sabato 30 aprile 2011

In nome del Papi Re

E' partita l'ultima crociata, la sfida di Berlusconi per recuperare i voti dell'elettorato cattolico e, magari, riuscire ad agganciarsi alla grande giostra mediatica che sarà la beatificazione di Giovanni Paolo II.
L'offensiva è stata scatenata con ripetuti attacchi alla scuola pubblica, promotrice di un progetto educativo contrario ai valori della famiglia, a cui si è aggiunto l'elogio della scuola privata (specialmente se religiosa) corredato da relativo invito ai genitori ad iscrivere lì i propri figli.
Ora il campione dei valori cristiani torna sui giornali, tra una notizia di Bunga Bunga e l'altra, per commemorare il pontefice scomparso ed affermare il suo presunto testamento spirituale: tutte le leggi, da oggi in poi, non potranno più essere in contrasto con i valori cristiani.
Le leggi, appunto. Invece chi come lui pare che le leggi le abbia infrante (la prostituzione minorile è reato) contravvenendo ai medesimi valori, non dovrà avere troppi problemi, magari anche grazie alla riforma della giustizia, al processo breve e a tutte le altre trovate ad personam del governo. Gli unici a doversi uniformare coattivamente ai valori cristiani, così come interpretati da quello specchio di morigeratezza che è mr. Bunga Bunga, saranno i cittadini onesti, i quali, magari, non decideranno di violare la legge solo perché certi della futura impunità.
Nel frattempo in Parlamento si ritorna a discutere della legge sul (sabotaggio del) testamento biologico. Qualcuno ricorderà che quel testo, anni fa, sarebbe dovuto essere un decreto legge per impedire l'esecuzione della sentenza sul caso di Eluana Englaro e poi, dopo la bocciatura di Napolitano, una legge da approvare a tempo di record alla vigilia della morte della donna. Alla fine, passata l'emergenza, il testo è rimasto a marcire in un cassetto finché ora, tra un'escort e l'altra, ci si è decisi a rispolverarlo per concedere un contentino gratuito alla CEI.
Così, mentre il clero tollera l'harem del Re e gli intellettuali cattolici (?) come Messori si prodigano in inviti a non giudicare (chi odia i peccati odia gli uomini, osava proclamare lo scrittore a L'Infedele, dimenticandosi che un conto è il peccato e un altro il peccatore), la laicità dello Stato lascia sempre più spazio ad un confessionalismo ipocrita da Ancien Régime, in cui al sovrano tutto è permesso, mentre al popolo, per legge, tutto è vietato.

mercoledì 20 aprile 2011

Salta il programma nucleare italiano e, con esso, saltano i referendum

Un emendamento al Senato dovrebbe finalmente cassare una volta per tutte il velleitario piano di ritorno al nucleare del governo italiano. Formalmente dovrebbe essere un rinvio a tempo indeterminato (al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche sulla bontà del nucleare si procede nel frattempo alla sua abrogazione”), in pratica è una marcia indietro radicale che dimostra ancora una volta l'inconsistenza politica di Berlusconi, incapace di tenere ferma la barra quando la sua linea è impopolare. Era l'invito del ministro Prestigiacomo: se non si cambia rotta su questo, si perdono le amministrative.
Naturalmente, a noi va benissimo così, perché è meglio avere un governo-macchietta che un paese invaso da centrali e scorie nucleari. Ma è credibile una formazione politica che prima fa di un tema il punto cruciale della propria agenda (in un campo così importante come quello degli approvvigionamenti energetici) per poi, alla vigilia di un referendum che potrà permettere di sondare l'opinione popolare, ritirarsi senza colpo ferire?
Ora il ministro Romani chiede a gran voce che il programmato referendum non si tenga più. Del resto, una volta cambiata la legge su cui si vota, non è più possibile (e sarebbe insensato) chiedere agli elettori un parere sulle disposizioni non più vigenti. Così il più visibile dei quattro referendum del 12-13 giugno viene spazzato via e tutti gli elettori che sarebbero andati alle urne principalmente per quello, magari, preferiranno una gita fuori porta al voto.
E' ormai da decenni che le campagne elettorali referendarie non si basano più sull'invito a votare in un certo modo, ma sull'invito a rimanere a casa: sommando l'astensione politica all'astensione degli indecisi e a quella abituale è molto facile non raggiungere il quorum richiesto per la consultazione. E non è certo quello sul nucleare il quesito più importante per il governo Berlusconi, visto che in gioco c'è ciò che resta della legge sul legittimo impedimento, ovvero quella che permette ai membri dell'esecutivo (Napoleone jr. in primis) di sfuggire alle udienze inventandosi ad arte impegni istituzionali.
Se rinunciano alla più odiata delle leggi, allora possono sperare di accaparrarsi anche la maggior parte della posta in gioco: il fallimento referendario sui quesiti dell'acqua pubblica e del legittimo impedimento. Risulterebbe un'ottima vittoria per il governo e un modo formidabile per presentare mediaticamente Berlusconi come il migliore interprete della volontà popolare (una sorta di nuovo Führerprinzip). Il fatto che, magari, in molti non avranno nemmeno saputo del voto del 12-13 giugno non avrà alcuna importanza sulla stampa asservita, tantomeno su quella "libera", che preferirà invece affrontare ad otto colonne argomenti come le ragioni politiche che hanno spinto la gente a disertare le urne, le conseguenze della sconfitta sulle opposizioni e sui movimenti promotori e, per concludere, si prodigheranno in un plauso generale al Capo per il modo in cui ha saputo gestire la faccenda.

