stato il Partito Conservatore stesso a inaugurare l'anno scorso questa tendenza evitando di augurare un buon Natale, ma solo delle buone non meglio determinate feste. Molti consigli comunali hanno optato per questa linea ribattezzando la festa e cancellando ogni riferimento alla religione dagli addobbi.
Se fate una brevissima ricerca su internet, magari digitanto Christmas Winter Festival, trovate immediatamente orde di inglesi infuriati per quello che considerano un attacco alle radici culturali da parte degli immigrati (musulmani, ovviamente) che non vogliono integrarsi nella società locale e pretendono di imporre i loro costumi. Resta solo da capire in quale comunità musulmana si festeggino la Stagione Bianca e le Feste-non-meglio-determinate.
Al contrario è da ricercare appunto nella comunità inglese nativa la ragione della trasformazione del nome della festa: da decenni, ormai, il Natale ha smesso di essere una festa religiosa ed è diventato qualcosa di molto simile alla festa dello shopping, occasione per stare in famiglia, essere allegri senza motivo e dare mostra di buoni sentimenti sdolcinati. Le religioni da sempre vanno e vengono, ma le feste restano cambiando nome.
Dato che non si può incolpare una dinamica sociale interna per questo cambiamento, gli inglesi più conservatori sono pronti a dare la colpa al nemico esterno, più facilmente visibile e capace di mascherare i cambiamenti di un Occidente che ormai non è più cristiano da tempo e che crede solo nella religione del benessere economico. Chiaramente nulla a vedere con le tradizioni dei paesi da cui provengono gli immigrati, i quali poco ci capiranno di queste nuove feste che poi sono la vecchia festa rinnegata.

mercoledì 1 dicembre 2010

Wikileaks. Il Re è nudo, ma si eviti di dirlo

Wikileaks è l'unione di wiki (veloce), prefisso divenuto celebre con Wikipedia e che sta a singificare la libertà di contenuti, e leaks (fughe di notizie). Il sito ha diffuso centinaia di migliaia di documenti di cancelleria riservati o segreti provocando un piccolo terremoto planetario e agitando ancora di più le già inquiete acque in cui naviga l'amministrazione Obama.
Alla vigilia della grande fuga di notizie dell'altro giorno, i media italiani già scalpitavano all'idea di conoscere ciò che negli ambienti diplomatici americani si dice dell'Italia e del suo governo. Così, ancor più delle rivelazioni sulla pessima condotta occidentale in Afganistan (strana guerra di liberazione in cui i liberati sparano da un decennio addosso ai liberatori), erano le schede sui leader mondiali a interessare i mass media.
Anche Palazzo Chigi era in subbuglio ed aveva emanato una delirante nota in cui si affermava che i crolli di Pompei, la spazzatura di Napoli, le inchieste della magistratura su Finmeccanica e Wikileaks (e per fortuna non anche l'effetto serra, gli alieni e il traffico sulla Salerno-Reggio Calabria) fossero tutti frammenti di un grande complotto volto a screditare l'Italia (nella figura del suo Presidente, si intende) sulla scena internazionale. Frattini, autorevole portavoce dell'esecutivo in questo frangente, ha negato l'esistenza di un'unica mente dietro queste manovre: piuttosto sarebbe una congiura di tutti i mezzi di informazione del mondo ostili a Berlusconi.
L'attesa così era in crescita: che cosa conterranno mai le rivelazioni di Wikileaks per sconvolgere così tanto il moribondo governo Berlusconi? Che cosa può spingere Frattini a definire la fuga di notizie come un nuovo 11 settembre? Sicuramente qualcosa di scottante, hanno pensato tutti i media che infatti ci hanno aggiornato minuto per minuto sulle notizie che trapelavano.
Alla fine, però, la montagna ha partorito un topolino: gli stranoti rapporti con Putin, i festini, la scarsa serietà, l'inettitudine... insomma, tante cose che in Italia e all'estero si ripetono da quindici anni e che ora sappiamo essere state dette anche da funzionari americani. Tanto è bastato a terrorizzare Frattini che adesso sta chiedendo la cattura e l'interrogatorio immediati del creatore di Wikileaks, l'australiano Assange.
Come nella fiaba di Andersen, il Re è nudo e ciò che teme ora più di ogni altra cosa è che qualcuno lo dica, svergognandolo davanti a un popolo narcotizzato che sembra non accorgersi (o non volersi accorgere) della realtà dietro le fragili menzogne. Così si cerca di silurare dai media coloro che indicano le palesi vergogne del Capo, accusandoli di disfattismo, chiudendo i programmi televisivi e intimidendo. Ogni voce più forte delle altre è riconosciuta come pericolosa, perché potrebbe essere quella che fa svegliare l'opinione pubblica che fino ad ora ha preferito guardare il Grande Fratello al posto della nudità del sovrano.
Il Re, intanto, continua a sfilare sperando che il momento della fine dell'incanto arrivi il più tardi possibile o che, almeno, la copertura di ridicolo sia relativamente ridotta. Ma, come insegna la fiaba, nessuna farsa è destinata a durare all'infinito.

sabato 27 novembre 2010

E' più occidentale la democrazia o l'assenza di minareti? Alla Svizzera l'ardua sentenza

La legge è uguale per tutti? Può essere prevista per una certa categoria di persone una sanzione aggiuntiva per un illecito commesso dovuta unicamente alla loro condizione personale? I due quesiti ci portano in Svizzera, dove un referendum dovrà stabilire se, in caso di reati gravi e frodi ai danni di enti pubblici e previdenziali (ovvero evasione), sia applicabile l'espulsione automatica dello straniero.
La consultazione popolare è promossa dal partito di estrema destra xenofoba e, secondo un sondaggio, il sì sarebbe in netto vantaggio. Scontato, visto che stiamo parlando dello stesso popolo che proibì la costruzione di minareti nel territorio nazionale.
E' indiscusso che l'idea abbia il proprio fascino: come può pretendere di rimanere ospite in un paese una persona che ha infranto le sue leggi e che ha dimostrato di non sapersi integrare nel vivere civile? Meglio cacciare immediatamente, per far capire che la Svizzera non è il paese dell'anarchia, ma una nazione seria che pretende che le regole siano rispettate (se ve lo state chiedendo, sì, stiamo parlando proprio di quella Svizzera che è nella black list del fisco italiano).
Se così fosse, allora il principio della legge uguale per tutti conoscerebbe una vistosa deroga per lo straniero, il quale non solo dovrebbe scontare la pena applicabile anche ai cittadini, ma dovrebbe sopportare anche la (pesantissima) sanzione accessoria dell'espulsione automatica. Insomma, l'esatto contrario di ciò che postula la democrazia liberale sull'uguaglianza davanti al diritto.
L'argomento tipico con cui si difende la correttezza delle espulsioni facili e della mano pesante contro gli stranieri è generalmente il passionalissimo "Ma se avessi subito tu un crimine da parte degli stranieri la penseresti esattamente come noi" (si perdoni l'uso del discorso diretto: è indispensabile per sottolineare la impossibile formulazione in senso oggettivo-razionale dell'enunciato), che rimanda ad una concezione vendicativa del diritto penale: subisco un torto e voglio soddisfazione piena. Resta solo da comprendere perché, invece, chi subisce il crimine da parte di un cittadino svizzero dovrebbe ricevere una "vendetta di Stato" ridotta: è per caso una vittima di secondo ordine?
Assistiamo ancora all'ipocrisia di un certo Occidente (che in realtà, ormai, va inteso come paesi ricchi) che, magnificando la propria storia e i propri principi, rinuncia a proteggerli e valorizzarli pur di non vedere il proprio skyline modificato dai minareti.

domenica 21 novembre 2010

Di una messa fiorentina

In occasione della cerimonia d'inaugurazione dell' Anno Accademico 2010-2011 dell' Università degli Studi di Firenze, Sua Eccellenza monsignor Claudio Maniago, vescovo ausiliare di Firenze, celebrerà la S. Messa per gli universitari venerdì 3 dicembre 2010 alle ore 9 nel battistero. Alla S. messa sono invitati tutti i dipendenti e gli studenti dell' Università di Firenze.

