domenica 6 febbraio 2011

Marchionne, lo Zio d'America (precisamente di Detroit)

La vittoria del al referendum di Mirafiori era stata una festa per il governo, gli industriali, CISL e UIL, Chiamparino e tutto il Pd che da tempo ha ormai deciso che sinistra è un vecchio concetto che non tira più, che oggi si deve stare dalla parte dei manager, non di quella dei lavoratori sempre più attratti dalla Lega.
Non si era fatto in tempo a scolare tutto lo spumante e a presentare come un grande traguardo l'imitazione del modello Fiat anche nelle relazioni sindacali nella Pubblica Amministrazione (dove CISL e UIL hanno nuovamente firmato un accordo senza la CGIL) che Marchionne ha gelato tutti annunciando che, insaccato il placet del sindacato compiacente (o connivente?), probabilmente procederà con la fusione con Chrysler e quindi farà armi e bagagli con tutto il quartier generale (o, come si dice ora all'americana, headquarter) della nuova società e se la svignerà a Detroit. La Fabbrica Italiana Automobili Torino perderà quindi la T e forse pure la I dell'acronimo...
Il governo, alle prese con i problemi a luci rosse del Capo, se ne è inizialmente fregato, come se ne è sempre fregato di ogni cosa che agli occhi dei ministri potesse apparire anche lontanamente seria. Più agitato è, invece, l'headquarter del Pd che, dopo aver appoggiato Marchionne senza se e senza ma, adesso deve spiegare ai propri elettori (in primis a quelli torinesi) che il loro Uomo della Provvidenza industriale era in realtà l'ennesimo cialtrone.
Fassino, futuro candidato sindaco del Pd a Torino, balbetta una richiesta di spiegazioni all'AD dell'impresa (ancora per poco) torinese, mentre il sindaco Chiamparino spiega, credendo di rassicurare, che la sede italiana non sarà proprio cancellata, ma diventerà una delle quattro sedi locali del gruppo, quella responsabile per il mercato europeo. Insomma, il Lingotto sarà un ufficio di terz'ordine, mentre il cuore sarà in Michigan.
Solo alla fine Silvio, forse ricordandosi di essere anche il Presidente del Consiglio, ha dato mandato al ministro per lo sviluppo economico Sacconi di fissare un incontro con Marchionne per sondare le sue intenzioni. L'amministratore delegato - dice Sacconi - avrebbe smentito le proprie parole (abbiamo scoperto un altro maestro del sono stato frainteso?) assicurando che la Fiat non sposterà mai all'estero il proprio centro direzionale e progettuale.
Anche il Corriere, fin dal primo momento, ha pensato bene di provare a ridimensionare l'uscita dell'Ad. Sul quotidiano Rcs, gruppo con partecipazioni della Fiat, possiamo leggere che "c'è un po' di confusione sulla traduzione, lui parla di headquarter ed è difficile dire se intenda il quartier generale «base» o più semplicemente un «gemello» del Lingotto". Non si capisce bene se la giornalista non abbia ben chiaro il concetto di fusione di società oppure quello di quartier generale (hadquarter), ma sembra chiaro a tutti che il quartier generale di una società (ciò che saranno Fiat e Chrysler unite) dovrebbe essere il suo centro direttivo e progettuale, non una delle sue tante sedi.
Combinando le recenti parole di Marchionne con ciò che affermò a Che Tempo Che Fa, però, non si può che dedurre che, per la Fiat che verrà, l'Italia, il paese che ha cresicuto e coccolato quell'impresa a colpi di finanziamenti pubblici, non sarà altro che un pezzo tra i tanti della filiera produttiva, e nemmeno il più importante.

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