sabato 16 aprile 2011

Battista finalmente all'attacco, ma di Vittorio Arrigoni

In un'epoca in cui i giornalisti non fanno più i giornalisti, ma o inventano notizie (guardare il post qui sotto su Barbara Albertoni) o si crogiolano nell'autoreferenzialità del dibattito politico italiano, tocca a blogger e non professionisti far supplenza, divulgando agli altri ciò che accade nel mondo.
Quando ho letto la notizia della morte di Vittorio Arrigoni, uno di questi supplenti del giornalismo inesistente, mi ero ripromesso di non occuparmene su questo blog: in tanti avrebbero scritto e tutti avrebbero commentato, inclusa molta gente che il sito Guerrilla radio non lo ha mai nemmeno sentito nominare. Non avrei certo contribuito anch'io a questo indegno spettacolo, dal momento che avevo letto nel tempo solo pochissimi articoli dello scomparso, senza regolarità e spesso anche distrattamente, come spesso si è soliti leggere le notizie che appaiono sui quotidiani e sul web...
Pierluigi Battista, invece, ha preferito non avere la stessa discrezione e, abbandonato il ruolo di difensore d'ufficio di Berlusconi, si è subito lanciato in una delle sue operazioni verità. Dopo qualche melensa frase di compassione, ha espresso la sua opinione di Arrigoni, persona colpevole di un odio assoluto nei confronti dello Stato di Israele, tanto radicato che definire la sua attività "demonizzare" è più che una metafora. Un uomo, continua Battista, privo di pietà, perché il fanatismo ideologico ispira ineluttabilmente parole disumane. Tutto questo lo dice in primo luogo per il rispetto dovuto alla memoria di Arrigoni, perché gli si sta dando un ritratto angelicato, falso, edulcorato: lui, infatti, era il combattente di una guerra sbagliata.
Se avesse voluto, Battista avrebbe potuto interloquire con lui nel merito prima, quando Arrigoni era in vita: avrebbe dato spazio alla sua voce e contestualmente gli avrebbe mosso le proprie obiezioni. Ma Battista non ha fatto così, non ha affrontato nel merito nessuno dei problemi sollevati, ma, vigliaccamente, li ha liquidati tutti come demonizzazione e ha affondato su un morto.
Ora, perfino una pagina di Facebook creata ad hoc in risposta alle tesi di Arrigoni ha cessato l'attività per rispetto nei confronti di Arrigoni, dato che non ha senso rivolgere critiche ad una persona che ormai non ha più voce. Battista, invece, che ha totalmente ignorato il lavoro del blogger negli ultimi anni e non si è mai messo a criticarlo nel merito in nessuna occasione, coglie la palla al balzo per la sua nuova invettiva contro i nemici di Israele. Questa volta attaccandone uno che, morto, non potrà difendersi.

