sabato 3 dicembre 2011

Dibattito sul suicidio assistito

Sul Fatto Quotidiano è apparso questo scambio di opinioni tra Marco Travaglio e Paolo Flores D'Arcais in materia di suicidio assistito/omicidio del consenziente. Un confronto che credo sia migliore di molti altri perché ripulito del sottobosco di guerra per bande politica e privo, nella voce "contro", della solita retorica a cui gli autori clericali (il peggio del giornalismo italiano: Socci, Ferrara e compagnia) ci hanno abituato. Niente spaccatura destra-sinistra, laicisti-clericali e via dicendo, ma pura e semplice ontrapposizione di punti di vista.
Non è un dibattito che ha la pretesa di essere universale e capace di dare una risposta a tutti i singoli casi (sebbene spesso D'Arcais la butti in questo senso), ma si incentra su un caso specifico, ovvero quello di chi è spinto a farla finita non da una malattia allo stadio terminale, ma dalla propria condizione psicologica.

Aggiungo in appendice una riflessione in più, squisitamente giuridica.  Lo stato di incapacità naturale (cioè non ufficialmente riconosciuta) può anche essere dovuto a situazioni depressive acute e in questa condizione la legge stabilisce che, se una persona stipula un contratto, poi, riacquistata la normale lucidità, ha il diritto di farlo dichiarare nullo. Come si può riconoscere ad un soggetto il diritto di disporre in modo irreversibile della propria vita se non può nemmeno farlo dei propri beni?

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