Queste quattro righe stringate sono bastate a scatenare l'inferno contro il rettore dell'Università di Firenze da parte di partiti di sinistra, UAAR e altri gruppi che cercano un pretesto qualsiasi per avere i propri dieci secondi di notorietà.
L'Università è un'istituzione medievale, nata con un fortissimo connotato religioso, e non c'è da stupirsi se da secoli l'anno accademico è inaugurato sempre da una messa per gli studenti, i docenti ed il personale universitario. L'invito, fino all'anno passato, era consegnato in forma cartacea ai rappresentanti del corpo studentesco perché girassero la notizia ai rappresentati: il risultato voleva essere comunque la capillare comunicazione a tutti per garantire la partecipazione degli interessati all'evento.
Questa volta, invece, la tecnologia ha colpito ancora e il Rettore ha avuto l'idea di effettuare l'invito non più per interposta persona, ma direttamente a tutti gli iscritti e i dipendenti via e-mail. E' cambiata quindi unicamente la forma della comunicazione, non ciò che era comunicato, nè il numero di destinatari.

Le reazioni sono state furibonde. Gli Studenti di Sinistra hanno diramato un comunicato ("Come Studenti di Sinistra riteniamo inaccettabile che un'istituzione laica e pubblica come l'universita', in totale spregio al principio di laicita' dello Stato, ponga all'interno delle proprie cerimonie un rito religioso, per altro celebrato da personaggi di dubbia moralita") probabilmente accorgendosi solo oggi di quello che l'Università organizza con la diocesi da più di mezzo millennio (chi lo sa, magari pensavano che tutti si vedessero ogni anno in chiesa dal 1321 per giocare a briscola...).
L'UAAR fiorentino scrive direttamente al rettore per protestare contro questo pericolosissimo attentato al bene supremo della laicità dello Stato, richiamando sentenze della Corte di Strasburgo sulla riservatezza dei dati sensibili (anche se qualcuno deve spiegarmi cosa c'entri la privacy con l'invito a una messa) e paventando ritorsioni contro chi non parteciperà alla celebrazione (che, ricordo, si ripete ogni anno dal 1321). Si aggiunge anche che dei musulmani avrebbero manifestato del disagio all'UAAR (!) per via dell'invito ricevuto.
Protesta anche il rappresentante regionale della Federazione della Sinistra che ha colto l'ennesima occasione per alienarsi un altro po' di elettorato operaio parlando della messa di Firenze invece che della crisi o dei diritti dei lavoratori.
Anche Margherita Hack prende posizione condannando questa "cosa assurda", mai udita (eccetto che una volta all'anno dal 1321 in poi...), peggiore perfino del discorso del Papa alla Sapienza (anche se Benedetto XVI alla fine non tenne nessun discorso nell'Università romana fondata dal suo predecessore Bonifacio VIII).

L'Italia si sta sempre più spaccando tra dei deliranti antireligiosi che vorrebbero in un colpo solo spazzare via le messe, i preti e il velo islamico ed una cricca di clericali e atei-devoti (quelli che non credono in Dio, ma nel cardinale Bagnasco...) che concepiscono la religione unicamente come instrumentum regni da usare per controllare le masse. Lo spazio per l'equilibrio e la tolleranza, così, si riduce sempre di più, come anche lo Stato laico corre sempre più il rischio di essere fagocitato ora dai fautori dell'ateismo di Stato, ora dai teorici dello Stato confessionale.

sabato 20 novembre 2010

L'invasione evangelica del Kurdistan

La Guerra del Golfo del 1991 e poi la seconda invasione americana dell'Iraq hanno spalancato le porte della Mesopotamia a un esercito di missionari evangelici, prevalentemente americani, avente l'obiettivo dichiarato di esportare, insieme alla democrazia, anche il cristianesimo riformato.
Nel '91 i primi missionari giunsero insieme alle ONG con scopi almeno nelle dichiarazioni umanitari, non incontrando ostacoli nell'insediamento nel Kurdistan dilaniato dalla guerra e dalla pulizia etnica di Saddam Hussein. Insieme a loro arrivavano milioni e milioni di dollari di provenienza statunitense, dove le Chiese evangeliche possono contare di un sostegno fortissimo e di un finanziamento volontario incredibile per gli standard europei.
Da allora sono cominciate l'attività di traduzione della Bibbia e dei testi dei predicatori americani e la costruzione di chiese e di università religiose nelle principali città, per creare una infrastruttura locale adatta alla propagazione della Parola di Dio. I risultati, seppure non statisticamente significativi, non si sono fatti attendere e molti curdi hanno accettato il battesimo e l'insegnamento di questa strana fede americana che mescola Vangelo e liberismo economico, forse anche nella speranza di avere così garantito un visto più facile per gli Stati Uniti.
E' stato comunque con la conquista di Baghdad che, crollata la frontiera, il Kurdistan è stato praticamente invaso dagli evangelizzatori che hanno cominciato a fare proselitismo in grande stile, suscitando più di qualche malumore nella società irachena che (almeno nelle intenzioni) si dovrebbe reggere sull'equilibrio tra le diverse componenti etnico-religiose.
La denuncia arriva dai cristiani caldei che accusano questi missionari di svolgere un'attività di mera provocazione e facilmente strumentalizzabile da qualcuno dei numerosissimi gruppi terroristici che dilagano nel paese. Alcuni evangelici più spinti, inoltre, hanno perfino espresso il desiderio di rievangelizzare i cristiani levantini, accusati di essersi troppo distaccati dal vero cristianesimo (essendo loro cattolici, ortodossi e siriaci e non evangelici come gli statunitensi). Quanto basta per spingere un partito caldeo a chiedere la proibizione del proselitismo evangelico.
Nel frattempo gli ultimi sette anni hanno visto una vera e propria escalation di questa attività missionaria: i milioni di dollari investiti in una terra dove non c'è nulla, la fondazione di scuole e università, il quasi monopolio nell'importazione di pubblicazioni, la predicazione capillare mediatica e i pubblici raduni con centinaia di neobattezzati appaiono quasi un affronto ai curdi più tradizionalisti. Si denuncia perfino che i pastori protestanti predichino che sia l'Islam la causa dell'arretratezza della regione.
La posizione degli evangelici è da sempre filosionista e filoamericana, ovvero estremamente confliggente con l'antiamericanismo e l'antisionismo che sempre più pervadono l'opinione pubblica araba. Da più parti si paventa il rischio che queste conversioni possano apparire alla maggioranza degli iracheni come forme di collaborazionismo col nemico e che gruppi più radicali finiscano per confondere i pastori evangelici con le millenarie comunità cristiane locali, che quindi si ritroverebbero ancora più coinvolte nel terribile scontro settario in atto nel paese.

venerdì 19 novembre 2010

I paladini della Cristianità

Ecco a voi i politici che dichiarano di volersi battere per i valori cristiani, che attaccano i musulmani e ne chiedono la fucilazione, che danno dell'imam al cardinale Tettamanzi. Eccoli scherzare, bere e bestemmiare nel duomo di Monaco di Baviera.

giovedì 18 novembre 2010

Hai successo? Licenziato!

Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre, è il responsabile della trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano Vieni via con me, che con le ultime due puntate ha registrato gli ascolti più alti della rete, della Rai e delle prime serate in cui è avvenuta la messa in onda. Così la Rai, per premiarlo per il successo che ha registrato, gli ha spedito una lettera di richiamo (cioè un provvedimento disciplinare) e, così facendo, ha reso possibile l'eventuale apertura della procedura di licenziamento nei suoi confronti.
Il mandante pare che sia il ministro Maroni, che non ha affatto gradito l'ultima puntata in cui Saviano ha parlato delle infiltrazioni della 'Ndrangheta in Lombardia, del modo in cui la società lombarta ha accolto le cosche, in qualche modo favorendole, e del mancato impegno della Lega (forza politica dominante in quella realtà) per contrastare il fenomeno dal punto di vista culturale, oltre che con gli slogan. Si è adirato sentendo ricordare per la prima volta davanti a nove milioni di telespettatori che qualche mese fa avvenne un abboccamento tra un politico leghista e degli esponenti delle 'ndrine (famiglie mafiose calabresi), vedendo le immagini di un meeting della Cupola svoltosi appena fuori Milano, accorgendosi che per la prima volta si era rotto il silenzio sull'attività delle cosche nel Nord.
Il ministro voleva andare in trasmissione a replicare (a cosa? A dei video?), ma Mazzetti glielo ha negato: la trasmissione non è un talk show, nè una tribuna politica. Al che Maroni si è attivato per usare tutta la propria influenza contro Saviano e Mazzetti, ottenendo da Masi una spada di Damocle sospesa sopra la testa del secondo. Il Giornale di Sallusti, invece, si sta occupando del primo con una raccolta di firme contro di lui, colpevole di diffamare il Nord (come una volta era colpevole di diffamare il Sud!).
Così, mentre la Sicilia ha superato da decenni il periodo in cui della Mafia era vietato parlare, adesso tocca alla Lombardia, la terra col più alto tasso di investimento mafioso d'Europa, erigere uno scudo di omertà a difesa dei clan che devono poter fare affari indisturbati. Si isolano le associazioni antiracket, si manganella mediaticamente chiunque osa parlare e si nega fino all'estremo l'esistenza del fenomeno (come ha fatto il sindaco Moratti), così dimostrando che Saviano ha detto il vero: la Lombardia non solo non pone ostacoli alla 'Ndrangheta, ma ne è addirittura un ottimo terreno di coltura.
Così, alla faccia della meritocrazia, del mercato e del successo aziendale, la Rai si prepara a mazzolare i propri migliori autori, magari in attesa che, come nel caso Santoro, sia la magistratura a costringerla a reintegrarli e a riprendere a fare utili.

domenica 14 novembre 2010

Religiolus. Quando il pregiudizio si spaccia per ragione

Giungendo molto tardi sulla notizia, ho avuto modo di vedere (e, perché no, anche di gustare) l'ormai da tempo uscito film Religiolus, una satira sulle religioni girata dal regista Larry Charles (quello di Borat, per intenderci) e condotta con ironia e faccia tosta dal comico Bill Maher. Il lungometraggio è un documentario che ha per slogan "usate la ragione, non la religione" e che si apre e si chiude con un invito al dubbio rivolto ai credenti.
Non volendo recensire il film (stilisticamente godibile, nonostante il saccente monologo finale), mi limiterò a constatare che dalla visione di dubbi sulla fede ne sorgono veramente pochi al cattolico medio,dato che la pellicola si concentra più che altro sulle moltissime e ridicole sette statunitensi.
Se per tutta la prima parte l'opera è assolutamente piacevole e arguta, è quando si parla di Islam che gli appelli alla ragione e al dubbio diventano unicamente nominali e comincia una vera e propria elencazione di tutti i luoghi comuni sulla religione musulmana, tutti dati per veritieri e tutti utilizzati per dimostrare l'infondateza di quel credo.
Si procede così all'estrapolazione dal Corano di quei versetti che, riferendosi alle situazioni di aggressione da parte di nemici esterni o di persecuzione, fanno appello alla lotta armata. Ovviamente la presenza delle due premesse è omessa, come si omette anche il particolare che il Corano vieti espressamente la continuazione della guerra quando il nemico ormai si è arreso e chiede la pace: l'Islam spinge alla guerra gratuita, si preferisce affermare.
Vediamo che il dovere del dubbio, tanto sbandierato all'inizio del documentario, viene improvvisamente meno quando si ha a che fare con le ferme convinzioni degli autori. Eppure sarebbe stato molto facile acquistare una traduzione in inglese del libro per verificare...
A seguire vengono fatte scorrere immagini di guerriglieri palestinesi, citazioni di Osama Bin Laden, immagini di imboscate in Iraq e l'autorevolissima intervista ad un parlamentare olandese islamofobo le cui opinioni sono disponibili in italiano in qualsiasi libro di Oriana Fallaci o Antonio Socci. Poi si accusa l'Islam di intolleranza parlando di Theo Van Gogh e di Salman Rushdie, di trattare male le donne per ordine diretto di Maometto e di tutte le altre storielle che si ascoltano fino alla noia in giro.
Fa quasi sorridere, infine, la scena in cui Maher, intervistando un rabbino antisionista che cerca di spiegargli la teoria dell'unico stato come soluzione per il conflitto israelo-palestinese, si alza e scappa via rifiutando qualsiasi confronto, non riuscendo a fare nulla di meglio che poi montare il pezzo con foto del rabbino in compagnia di Ahmadinejad.
Per i meno informati, preciso che Ahmadinejad, contrariamente a quanto sostengono i nostri media, non vuole lo sterminio di tutti gli ebrei, ma è solo un fautore della teoria (quasi utopia) dell'unico stato di Palestina, dove israeliani e palestinesi possano convivere in pace e con uguali diritti. Ma visto che, nonostante gli slogan sul dubbio e sul pensare con la propria testa, agli autori fa comodo alimentare gli stereotipi dello spettatore medio per portare avanti la propria tesi, allora ci tocca assistere all'ennesima strumentalizzazione dell'ignoranza popolare.
Quella che doveva essere una messa alla berlina delle religioni, così, diviene agli occhi del pubblico più informato una tragicomica rassegna di cliché e di luoghi comuni, dove la razionalità scompare a vantaggio dei collegamenti (mendaci) immediati, delle associazioni di immagini, degli spettri e delle paure collettive. Un'opera di oscurantismo, quindi, che nel suo piccolo contribuirà ad alimentare l'odio anti-islamico ed il pregiudizio.
Dubitate di chi, dicendovi quello che volete sentire, vi invita a dubitare.

martedì 9 novembre 2010

La nuova frontiera del nucleare italiano: l'archivio

Niente stanziamenti, assenza di personale specializzato, esecutivo traballante. Sono questi i tre elementi che probabilmente faranno saltare il piano di ritorno all'energia atomica su cui Berlusconi e Sajola avevano puntato tantissimo, ma che in realtà sembra destinato ad aggiungere un nuovo elemento alla lunga serie dei desiderata berlusconiani.
Per prima cosa, l'accordo con la Francia non era nemmeno classificabile come un preliminare, dato che era un semplicissimo impegno molto generico e non vincolante per l'impiego di tecnologie transalpine nei nostri ipotetici futuri cantieri. Tuttavia per la sua estrema indeterminatezza era idoneo solo a rivestire un significato politico.
Senza vincoli giuridici, il governo avrebbe dovuto occuparsi della questione rispettando solo parametri politici e, ovviamente, di bilancio. I numeri della maggioranza, però, sono sempre più incerti e, tra una defezione e l'altra, il timore di inimicarsi il proprio collegio approvando una centrale atomica nei suoi paraggi dovrebbe influenzare i parlamentari più di qualsiasi logica di coalizione. Con le camere paralizzate e le liti tra partiti sempre più frequenti, infine, è da escludersi che Berlusconi abbia voglia di impaludarsi in uno spot radioattivo.
Infine la questione dei soldi: non ci sono nemmeno per accontentare i ministeri, dice Tremonti, per cui figurarsi per inaugurare cantieri costosissimi e dalla durata aleatoria come sono quelli delle centrali atomiche. Inoltre fornire l'agenzia nucleare di nuovo personale specializzato e adeguatamente pagato sarebbe un impegno francamente eccessivo per le nostre dissestatissime finanze pubbliche.
Inesistenza di vincoli giuridici e internazionali, assenza di personale idoneo (23 anni senza centrali si fanno sentire...) e impossibilità di spesa faranno sì che la neonata agenzia guidata dal nuclearista Veronesi (sì, proprio quel Veronesi oncologo che, contro ogni statistica, diceva che i fumi di incenerimento non influenzerebbero il tasso di incidenza tumorale) sarà una scatola vuota priva di qualsiasi funzione operativa. Meglio così, forse.