venerdì 15 aprile 2011

Il caso della diffamazione di Barbara Albertoni

In un liceo linguistico milanese lavora un'insegnante di storia e filosofia, tale Barbara Albertoni, che si è ritrovata protagonista delle cronache nazionali perché colpevole di tenere un blog in cui scrive ciò che pensa. Blog - leggo su Repubblica, il quotidiano che ha sollevato il caso - pieno di attacchi ripetuti ad ebrei e ad Israele, vignette, foto della bandiera israeliana con la svastica e in cui Franco Frattini viene definito «servo» di Israele. Uno scandalo, secondo il cronista Marco Pasqua, magari ignaro di scrivere su un quotidiano, La Repubblica, mai stato tenero nei confronti del governo di cui fa parte il povero Frattini...
Inoltre, si continua, nel blog sarebbero presenti articoli dedicati alla difesa incondizionata dei negazionisti più noti. Da Faurisson ad Irving, fino al ricercatore della Sapienza, Antonio Caracciolo, che sul web diffondeva tesi negazioniste. E subito ci si prodiga in estratti (si presume salienti) da questi terribili articoli negazionisti:
Per quanto riguarda la trattazione scientifica dell’Olocausto, gente come Faurisson ha preso le botte e ha fatto la galera. La scienza richiederebbe una ricostruzione scientifica delle argomentazioni contro, non le botte e la galera
[Faurisson è] perseguitato da oltre 25 anni da leggi che negano il diritto alla ricerca ed alla libertà d’espressione.
Prima che ci si metta a ridere per il furore antisemita, gli estratti non sono riuscito a trovali in nessun articolo, ma in un commento di risposta ad una discussione, scritto poi nel lontano dicembre del 2009: Repubblica dà le notizie a scoppio ritardato?
Ma è proprio quello riassunto dal sempre meno credibile giornalista il pensiero dell'insegnante? Per correttezza, leggiamo insieme il seguito dell'intervento della Albertoni:
Per quanto riguarda la trattazione scientifica dell’olocausto, è vero che gente come Faurisson ha preso le botte e ha fatto la galera. La scienza richiederebbe una ricorstruzione scientifica delle argomentazioni “contro”, non le botte e la galera. Non, almeno, in una società democratica, quindi Caracciolo quando parla di “verità ufficiali non soggette a verifica storica e contraddittorio” dice cosa vera.
Sulle camere a gas è vero, esprime il dubbio. Che è diventato razzista e criminale esprimere dei dubbi?
Che altro dice? che l’olocausto è un mito “”per colpevolizzare moralmente i popoli vinti” . Ha ragione. Lo dice anche Pappe. Lo dice Finkelstein e anche l’articolo di Ash che ti ho postato. Che dice di cosi scandaloso da essere bollato da lebbroso?
Per finire sul negazionismo: anche a me darebbe fastidio che qualcuno negasse El Alamein. Capisco anche chi ha visto le vignette di Ramone e pensa che sarebbe opportuno spaccrgli la faccia, ma non è il caso di Caracciolo e in ogni caso non butterei in galera una persona per le sue opinioni e non metterei neppure in discussione il suo operato di professore per una opinione non perfettamente allineata.
Almeno, volendo essere democratici.
Inoltre, scendendo poco più sotto, si può trovare una precisazione che magari al cronista è sfuggita:
Qui si vuole accendere un rogo per un professore che si occupa di tutt’altro nella sua attività accademica per 4 frasi prese dal suo blog privato, scritto oltretutto nel quadro di una polemica dai toni durissimi con informazionecorretta. C’è poco da discutere: il caso Caracciolo è una “caccia alle streghe” che spero si stoppi perchè altrimenti significa che la democrazia in Italia è solo un ricordo lontano.
Fermo restando la condivisione mia sugli orrori del nazismo che nessuno ha mai contestato da queste parti.
Riassumiamo. Barbara Albertoni non ha espresso tesi negazioniste, ma da un lato ha osato affermare che in democrazia debba esistere la libertà in astratto di esprimerle e, dall'alto, ha proposto di discutere queste idee nel merito come si fa solitamente in storiografia. Basta poi una rapida occhiata al blog per comprendere che non si è proprio nell'antro di un'affiliata ad un movimento neonazista o razzista, ma, al contrario, nel semplice blog di un'antimperialista filopalestinese.
Basta quindi qualche vignetta contro Israele per attivare la macchina nazionale della diffamazione, in attesa che Fiamma Nierenstein colga la palla al balzo per mettere in atto il suo progetto di censura sulla rete? E come mai a mettere in moto il fango, questa volta, non è Libero, ma un quotidiano come Repubblica che non è mai stato definibile come filoisraeliano?
Ma i problemi per la docente non sono finiti, perché Repubblica riporta trionfalmente che a Roma ci si è subito attivati per mandare gli ispettori alla sua scuola. Lo stile dell'articolo è il più becero: si getta in pasto alla pubblica attenzione la foto di una privata cittadina e si circonda la difesa dell'accusata (presente nel titolo, ma ridotta furbescamente ad un delirante: "tutta colpa della lobby sionista") con la notizia del provvedimento e le richieste avanzate da parte di tutte le forze politiche alla Gelmini di adottare misure disciplinari ai danni della professoressa. Come se avessero qualcosa a che fare le opinioni private espresse da una persona con la sua attività lavorativa.
La blogger, quindi, si è ritrovata schiacciata in un meccanismo infernale che sta finendo per stritolarla. Internet, apparentemente, le ha dato voce come ha dato voce a tutti, ma poi sono i soliti canali (e chi li controlla) a dare le notizie e così a disegnare la realtà come viene da tutti percepita: un piccolo blog non è assolutamente in grado nè di pretendere rettifiche dagli organi d'informazione, nè di far sentire a tutti la propria voce. Così la notizia falsa si diffonde e lo fa meglio se, preventivamente, si è riusciti a far passare la persona incriminata come complottista o delirante antiscientifica, come nel caso Albertoni.
Rete, dunque, torna ad essere sinonimo di trappola: trappola per chi scrive, perché rischia lo sputtanamento, e trappola per chi naviga, perché, inconsciamente, finisce per formarsi idee errate seguendo complicati passaparola di cui non conosce mai la fonte. A tutto vantaggio, oggi, di chi vuole la censura su internet, troppo anarchica, e di chi propone la censura sulla scuola pubblica, accusata di essere di sinistra.
E' emergenza democratica, a tutti gli effetti: è inutile la libertà d'espressione se poi viene punito con le calunnie chiunque ne voglia usufruire. Si troveranno abbastanza voci disposte a levarsi per questa piccola, ma grande causa?

