mercoledì 20 aprile 2011

Salta il programma nucleare italiano e, con esso, saltano i referendum

Un emendamento al Senato dovrebbe finalmente cassare una volta per tutte il velleitario piano di ritorno al nucleare del governo italiano. Formalmente dovrebbe essere un rinvio a tempo indeterminato (al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche sulla bontà del nucleare si procede nel frattempo alla sua abrogazione”), in pratica è una marcia indietro radicale che dimostra ancora una volta l'inconsistenza politica di Berlusconi, incapace di tenere ferma la barra quando la sua linea è impopolare. Era l'invito del ministro Prestigiacomo: se non si cambia rotta su questo, si perdono le amministrative.
Naturalmente, a noi va benissimo così, perché è meglio avere un governo-macchietta che un paese invaso da centrali e scorie nucleari. Ma è credibile una formazione politica che prima fa di un tema il punto cruciale della propria agenda (in un campo così importante come quello degli approvvigionamenti energetici) per poi, alla vigilia di un referendum che potrà permettere di sondare l'opinione popolare, ritirarsi senza colpo ferire?
Ora il ministro Romani chiede a gran voce che il programmato referendum non si tenga più. Del resto, una volta cambiata la legge su cui si vota, non è più possibile (e sarebbe insensato) chiedere agli elettori un parere sulle disposizioni non più vigenti. Così il più visibile dei quattro referendum del 12-13 giugno viene spazzato via e tutti gli elettori che sarebbero andati alle urne principalmente per quello, magari, preferiranno una gita fuori porta al voto.
E' ormai da decenni che le campagne elettorali referendarie non si basano più sull'invito a votare in un certo modo, ma sull'invito a rimanere a casa: sommando l'astensione politica all'astensione degli indecisi e a quella abituale è molto facile non raggiungere il quorum richiesto per la consultazione. E non è certo quello sul nucleare il quesito più importante per il governo Berlusconi, visto che in gioco c'è ciò che resta della legge sul legittimo impedimento, ovvero quella che permette ai membri dell'esecutivo (Napoleone jr. in primis) di sfuggire alle udienze inventandosi ad arte impegni istituzionali.
Se rinunciano alla più odiata delle leggi, allora possono sperare di accaparrarsi anche la maggior parte della posta in gioco: il fallimento referendario sui quesiti dell'acqua pubblica e del legittimo impedimento. Risulterebbe un'ottima vittoria per il governo e un modo formidabile per presentare mediaticamente Berlusconi come il migliore interprete della volontà popolare (una sorta di nuovo Führerprinzip). Il fatto che, magari, in molti non avranno nemmeno saputo del voto del 12-13 giugno non avrà alcuna importanza sulla stampa asservita, tantomeno su quella "libera", che preferirà invece affrontare ad otto colonne argomenti come le ragioni politiche che hanno spinto la gente a disertare le urne, le conseguenze della sconfitta sulle opposizioni e sui movimenti promotori e, per concludere, si prodigheranno in un plauso generale al Capo per il modo in cui ha saputo gestire la faccenda.

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