venerdì 25 giugno 2010

In difesa del relativismo

La fine del Novecento sarebbe stata, si è detto in passato, la fine delle ideologie: tutti i miti sarebbero crollati, tutte le grandi idee sarebbero tramontate, le religioni sarebbero morte sotto la spinta della secolarizzazione, ogni progetto di visione organica dell'uomo sarebbe venuto meno, per il trionfo del relativismo e dell'economia di mercato. Il terzo millennio, si diceva, avrebbe avuto come metro il dollaro (o l'euro, per gli europeisti).
Questo almeno si pensava nel Vecchio Continente, dove i fenomeni sopra descritti la facevano da padrone e gli intellettuali sembravano essersi pacificamente arresi con più o meno favore. Ma ora, 21 anni dopo la caduta del muro di Berlino e l'inizio della "fine", la storia sembra essere rinata e delle forze di matrice radicalmente opposta alle prima stanno guadagnando terreno: nuovi gruppi religiosi di matrice americana in occidente stanno facendo proseliti, la Chiesa cattolica sta cercando di conservare e riconquistare spazi in pericolo o precedentemente perduti, l'estremismo islamico si sta infiltrando nelle comunità musulmane europee pessimamente integrate nella 'pax americana' dei valori del mercato. E poi sette di ogni tipo, dagli orientaleggianti ai neopagani, da gruppi amerindi a sedicenti neostregoni, a scientology, eccetera.
Così il mondo occidentale secolarizzato, relativizzato e monopolizzato dalla religione unica del mercato e della tecnica è un vecchio ricordo, passando dal regno delle previsioni realistiche a quello delle chimere (per i sostenitori) e a quello degli incubi (per i detrattori). Il tutto, ovviamente, senza nessun tentativo preliminare di comprendere lo scenario ormai sfumato e di separare - o almeno provare a farlo - preliminarmente il grano dall'oglio.
Essenzialmente il relativismo, infatti, è una cosa che piace a chi sostiene una posizione minoritaria e ha la necessità di ottenere il riconoscimento del proprio diritto di esistere, mentre è radicalmente avversato da coloro che detengono la posizione dominante in una società. Questa fondamentalmente è la ragione per cui Benedetto XVI è stato il primo nemico del relativismo e gli anticlericali sono stati i suoi primi difensori e alfieri: non è una questione di contenuto del pensiero, ma esclusivamente una questione di convenienza del gruppo. Se Bendetto XVI si ritrovasse all'improvviso in ridicola minoranza, allora ci sarebbe da scommettere che sarebbe in prima fila a rivendicare il diritto di tutte le idee a convivere con pari dignità.
E infatti è il relativismo l'unica forma di convivenza possibile tra le opinioni divergenti della nostra società, perché esso, declinandosi nell'idea che ciò che è fondamentale sono solo la dignità e la libertà dell'uomo, la possibilità di autorealizzazione e la garanzia di poter formare il proprio pensiero e di poterlo poi manifestare liberamente, senza dover poi temere la coercizione esterna, allora porterebbe alla superiorità della persona sulle ideologie.
Solo quando si riconoscerà che il pensiero di ciascuno di noi è influenzato dalle esperienze vissute, che la nostra esperienza pregressa ed il nostro modo di essere hanno un'influenza determinante sulla percezione e che quindi la medesima realtà può legittimamente apparire in due modi diversissimi tra loro a due persone differenti, allora e solo allora queste due persone differenti capiranno che i loro punti di vista devono sì confrontarsi, ma prima di tutto devono riconoscersi vicendevolmente legittimi.
Il relativismo, perciò, si configura non più come una forma di nichilismo, una resa al mercato ed al confronto materialistico più brutale tra gli uomini, ma al contrario diventa la vetta più alta dell'umanesimo, perché colloca ogni religione, ideologia, filosofia e punto di vista al di sotto della persona umana, superiore in dignità a qualsiasi altra cosa.

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