giovedì 14 aprile 2011

Il mondo perfetto?

Questo articolo fa pensare molto. Non lo segnalo perché lo rigetti, nè perché lo condivida, ma semplicemente perché a volte è bene leggere opinioni un po' paradossali per farsi un'idea e ridiscutere delle proprie certezze.

mercoledì 13 aprile 2011

Il referendum nucleare italiano e la nuova Chernobyl

L'agenzia atomica giapponese ha provvisoriamente alzato il livello dell'incidente di Fukushima al settimo grado della scala, ovvero al massimo possibile. Nella storia, solo il disastro di Chernobyl era stato dichiarato di una tale gravità, anche se l'autorità garantisce che la fuoriuscita di materiale radioattivo avrebbe una consistenza pari appena ad un decimo di quella rilasciata nel caso ucraino.
Il guasto è lungi dall'essere riparato e il Giappone continuerà a temere la centrale di Fukushima per un tempo che ancora non è stato stimato, mentre tutti coloro (Chicco Testa in prima linea) che inizialmente brindavano al "non è successo nulla" sono costretti umilmente a tacere.
Intanto c'è chi osserva lo strano parallelismo tra i due referendum italiani sull'energia atomica, quello del 1987 e quello del 12 giugno: tutti e due tenutisi a poca distanza dai più gravi incidenti nucleari della storia, questo addirittura a pochi mesi dallo scoppio di una crisi che potrebbe perfino protrarsi fino alla vigilia del voto e che comunque sarà protagonista del dibattito pubblico prereferendario.
Il fronte del , dunque, ha nuovamente questa formidabile arma, la tragica esperienza recente. Il fronte del no, invece, stretto attorno al governo e alla lobby nuclearista, è molto più tentennante: al voto preferisce l'astensione, la negazione dell'election day e il disincentivo all'espressione popolare perché ci sono questioni sulle quali la gente non è in grado di esprimere un parere consapevole. La sua posizione politica, del resto, è debolissima dopo la moratoria di un anno approvata di recente e alla luce della sostanziale mai attivazione del programma nucleare italiano.
Il governo, però, sull'atomo ha puntato molto e una sconfitta in materia equivarrebbe ad una sostanziale sfiducia espressa dall'elettorato. Il boicottaggio del referendum, invece, sommando all'astensione politica (i contrari), quella fisiologica (gli apolitici) e quella degli indecisi (coloro che non hanno un'idea sul tema), gonfierebbe ad arte le cifre del consenso governativo e permetterebbe al nostro piccolo Napoleone nazionale di rimanere in sella un altro po' (e automaticamente evitare i processi penali a suo carico).