domenica 7 novembre 2010

Democrazia o fascismo? Per qualcuno fa lo stesso

Il malcostume nazionale sta raggiungendo vette mai viste prima e il contagio sembra essersi esteso anche a persone che, come Morandi, apparivano essere fuori dalla mischia fino a non molto tempo fa. Che cosa avrà spinto, infatti, un cantautore di vecchissima scuola, non impegnato come un Guccini o partigiano come i Modena City Ramblers (mi si perdoni se li cito tutti di una stessa parte, ma dall'altra non vedo, o sento, equivalenti degni di nota), a voler far cantare a Sanremo Giovinezza, celeberrima canzonetta del Ventennio?
Il Fascismo ormai da anni è stato sdoganato, grazie all'impegno pluridecennale di giornalisti come Montanelli (che nella sua Storia d'Italia parla di Guerra Civile, non di Resistenza) e Pansa. Ma da questo a farlo entrare in uno degli appuntamenti televisivi tradizionalmente più popolari, ecumenici e inoffensivi ce ne dovrebbe correre.
Se gli organizzatori si fossero limitati a programmare Giovinezza, il danno sarebbe stato ancora contenuto. Ma ancora più grave è che abbiano affiancato alla canzone fascista il canto partigiano Bella Ciao, dicendo di voler unire nello spettacolo tutti gli italiani, fascisti o antifascisti che siano, senza magari ricordarsi che la nostra Italia, che è repubblicana e non repubblichina, è nata proprio dalla contrapposizione armata (la Resistenza) tra i fautori dei valori liberal-democratici e coloro che invece desideravano imporre quelli liberticidi della RSI.
Sarebbe come voler bilanciare le dichiarazioni di un mafioso con il nastro di un'intervista a Falcone o a Borsellino: il solo affiancare i due momenti significherebbe mettere sullo stesso piano il nostro Stato (l'Italia repubblicana e democratica) con i suoi nemici (il Fascismo liberticida o Cosa Nostra o che sia).
Le polemiche su Giovinezza hanno fatto mobilitare i dirigenti della Rai: la canzone non sarà cantata, assicurano, ma, per correttezza, non potrà nemmeno essere eseguita Bella Ciao per par condicio.
Esattamente come se per bilanciare la mancata lettura del Mein Kampf si annullasse pure quella della Costituzione: non esiste par condicio nei casi in cui è lo stesso fondamento del nostro convivere civile è messo in discussione, dove si può solo decidere se accettare e rifiutare quei minimi valori di libertà, uguaglianza e giustizia che sono la base portante della democrazia.
La Resistenza, periodo storico ormai bollato dalla propaganda come comunista e filosovietico, è quella di Calamandrei, del Partito d'Azione, del Comitato di Liberazione i cui partiti poi confluirono nella Costituente. Dall'altra parte, c'erano macellai come Kesselring (il comandante dell'esercito nazista in Italia), quelli della X Mas, delle SS, delle stragi e degli eccidi. Non può esistere par condicio tra loro.






Lapide ad Ignominia           (P. Calamandrei)

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

venerdì 5 novembre 2010

Ecopragmatico (con ogm e scorie radioattive al seguito)

Stewart Brand è una delle figure di spicco dell'ecologismo americano. E' visto da alcuni come un messia, da altri come un traditore della causa ambientale. Gli piace definirsi un ecopragmatico, neologismo che indica un ecologista non arroccato su posizioni ideologiche, e il suo nuovo libro, Una cura per la Terra, fa già discutere.
Nel saggio l'autore sostiene che il futuro del pianeta sarà garantito da megalopoli ad altissima densità abitativa, dagli OGM e dall'energia nucleare e su La Repubblica è apparsa un'intervista in cui ci viene data un'anticipazione molto interessante.
Sulle città sovrappopolate sembra più pragmatico un idealista come Latouche che parla di decrescita (dell'economia e della popolazione), piuttosto che un americano pragmatico che ci invita a trasferirci tutti in supercondominii da migliaia di residenti in stile giapponese, dove la spersonalizzazione è completa e finalmente l'individuo subirà una volta per tutte la trasformazione da persona a numero: se anche questo fosse un toccasana per l'ambiente, lo sarebbe maggiormente per gli strizzacervelli che vedranno aumentare esponenzialmente i pazienti che si rivolgeranno a loro per depressione.
Quanto agli OGM, più che al futuro sembrano ormai appartenere al passato della tecnologia: se ne parla da lustri, ma stanno venendo progressivamente banditi dai nostri campi e dalle nostre tavole. L'autore arriva fino a collegare gli organismi transgenici all'Africa e ignora bellamente le conseguenze disastrose che essi hanno sui paesi poveri: quelle piante sterili (le aziende non fanno mai un prodotto in grado di replicarsi) obbligano i contadini locali ad indebitarsi ogni anno con le multinazionali che producono le sementi (non hanno i soldi per pagarle subito e offrono in garanzia i frutti), in una ripetizione che non potrà mai avere fine. I risultati sono la distruzione dell'agricoltura tradizionale e la crisi irreversibile della biodiversità (l'ecopragmatico ne ha mai sentito parlare?).
Il capolavoro, però, è l'inno "ambientalista" al nucleare, agiografia ormai troppe volte sentita. Abbiamo già visto come persone che fino a due anni fa negavano i cambiamenti climatici adesso ne siano divenute i più convinti profeti visto che il terrore dei tre gradi in più sembrerebbe un ottimo incentivo alla fabbricazione di reattori. Brand, invece, fa parte della schiera di coloro che, sentendo gli argomenti dei primi, è passato dal campo antinuclearista convinto a quello radicalmente opposto.
Ci dice che le radiazioni non fanno male (Chernobyl era più che altro un'isteria collettiva, a quanto pare) e che le scorie non sono un problema, poiché la soluzione esisterebbe già (vetrificare i rifiuti; ma questo serve solo ad evitare la polverizzazione, non c'entra nulla con la radioattività in sè), che i depositi di stoccaggio starebbero già venendo fatti in Francia, Svezia e Finlandia e che stivare tutto nelle miniere di salgemma ci libererebbe per sempre del problema. Peccato che in Germania la miniera di salgemma di Asse, auspicato deposito definitivo delle scorie, sta dovendo essere sgomberata in fretta e furia perché le infiltrazioni d'acqua stanno sommergendo i fusti e il sito rischia di crollare, mentre in Francia attualmente non esiste nessun deposito permanente di scorie radioattive e i fusti sono semplicemente ammassati in container lasciati in depositi a cielo aperto. Qui si può vedere un documento (di quasi due ore) andato in onda sul tema poco tempo fa sul tema.
Ma l'ecopragmatico non deve aver avuto notizia di tutto ciò e, mentre il Portogallo produce il 60% della propria energia da fonti pulite e nel mondo il numero delle centrali nucleari è stazionario a causa dei loro costi eccessivamente antieconomici (ho già citato lo studio del MIT), lui chiede ai governi di spendere dove nessun privato investirebbe per un'energia che appartiene ormai alla preistoria delle fonti. Molto pragmatico.

giovedì 4 novembre 2010

4 Novembre 1918

Il 4 Novembre è la festa delle Forze Armate: si celebra la vittoria nella guerra del '15-'18, nota come Prima Guerra Mondiale, Grande Guerra e, da noi, come Quarta Guerra di Indipendenza. Si festeggia il fatto che la Venezia Giulia, l'Istria e il Trentino si siano uniti alla patria comune degli altri Italiani e che l'Alto Adige sia stato annesso al Regno d'Italia perché, nonostante vi si parli ancora tedesco, si trova al di qua dello spartiacque alpino.
Si festeggia la conquista di Trento a prezzo di decine di migliaia di morti, quando la città ci era stata offerte per ben due volte in passato dall'Austria e noi l'avevamo rifiutata perché non ci bastava. Si festeggia la conquista di Gorizia costata centinaia di migliaia di morti, quando anche questa città ci era stata offerta in passato dall'Austria. Si festeggia per Trieste e per l'Istria, anch'esse conquistate con un immenso sacrificio umano, ma che pure ci erano state offerte dall'Austria in passato. Si festeggia l'annessione dell'Alto Adige, provincia austriaca per lingua e cultura, ma che l'Italia ha annesso a prezzo di migliaia e migliaia di morti.
Ma il 4 Novembre non si festeggia soltanto. Il 4 Novembre si ricorda anche il fallimento delle aspirazioni su Fiume e sulla Dalmazia che, nonostante fossero state promesse a noi, sono poi state date alla Iugoslavia dai nostri alleati. Si ricorda la Vittoria Mutilata che la dea Guerra ci aveva concesso in cambio di più di seicentomila sacrificati. Si ricorda quella pace che non andò bene a nessuno tra vincitori e sconfitti, che doveva distribuire ai primi un poco dei resti dell'Europa devastata, strappandoli ai secondi che ormai non avevano più voce in capitolo.
Il 4 Novembre si ricordano anche quei vent'anni che seguirono di fascismi e revanscismi, invidie e vendette. Si ricorda quell'altra guerra, ancora più Grande della prima, che avrebbe dovuto regolare tutti i conti lasciati in sospeso o aperti dalla tregua intermedia.
Il 4 Novembre è una festa in cui c'è poco da festeggiare.

