sabato 10 dicembre 2011

Io sono mia. Anzi, io sono loro...

La cultura cambia e in Trentino sembra che cambi più velocemente che altrove. Non è passato molto tempo, infatti, da quando un giudice decise di togliere un bambino ad una madre troppo povera per poterlo mantenere adeguatamente: allora, ribaltando la concezione comune, si stabilì che il benessere materiale (non psico-fisico: non c'era timore di maltrattamenti) del figlio supera l'interesse all'unità della famiglia (che, ricordiamolo, è costituzionalmente garantito). Ora, invece, sempre a Trento, è avvenuta la trasformazione concettuale dell'aborto.
Solitamente l'aborto è presentato come una extrema ratio ed è in questo senso che personalmente lo accetto nell'ordinamento: in certe situazioni, dopo una molto attenta riflessione, si sacrifica totalmente un bene futuro (la vita del nascituro) per salvaguardare un bene presente di un altro soggetto (la madre).
Emma Bonino aveva affermato a Vieni Via con Me che l'aborto non sarebbe un diritto, ma niente altro che il rovescio della medaglia del diritto alla maternità consapevole. Cioè, in soldoni, la realizzazione di quel sacrosanto io sono mia gridato in altri tempi: se una donna è padrona di se stessa, allora deve poter decidere anche quando mettere al mondo un figlio e quando no.
Adesso si fa il salto di qualità e si nega alla madre l'essere propria, adducendo la ragione dell'età: sono i genitori a dover decidere per lei, a poter disporre del suo corpo per il suo bene. Il principio della libertà di scelta individuale, la bandiera della legalizzazione dell'aborto, viene negato disinvoltamente. La logica conclusione è che l'aborto smette di essere extrema ratio o anche solo eccezione e diviene una possibilità come un'altra in caso di gravidanza, attivabile (in alcuni casi particolari, come questo) anche da terzi.
Oggi si è chiesto alla madre, in modo martellante, invadente e agitando anche la minaccia legale, semplicemente di eliminare il proprio figlio non ancora nato con la motivazione del bene personale. Però, mutatis mutandis, cosa potrebbe accadere se in caso di legalizzazione dell'eutanasia passasse l'idea che i genitori possano chiedere insistentemente e in modo martellante al figlio di farsi uccidere per il proprio bene?
Sarebbe stato interessante sapere cosa avrebbe deciso il giudice se effettivamente la madre trentina fosse riuscita a resistere alle fortissime pressioni psicologiche esercitate dalla famiglia, ma purtroppo (o per fortuna) non si è giunti al giudizio.
Ma se il tribunale avesse dato ragione ai genitori, accogliendo la loro linea, che garanzie avremmo avuto in caso di futura introduzione di leggi sull'eutanasia? Applicando logiche simili si darebbe di fatto la licenza di uccidere agli esercenti patria potestà?

Nessun commento:

Posta un commento