venerdì 8 aprile 2011

De Mattei e il mistero delle sue competenze

Circola un nuovo video su De Mattei, il vicepresidente del CNR già noto per la sua lettura provvidenziale della tragedia giapponese e per le sue precedenti prese di posizione contro l'evoluzionismo (e contro i cosiddetti teoevoluzionisti, cioè i cattolici non creazionisti). Adesso come allora si parla di dichiarazioni che De Mattei ha rilasciato in voce a Radio Maria, l'emmittente italiana della Chiesa.
Questa volta De Mattei ci fa una particolare lezione di storia sulla caduta dell'Impero Romano, traendoispirazione dagli scritti dell'autore tardo-antico Salviano di Marsiglia. Il testo citato riguarda la depravazione della Cartagine di allora, dove esercitavano il meretricio molti travestiti e dove molti uomini dimostravano una certa predilezione per la prostituzione maschile, più ancora che nelle altre due sin city del tempo, Alessandria e Antiochia. Lo scandalo, alla fine, avrebbe contaminato il nome di tutta la Romanità e sarebbe stato punito da Dio con la calata dei barbari e la caduta dell'Impero.
Da tutto ciò, continua il vicepresidente del CNR, si potrebbe cogliere un facile parallelo con l'oggi, visti il riconoscimento dei diritti dei gay e la presunta trasformazione del comportamento condannato da Salviano in una pratica accettata e dilagante. In conclusione, probabilmente anche noi dobbiamo attenderci un castigo in tempi brevi.
De Mattei insegna (non si sa come) Storia del Cristianesimo all'Università Europea di Roma (una piccola università privata) e la cattedra farebbe di lui uno storico. Ovviamente tutti i suoi colleghi sono insorti a queste affermazioni: l'Impero Romano non è caduto a causa dei gay e i barbari non lo hanno invaso a causa della fama dei travestiti di Cartagine! Obiezioni assolutamente banali e condivisibili, ma che sono assolutamente inutili per confutare le tesi di De Mattei.
De Mattei, infatti, nè questa volta nè quando parlava del disastro giapponese si riferiva alle cause fisiche degli eventi, poiché il discorso verteva unicamente sulle cosiddette cause spirituali, ovvero sulla motivazione trascendente che spingerebbe Dio, comunque padrone dell'Universo, a permettere che accadano le sciagure. Anche De Mattei, dunque, riconosce (o dovrebbe riconoscere) le cause della caduta dell'Impero studiate da tutti gli storici, ma il suo punto di vista è completamente diverso. Molto più interessante, invece, è vedere quali sono le premesse del ragionamento, ovvero quanto è bravo De Mattei ad approcciarsi alle fonti antiche.
Intanto è lampante la differenza tra il suo discorso e quello di Salviano: l'autore antico descriveva pratiche di prostituzione, ovvero l'attività dei cosiddetti peripatetici che i Romani avevano ereditato dai Greci, mentre non fa minimamente riferimento alle relazioni affettive che legano persone dello stesso sesso (cioè l'omosessualità). E' evidente la differenza tra i ragazzi che all'epoca venivano conciati da donne per vendere prestazioni sessuali e i semplici omosessuali che invece di essere attratti dalle persone dal sesso opposto sono attratti da quelle dello stesso, come è evidente la parallela distinzione tra i rapporti eterosessuali con una prostituta e quelli all'interno del matrimonio.
De Mattei, inoltre, fa molta confusione linguistica buttando nello stesso calderone termini come effeminato, omosessuale, invertito e travestito. Facendo un po' d'ordine, è molto difficile che Salviano da Marsiglia facesse riferimento agli invertiti (cioè ai transessuali), come non credo che ci tenesse a sapere se i clienti dei peripatetici fossero attratti dagli uomini (condizione per essere omosessuali) o se semplicemente fossero spinti dal desiderio di piaceri proibiti. Sicuramente, invece, l'autore si riferiva alla pratica di travestire ragazzi da donne, particolare che farebbe addirittura dubitare dell'omosessualità dei clienti (un gay, per inciso, è attratto dagli uomini in quanto tali, non in quanto camuffati da donne!).
Compreso che non c'è assolutamente nulla in comune tra il riconoscimento dei diritti degli omosessuali e la dissolutezza descritta da Salviano di Marsiglia, resta da capire a che titolo uno come De Mattei, che non conosce nemmeno la materia che insegna, possa essere vicepresidente del CNR. Cosa ha fatto occupare ad una persona priva di qualunque competenza un posto di vertice nell'istituto che si occupa della nostra già di per sè provata e bistrattata ricerca scientifica?