Francia e Italia nazioni sorelle? Forse sì

Presidenti coinvolti in casi di corruzione, potere personalistico, populismo, strane frequentazioni, xenofobia, leggi efferate sull'immigrazione, richiami da parte dell'Unione europea, gigionismo internazionale e presunto utilizzo dei servizi segreti dello Stato contro gli oppositori. E questa volta non si parla del nostro premier Silvio Cesare Berlusconi.
Sarkozy è riuscito in pochi anni ad apprendere la lezione italiana e, giovandosi della rovina del suo diretto rivale de Villepin, ha prima ottenuto il controllo della destra francese e poi dell'Eliseo. Da quel momento in poi ha portato avanti la sua crociata personale contro gli stranieri (anche di seconda generazione) cavalcando la xenofobia e l'islamofobia in esponenziale aumento, con slogan simil-leghisti su sicurezza, terrorismo (da notare che la Francia non ha subito attentati) e difesa dei posti di lavoro minacciati dall'invasione straniera. Dopo i musulmani è toccato agli zingari, espulsi in massa dal paese con una metodicità che non si vedeva da decenni in Europa, per la quale il Parlamento dell'Unione ha richiamato ufficialmente la repubblica transalpina.
Adesso il giornale satirico Le Canard Enchainé ha rivelato indiscrezioni secondo le quali i servizi segreti avrebbero tenuto sotto controllo la stampa per "ridimensionare" (usando le parole di Henri Guaino, consigliere presidenziale) i giornalisti, sollevando un polverone sul governo.
Il direttore sostiene che le fonti del giornale sono buone e che non si può avanzare un'accusa del genere senza sostanza. L'Eliseo impacciatamente smentisce ("la DCRI - il servizio segreto interno, ndr - non è la Stasi o il Kgb") e pretende di conoscere le fonti dell'inchiesta (il problema è sempre chi parla, mai chi fa), mentre il Parlamento ha chiesto l'audizione dei due direttori dei servizi per avere le spiegazioni del caso. Uno dei due, Bernard Squarcini, ha minacciato (ma non eseguito) una denuncia per diffamazione.
Squarcini nega la responsabilità di Sarkozy e accusa il capo della polizia di aver fatto tutto da solo, commissionando l'operazione di spionaggio. Sostiene che oggetto dell'attività di spionaggio non erano i giornalisti e i direttori, ma le loro fonti all'interno della Pubblica Amministrazione.
Non resta che misurare il livello di italianizzazione della Francia sulla base di quanto questi continui scandali influiranno sulla tenuta del Presidente. Nel caso in cui nemmeno adesso si deciderà di dare le dimissioni, allora il nostro rapporto di parentela stretta coi francesi potrà anche essere ufficializzato: il berlusconismo, questo sistema di leadership basato sul potere di uno, sul menefreghismo per le regole democratiche e sul populismo xenofobo, si è diffuso anche oltralpe.

domenica 31 ottobre 2010

I vinti non dimentichino

E' uscito il nuovo libro di Giampaolo Pansa, dal titolo vagamente minatorio "I vinti non dimenticano". Il tema (ormai abusato da parte del giornalista) sono le vittime nazifasciste della Resistenza e del periodo immediatamente successivo, alle quali non sarebbe dato nessun risalto da parte della storiografia e dell'opinione pubblica. Questa serie di libri sull'argomento, sostiene l'autore, cercano di ribilanciare il giudizio sulla Guerra Civile, per dimostrare che anche i vinti hanno sofferto per mano dei vincitori.
Dato che nemmeno a noi piace dimenticare, stiliamo un elenco delle migliaia di vincitori che sono stati passati per le armi dai nazifascisti vinti in tutta la penisola. Sì, che i vinti non si dimentichino di coloro che hanno ucciso.
Dei sedici morti ammazzati di Castiglione.
Dei dodici di Barletta.
Dei ventiquattro e poi cinquantanove di Boves.
Dei dodici di Matera.
Dei nove de L'Aquila.
Dei diciassette di Rionero in Vulture.
Dei centodieci di Acerra.
Dei quindici di Conca.
Dei cinquantaquattro di Bellona.
Degli undici di Ferrara.
Dei centoventotto di Pietransieri.
Dei trentotto di Sant'Agata.
Dei dieci di Scalvaia.
Dei centoquaranta di Monchio, Susano e Costrignano.
Dei ventisette di Montalto.
Dei trecentotrentacinque delle Fosse Ardeatine.
Dei diciannove di Montemaggio.
Dei ventisette del Pian del Lot.
Dei cinquantuno di Cumiana.
Dei centoquarantasette della Benedicta.
Dei duecentosessantanove di Lippa.
Dei quindici di Madonna della Pace.
Dei cinquantanove del Turchino.
Dei quattordici de La Storta.
Dei quarantadue di Fondotoce.
Dei quatranta di Gubbio.
Dei quarantadue della Bettola.
Dei duecentoquarantaquattro di Civitella.
Dei cinquantasette di Guardistallo.
Dei sessantacinque di San Polo.
Dei sessantaquattro di Tavolicci.
Dei cinquantacinque di San Miniato.
Dei ventisette del Carnaio.
Dei quindici di Piazzale Loreto.
Dei venti di San Quirico.
Dei centosettantacinque del Padule di Fulcecchio.
Delle centinaia di Cavriglia, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto e di tutti gli altri quattrocento luoghi (censiti) che hanno dovuto assistere all'aspetto più feroce dell'Occupazione nazifascista.
E degli ottomila ebrei italiani massacrati nei campi di sterminio, delle vittime di Risiera di San Sabba, delle migliaia e migliaia di vincitori a cui i vinti hanno rubato la vita, di tutti gli assassinati durante il Regime, degli abissini gasati in Etiopia, dei libici passati per le armi, dei dalmati lasciati morire di stenti nei lager italiani durante l'italianizzazione della Dalmazia, dei partigiani morti per dare alle persone che oggi incensano i loro carnefici la possibilità e la libertà di farlo...

Di tutti questi vincitori, no, i vinti non se ne devono dimenticare, ma devono ricordarsene. Tutti abbiamo il dovere di ricordarcene.

martedì 26 ottobre 2010

Deutschland Über Alles, ovvero dell'inno nazionale censurato

Il presidente cileno Sebastián Piñera, in visita ufficiale a Berlino, ha lasciato una firma sul libro degli ospiti del Presidente tedesco accompagnandola con la frase Deutschland Über Alles (la Germania sopra tutto), primo verso del Canto dei Tedeschi, scritto a metà Ottocento come inno della nazione tedesca. Il visitatore sostiene di aver scelto quel motto per ringraziare la Germania per l'aiuto prestato nel famoso salvataggio dei minatori intrappolati per settimane in una miniera collassata, ma sicuramente non avrebbe mai immaginato la polemica che ne sarebbe scaturita.
Deutschland Über Alles, infatti, è conosciuto in patria come un motto nazista più che come un motto patriottico, così che si sono levate da tutto il mondo politico, dalla stampa e dalla società civile numerose proteste per la leggereza di Piñera: è stato inserito uno slogan nazionalsocialista nel libro degli ospiti presidenziale da un capo di Stato straniero.
La polemica lascia di stucco il lettore italiano medio (e anche medio-alto), che è convinto che il Canto dei Tedeschi, a cui il verso appartiene, sia l'inno nazionale tedesco. Apparirebbe infatti incomprensibile che la frase cantata a squarciagola in tutta la Germania durante cerimonie ufficiali, ricorrenze e partite di calcio sia pressoché bandita dal linguaggio corrente perché nazista.
Poi, però, basta una breve ricerca per scoprire che dopo la Seconda Guerra Mondiale l'inno tedesco è stato modificato con la cesura delle prime due strofe (la frase incriminata è nella prima) ed il mantenimento della terza (Einigkeit und Recht und Freiheit / ecc.) come inno nazionale. La musica, invece, è sempre la stessa, opera del compositore Heinrich Hoffmann von Fallersleben e particolarmente orecchiabile. L'ignoranza del fatto è pienamente scusabile e sono in pochi a sapere della modifica ormai in vigore da decenni. 
Piuttosto c'è da chiedersi quanto sia stato sensato espungere due strofe dall'inno nazionale per rimuovere un ricordo spiacevole del proprio passato. E, se proprio la scelta era obbligata, perché allora non cambiare tutto l'inno nazionale, invece che prendersela con il primo straniero di turno che, ignaro di questi bizantinismi, ha la malaugurata idea di riportare l'ex primo verso dell'unico inno nazionale censurato?

sabato 23 ottobre 2010

Honduras: il regime militare sostenuto dalla Chiesa e la repressione

Non molti si ricordano del golpe che in Honduras, l'anno passato, rovesciò il pittoresco presidente riformista Manuel Zelaya e, col pretesto di ripristinare l'ordine costituzionale secondo loro a rischio per via delle riforme allora in atto, portò al potere i militari . La notizia fu subito derubricata all'ennesimo scontro tra demagoghi ed esercito in un paese latinoamericano, tanto che subito molti opinionisti nostrani si prodigarono perfino in difese d'ufficio del colpo di mano definendo Zelaya un Berlusconi honduregno, un ipocrita, un capetto locale che col carisma voleva farsi dittatore.
Dopo il golpe, gli Stati Uniti negarono di essere coinvolti: loro sono sempre i primi indiziati per ciò che succede in quello che una volta si chiamava il loro giardino di casa. Tanto più che Zelaya si era inimicato i latifondisti (tra cui le multinazionali che praticano la monocoltura industriale) col suo sostegno ai contadini, aveva scontentato gli industriali con le leggi sui salari minimi ed aveva operato delle nazionalizzazioni nel settore dei servizi pubblici. Ma USA e UE subito condannarono il colpo di Stato, anche se non fecero assolutamente nulla per ripristinare il governo legittimo.
L'unico a sostenere apertamente il golpe fu il cardinale di Tegucigalpa Óscar Rodríguez Maradiaga che, quando Zelaya annunciò di voler rientrare nel paese dopo l'esilio, gli disse prontamente di non farlo per non creare disordini. Più probabilmente glielo ha chiesto perché da sempre i prelati latinoamericani (contrariamente ai loro preti, che talvolta hanno perfino praticato la lotta armata rivoluzionaria) sono sempre stati i più stretti amici delle classi al comando. Così, a quanto ne so, questo è stato l'ultimo colpo di Stato spalleggiato dalla Chiesa Cattolica.
Oggi si sta tracciando un bilancio di questo anno di dittatura: oppositori uccisi, manifestazioni disperse a colpi di lacrimogeni e idranti, riforme liberiste sfrenate, come la privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici essenziali, repressione antisindacale, eliminazione dei salari minimi e tanto altro ancora. Tra fughe e decine di omicidi governativi, mentre da noi la stampa tace (troppo impegnata a parlare di Avetrana?), al Congresso degli USA si vuole presentare una mozione da parte dei democratici (che per ora hanno ancora la maggioranza) per la sospensione degli aiuti all'Honduras al ripristino di livelli decenti di diritti umani.
Nel frattempo, al resistenza pacifica va avanti e sorgono ovunque comitati e associazioni (rigorosamente non autorizzati) per far dimettere Porfirio Lobo, il capo della giunta militare. Magari, se le notizie sull'operato del regime circoleranno, non dovranno neppure scontrarsi con una così forte opposizione clericale.

giovedì 21 ottobre 2010

Immondizia campana: più che miracolo, gioco di prestigio

La Campania è di nuovo sommersa dai rifiuti, nonostante per decreto il governo abbia dichiarato la fine dell'emergenza e la soluzione del problema del ciclo della spazzatura nella regione. Era il miracolo di Berlusconi e Bertolaso e il fiore all'occhiello dell'operato del loro governo, insieme alla ricostruzione de L'Aquila. Ma, insieme al pasticcio abruzzese, questo si è rivelato essere la migliore e nello stesso tempo la peggiore farsa messa in scena dall'esecutivo del fare.
Già a settembre alcuni quotidiani avevano pubblicato di nuovo delle foto del centro di Napoli tornato ad essere un immondizzaio a cielo aperto, ma le televisioni provavano ancora a coprire la notizia, non dandola o dedicandole pochi secondi nel bel mezzo del pastone informativo. Poi la situazione è sfuggita di mano ai consorzi di raccolta e alle provincie (delegate alla gestione dei RSU), dato che le discariche riaperte erano ormai sature, ma ancora i mezzi di informazione dicevano che si trattava solo di un problema nella raccolta, che il fenomeno era incomprensibile. Oggi, infine, la spazzatura è uscita da sotto il tappeto dove era stata nascosta e sta tornando ad essere un problema, un'emergenza di ordine pubblico: non si sa più dove metterla e le norme che fanno diventare aree militari i siti di stoccaggio non rassicurano certo la popolazione sulla trasparenza delle procedure. Una sorpresa per molti telespettatori italiani.
Sarebbe bastato vedere Report qualche settimana dopo la dichiarata fine dell'emergenza per rendersi conto che Berlusconi e Bertolaso in realtà non avevano fatto proprio nulla di effettivo e che avevano semplicemente nascosto i rifiuti nelle discariche riaperte dal governo precedente in via provvisoria. Le inchieste sul famoso inceneritore di Acerra, atteso messianicamente, hanno poi reso pubblica la sua mai avvenuta entrata in funzionamento a regime, nonostante gli slogan con cui si volevano diffondere ottimismo e speranza.
Il governo del fare si è rivelato un governo dello sperare, desideroso più di conquistare i voti dei campani che di risolvere il problema di una regione che è incapace di fare quello che fanno tutte le altre, smaltire i rifiuti solidi urbani (perché di questo si parla, non di rifiuti speciali). Ma l'emergenza crea commissari straordinari, sblocca fondi e genera posti nella pubblica amministrazione, cioè è più economicamente conveniente della normalità.
Che la volontà di soluzione non ci sia ce lo testimonia anche la vicenda del comune di Camigliano (CE), commissariato dal governo dopo che il sindaco Cenname, eletto in una lista civica e autore di un sistema di raccolta differenziata all'avanguardia e capillare, che aveva raggiunto il 70% di differenziazione dei rifiuti, si era rifiutato di cedere la gestione del servizio al consorzio provinciale per tenerlo nelle mani della città. L'ente provinciale, infatti, sommerso dai debiti e istituito in seguito alle leggi di emergenza, non riusciva neppure a garantire la retribuzione regolare dei propri dipendenti ed il suo servizio era interrotto a singhiozzo dai numerosi scioperi.
Però il governo aveva ordinato per decreto, senza alcun riguardo per valutazioni di efficienza di operato, che era esso a doversi occupare dell'immondizia del casertano, non i comuni, per quanto virtuosi fossero. Così, mentre la giunta di Fondi (LT), comune infiltrato dalla mafia secondo il Ministero dell'Interno, è lasciata in vita perché di colore amico, il paese virtuoso di Camigliano ha subito la mannaia.