domenica 3 aprile 2011

Twitter a San Francisco e la redistribuzione della ricchezza

Il capitalismo, si dice, è il migliore sistema economico che ci sia perché permette sia la massima produzione che la successiva distribuzione della ricchezza. Il concetto è semplice: l'imprenditore fa l'investimento e accumula ricchezza, con la quale effettua i propri consumi e paga i salari, che a loro volta servono ad incrementare le vendite e a coprire la produzione. In più, tutti i soggetti pagano le tasse e con ciò contribuiscono al benessere della collettività, visto che lo Stato garantisce la sicurezza e i servizi essenziali.
Si conclude, dunque, che anche i sostenitori dello Stato assistenziale debbano essere dei ferventi liberisti, pena il non funzionamento del sistema e la riduzione delle entrate fiscali necessarie per l'attività pubblica: l'erario sta bene quando stanno bene i conti in banca dei privati. O, almeno, dei privati imprenditori.
Verifichiamo all'atto pratico la validità di questi assunti.
Il comune di San Francisco, in California, tassa le imprese sulla base degli stipendi che pagano ai dipendenti e non, come normalmente accade, in proporzione al loro reddito. Il che risulta molto conveniente nel comparto dell'alta tecnologia, che tende ad impiegare uno scarso numero di lavoratori e che quindi trova nella metropoli californiana l'ambiente adatto per svilupparsi, anche portando alla nascita di giganti come Twitter.
Il caso riguarda appunto la società di Twitter che, in continua crescita, ha deciso di espandere la propria attività assumendo nuovi dipendenti. La crescita di un'impresa e la sua espansione, secondo lo schema descritto all'inizio, dovrebbe essere una vera manna per le casse comunali: aumentano le entrate fiscali, aumenta l'occupazione e, per questi motivi, il benessere degli azionisti si trasforma in benessere di tutta la collettività. Ma così rischia di non essere.
Twitter, per evitare i nuovi tributi che avrebbe dovuto versare per via delle previste assunzioni, decide di fondare una filiale fuori San Francisco, in un comune molto meno esoso della Silicon Valley. La notizia fa il giro della città ed anche altre imprese cominciano a prendere in considerazione il trasferimento, mentre l'amministrazione municipale comincia a temere la fuga dal proprio territorio di tutte le attività più redditizie (e, di conseguenza, il gettito fiscale che da esse deriva).
Si cerca allora di correre ai ripari con un accordo: la città di San Francisco esonererà Twitter dal pagamento delle nuove imposte dovute, mentre Twitter in contropartita non si trasferirà nella Silicon Valley, ma sposterà la propria sede in un quartiere cittadino in crisi per contribuire a revitalizzarlo. Tradotto nel linguaggio della teoria esposta all'inizio: l'arricchimento dei privati non porterà all'arricchimento dell'erario.
Il compromesso sembra aver soddisfatto Twitter, ma ha avuto l'effetto di suscitare molto clamore tra l'opinione pubblica progressista, scandalizzata dal regalo che l'amministrazione comunale sta facendo ad una delle più floride imprese del momento. Si dice che l'interesse particolare abbia ancora una volta travolto l'interesse generale e che, invece del bene comune, la città abbia deciso di fare il bene di un unico soggetto, per di più tutto fuorché indigente.
In un mondo in cui il radicamento dell'economia sul territorio si è annullato (siamo davanti ad un tipico esempio di delocalizzazione), però, le alternative che si presentavano ai politici di San Francisco erano ben poche: o ricercare la giustizia sociale (perdendo Twitter e il suo indotto) o convincere l'impresa a restare, ma a costo di favorire ancora una volta il più ricco a scapito di tutti.

Resta da capire se il dogma enunciato all'inizio abbia ancora validità o meno: è davvero un sistema redistributivo della ricchezza quello che, dopo aver foraggiato un'impresa convinto del benessere che essa avrebbe portato alla collettività, è costretto ad erogarle altre concessioni quando questa è ormai florida e dovrebbe finalmente contribuire al benessere di tutti?