mercoledì 20 ottobre 2010

Buoni, cattivi e cattivelli nell'Afganistan occupato

Il New York Times riferisce di trattative segrete tra il governo afgano di Karzai e gruppi di Talebani disposti a negoziare per il rientro nella legalità, mediante contatti con leader locali affidabili. Naturalmente il nostro ministro degli esteri Frattini non può perdere l'occasione per ripete una delle tante frasi fatte del repertorio della diplomazia italiana buonista e politicamente corretta: i gruppi con cui sono in corso i negoziati sono tutti slegati da Al Qaida e le trattative non sono segrete, ma assomiglierebbero molto a delle rese incondizionate allo status quo che è garantito (militarmente, si dovrebbe aggiungere) dalla coalizione occidentale a guida USA e di cui l'Italia fa parte.
Si ripete, così, l'ennesima pantomima in cui ci sarebbe una Spectre mondiale del terrorismo, chiamata Al Qaida e guidata da Bin Laden, a cui i Talebani del mullah Omar sarebbero affiliati. Quindi i sei miliardi e mezzo di abitanti del globo si dividerebbero tra gli amici e sostenitori dei terroristi, gruppo compatto e monolitico in guerra contro di noi e contro la nostra civiltà, ed invece i buoni (commovente la figura dell'arabo buono, che ha abbandonato il tritolo in favore del kebab) che sono nostri amici e alleati. I guerriglieri afgani, essendo contro di noi, sono per questa stessa ragione affiliati ad Al Qaida e dunque immediatamente cattivi, amici dei terroristi; mentre il governo Karzai, imposto dalle nostre truppe, è buono e democratico perché ci aiuta.
Ovviamente la maggior parte degli afgani non sa nulla né dell'undici settembre 2001, né di Al Qaida, né di reti terroristiche mondiali. Lo stesso vale per i guerriglieri locali che stanno dando filo da torcere ai nostri soldati (e in generale alla più potente macchina militare del mondo) laggiù, visto che la loro realtà si limita alla valle dove sono nati e cresciuti e, se sono particolarmente informati, si estende al Pakistan e a qualche paese limitrofo. Dunque l'idea di una rete mondiale del terrore e di una regia unica dietro a tutti gli attacchi all'Occidente fa solo parte delle paranoie della nostra società, quotidianamente foraggiate dalla nostra stampa che non deve dire le cose come stanno, ma deve dare confortare e confermare le idee che sono già presenti nelle menti dei suoi lettori.
Ma come mantenere intatta la nostra visione di scontro tra civiltà se un gruppo di cattivi e un gruppo di buoni dialogano tra loro? Nel caso di specie, come giustificare la trattativa tra dei Talebani (il nemico numero uno, dopo Bin Laden) e il "nostro" governo di Karzai? Chiaramente o si sostiene che Karzai, buono, è sul punto di voltarci le spalle e disertare il nostro fronte, oppure si fa finta che quei cattivi che trattano siano non proprio cattivi cattivi, ma cattivelli, recuperabili perché non membri a pieno titolo della Lega del Male, Al Qaida.
Al Qaida è solo un marchio, si sa, un nome-ombrello sotto il quale una galassia di gruppuscoli improvvisati e indipendenti si fa il proprio jihad casareccio. Ma la verità non è importante: ciò che conta è la rappresentazione della verità, la trasformazione di questo pulviscolo diffuso in un unico organismo di cui, colpita la presunta testa, ci si illude di poter uccidere l'intero sconfiggendo il nemico.
Lo stesso ragionamento lo si può ripetere allo stesso modo circa il termine Talebani: è un'etichetta che si affibbia a tutti i gruppi di guerriglia o di terrorismo nemici delle truppe della coalizione e del governo afgano, senza che magari i loro aderenti si denominino in tal modo. Ma dato che i Talebani sono amici o addirittura parte di Al Qaida, usare questa parola aiuta a demarcare meglio i confini tra l'alleanza del Bene e l'Impero del Male. Sempre, ovviamente, che dei lontani abitanti dell'Asia centrale, ignari di questo nostro modo di pensare, non si mettano a sparigliare la partita.

domenica 17 ottobre 2010

Ghedini, l'indovino di Antigua

L'onorevole avvocato Ghedini chiede che si censuri la puntata di Report di stasera perché, a suo parere, sarebbe fondata su fatti mistificati e dall'effetto diffamatorio per il Presidente del Consiglio. Tema della puntata, dice l'avvocato, sono le manovre immobiliari apparentemente poco limpide di Berlusconi sull'isola caraibica, che avrebbero coinvolto società off-shore istituite in paradisi fiscali. Tutte storie inconsistenti, dice Ghedini, da non trasmettere perché vecchie e ormai smontate da mesi dall'interessato suo cliente .
L'unico particolare è che la puntata non è ancora andata in onda. Come fa Ghedini a dire in anticipo con tanta certezza che contiene falsi che avranno come effetto la diffamazione del premier? Glielo hanno rivelato i segugi di Feltri? I servizi segreti? La P2? La P3? Gladio? Niente di tutto questo: è ciò che l'avvocato deduce da alcuni articoli di giornale contenenti indiscrezioni sul contenuto del reportage, cioè un po' poco per poter sostenere che «sarebbe davvero grave se la Rai mandasse in onda un programma con notizie così insussistenti e diffamatorie e senza alcun contraddittorio».
Segue la logica polemica politica tra un centrodestra che fa quadrato attorno a Ghedini, in chiave di difesa del leader a tutti i costi, e un centrosinistra che insorge parlando (direi a ragione) di tentativo di censura preventiva di un programma scomodo. Non siamo del resto nuovi a richieste di chiusura di trasmissioni da parte dell'entourage di Berlusconi/Cesare: dall'editto Bulgaro a Sabina Guzzanti alle peripezie di Santoro, gli esempi non mancano.
Ciò che è interessante è che l'autore, l'avvocato Ghedini, in una puntata di Annozero dichiarò solennemente che mai avrebbe desiderato la chiusura di quella trasmissione né di nessun'altra, perché lui è un liberale, lui crede nella libertà di stampa e di opposizione, anche incisiva, in TV. Immagino che abbia cambiato idea: succede.
La conduttrice di Report, Milena Gabanelli, ha risposto dichiarando che il tema da trasmissione non sono i presunti illeciti di Berlusconi (come sostenuto dall'avvocato), ma la proprietà della società che ha venduto i terreni che il premier ha acquistato per costruirci sopra la propria magione. Dunque Ghedini, attaccando a testa bassa su un argomento che nemmeno conosceva, ha innescato l'ennesima polemica strumentale e viziosa.

sabato 16 ottobre 2010

L'elezione di Cota pare che sia una farsa

In Piemonte stanno venendo ricontate più di 14000 schede elettorali regionali, dopo che il TAR lo aveva disposto per le presentazioni molto poco chiare di ben due liste legate all'attuale presidente leghista Roberto Cota. Ciò che si deve verificare è che gli elettori di tali liste abbiano espresso una preferenza esplicità per il candidato alla presidenza, e non solo un voto alla lista scelta.
Dai primi calcoli, pare che Cota abbia perso ben 9000 suffragi in questo riconteggio, così che il suo margine di vantaggio risicatissimo sulla sfidante Mercedes Bresso si sarebbe annullato del tutto, rendendo invalida la sua elezione. Ma ciò non basta, perché c'è una terza lista contestata, quella di Michele Giovine, che sarebbe perfino inesistente dal punto di vista giuridico nel caso in cui si dimostrasse che, come si sospetta, le firme con cui è stata presentata siano quasi tutte false. E la lista in questione aveva raccolto 27000 voti tutti annullabili.
Vale certamente la presunzione di innocenza, ma col passare dei giorni e dei conteggi i sospetti diventano sempre più sicuri e quello di truffa sta diventando un odore sempre più forte. La quantità di voti in forse e la scarsa misura del distacco tra centrodestra e centrosinistra nell'ultimo confronto elettorale rendono infine la posizione del governatore sempre più traballante.
I sostenitori di Cota gridano allo scandalo, denunciando un capovolgimento della volontà popolare da parte dei magistrati: per loro la volontà popolare non è quella di coloro che esprimono voti validi, ma quella che i loro padroni desiderano che sia.
Il furto, se si avesse la prova definitiva delle irregolarità, sarebbe quello compiuto da Roberto Cota ai danni della democrazia piemontese e italiana in generale: con sotterfugi di bassa caratura avrebbe tentato di falsare e violentare la volontà popolare che sostiene di rispettare.

giovedì 14 ottobre 2010

Giacobbo e la leggenda del dente mancante. Storia di Prahlad Jani

Prahlad Jani è un santone indiano ottantenne che afferma di non mangiare e bere da oltre settant'anni a questa parte. Demenza senile? Primi sintomi dell'alzheimer che non gli fa ricordare cosa ha fatto cinque minuti prima? Oppure semplice voglia di catturare l'attenzione del mondo? Per Voyager e molti presunti giornalisti niente di tutto ciò: la notizia è vera e le analisi degli scienziati indiani lo proverebbero, come dimostra un reportage mandato in onda da Giacobbo ieri sera.
Provando a spulciare su internet, ho cercato eventuli siti scettici, ma purtroppo ne ho trovati ben pochi (qui il primo di google), così mi sono sentito in dovere di riassumere ciò che la trasmissione di Rai 2 ha fatto vedere e poi fare qualche piccola considerazione sull'attendibilità o meno del racconto.
L'asceta sostiene che all'età di otto anni gli sarebbe apparsa una dea indù che gli avrebbe fatto dono della capacità di assorbire tutti i nutrienti da una presunta energia vitale che scorre in tutto l'universo, per cui da allora in poi non avrebbe più avuto bisogno né di cibo né di acqua. Da allora avrebbe vissuto in sintonia con questa dea che lo nutre istillandogli una specie di nettare direttamente sotto la sua lingua (ci ha pure indicato col dito il punto esatto dove glielo darebbe...) e ciò gli dona salute eterna e lo libererebbe da ogni bisogno fisico, tanto da permettergli perfino di non urinare.
Il caso ha interessato dei medici indiani dell'ospedale locale che lo hanno tenuto sotto osservazione per una decina di giorni e poi hanno certificato la sua non necessità di alimentarsi e il suo perfetto stato di salute, per la gioia degli adepti del santone che quotidianamente lo venivano a trovare.
Giacobbo ci riporta i pareri di uno scrittore (romanziere?), del capo dell'équipe medica e di un paio di docenti di un'univerità induista: i loro pareri concordano sulla veridicità della storia del vecchio. Per cui, è la conclusione di quei medici, di Voyager e di quasi tutti i siti internet che troverete sull'argomento, Prahlad Jani non mangia e non beve da 72 anni.

La conclusione a cui si è giunti è chiaramente arbitraria, dato che al massimo l'équipe medica avrebbe potuto constatare che il vecchio non abbia mangiato e bevuto per quei 10 giorni di esame, ma sicuramente non per i precedenti 72 anni per i quali non abbiamo altre fonti che il racconto dell'asceta stesso. Ma probabilmente si era consapevoli che questa affermazione sarebbe stata quella più gradita al pubblico desideroso di misteri  inesistenti e a tutti i sostenitori del santone, ragion sufficiente per spararla grossa.
Vi invito inoltre a confrontare questa foto con questa. Entrambe raffigurano l'uomo, una com'era da giovane e una come è oggi. Osservate attentamente il labbro inferiore dell'uomo: nella prima è prominente, mentre nella seconda è quasi invisibile, proprio come in tutte le persone anziane che hanno perso i denti. Ricordo, inoltre, che il santone ci ha mostrato la lingua in trasmissione, per cui noi l'interno della sua bocca lo abbiamo potuto vedere e sicuramente non c'era traccia di una smagliante dentatura mai utilizzata da settant'anni a questa parte. Un santone che non mangia da 72 anni e che sarebbe in perfetto stato di salute ha perso tutti i denti!
Come mai, allora, l'indiano avrebbe perso i denti? Se per assurdo fosse vero che l'uomo non introduce cibo in bocca da una vita, come si potrebbero spiegare le carie e le infiammazioni che hanno causato la perdita della dentatura, come accade ad ogni altro adulto e anziano del pianeta?
Purtroppo i luminari intervistati non hanno minimamente fatto accenno al problema e questo potrebbe portare a dubitare della loro effettiva preparazione scientifica. Oppure, a scelta, erano in malafede e quella del santone in presunto sciopero della fame permanente è una bufala a cui gradiscono prendere parte.

mercoledì 13 ottobre 2010

Si apre la caccia a Santoro

A partire da lunedì 18 scatteranno le sanzioni aziendali contro Michele Santoro e Annozero, che saranno spenti e censurati per ordine del direttore generale della RAI Masi, uomo forte di Berlusconi-Cesare nel servizio pubblico radiotelevisivo. Salteranno due puntate del programma per via di un presunto uso da parte del giornalista dei mezzi televisivi per fini personali, consistente nel suo discorso in apertura della prima puntata della stagione (qui il video).
Non è il primo tentativo di far chiudere la trasmissione (ricordo che Berlusconi mobilità la P3 per farlo, come rivelano le indagini della Procura di Trani), nè di sabotarla (Travaglio e Vauro sono senza contratto, per cui la loro presenza in studio è gratuita). Certamente adesso Masi, sottoposto ad infinite pressioni da parte del Cavaliere, farò di tutto per lanciare l'offensiva definitiva. Secondo Il Fatto, la sua poltrona sarebbe stata messa in discussione in caso di fallimento nell'operazione.
Protestano i due impotenti consiglieri d'amministrazione d'opposizione Rizzo Nervo e Van Straten (ho scoperto oggi soltanto i loro nomi...), come anche il quasi altrettanto impotente presidente di garanzia Garimberti, che non potrà fare assolutamente nulla per cambiare l'andamento delle cose. Ci si deve soltanto domandare se abbia ancora senso per personalità non allineate accettare la carica di presidenti della Rai, visto che il loro compito da quel momento in poi sarà inevitabilmente quello di portare avanti e sugellare la volontà del Biscione e dei suoi sgherri.
I Finiani, tuttavia, sono critici con la scelta e loro possono contare su un quasi compagno all'interno del CdA, Rositano, il quale pure sembra che si opporrà a Masi in un'eventuale "persecuzione" ulteriore di Santoro. Sempre secondo Il Fatto, anche altri consiglieri di centrodestra potrebbero in questa occasione non seguire la linea berlusconiana di lotta senza quartiere ad Annozero. Ma, è notorio, se Cesare si dovesse voler imporre in una materia così cruciale per lui nessuno potrebbe avere la voglia di resistergli.
I tentacoli di Berlusconi nei media, infatti, si stanno rendendo sempre più pervasivi: Carlo Freccero è stato esautorato da Rai 4, le intercettazioni di Porro ci hanno fatto sapere che per suo volere è stato imposto Riotta direttore de Il Sole 24 Ore, Minzolini compare sempre più frequentemente in video per difendere il padrone e, secondo i rilevamenti del minutaggio offerto dai telegiornali ai politici, il premier da solo riceve più spazio di tutte le opposizioni messe insieme.
Secondo molti analisti il berlusconismo sarebbe al tramonto. Personalmente ci credo poco, ma, anche se così fosse, l'ultimo colpo di coda del Caimano potrebbe essere formidabile e pericoloso. In ogni caso, abbassare la guardia per il livello di democrazia in Italia proprio adesso potrebbe rivelarsi un vero boomerang per tutti.

venerdì 8 ottobre 2010

Comandamenti ad personam

Monsignor Fisichella, riferendosi alla performance di barzelletta con bestemmia di Silvio Berlusconi (per gli amici Cesare), ha subito modificato il catechismo della Chiesa Cattolica per far avere automaticamente ragione al premier che, essendo l'unto del Signore, non può sbagliare mai.
Ci eravamo sinceramente abituati alle decine di leggi ad personam che Cesare si è fatto in questi lustri per sfuggire alla galera, ma è la prima volta che si sente un prelato affermare che bestemmiare non è poi così grave, che si deve contestualizzare il fatto (dunque bestemmiare raccontando una barzelletta è meno grave? Buono a sapersi: lo farò davanti al parroco...) e che non si deve strumentalizzare, perché "credo che in Italia dobbiamo essere capaci di non creare delle burrasche ogni giorno per strumentalizzare situazioni politiche che hanno già un loro valore piuttosto delicato".
Peccato che l'art. 1756 del Catechismo della Chiesa Cattolica reciti: È quindi sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l’intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di agire, ecc.) che ne costituiscono la cornice. Ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio e l’adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene.
Intorno a lui c'erano Enrico Letta e Maurizio Lupi, il primo un sedicente cristiano del Pd, il secondo un ciellino (cioè un non-cristiano: CL e il cristianesimo hanno da spartire tanto quanto i pinguini e il deserto del Sahara), impegnati col monsignore in un confronto tra Chiesa e Politica.
Fisichella è, per la cronaca, è il presidente del pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Magari un giorno lo vedremo cristonare nel tentativo di convertire qualche infedele...