martedì 8 marzo 2011

Riprendono i processi militari a Guantanamo

Il presidente degli Stati Uniti e premio Nobel per la pace Obama ha autorizzato la ripresa dei processi militari contro i detenuti del carcere speciale di Guantanamo. Così, dalla stagione della campagna elettorale quando promise un colpo di spugna sulle misure più irrispettose dei diritti umani dell'era Bush, ora è tempo di un'inversione di marcia radicale e del ritorno alla durezza della prima legislazione antiterrorismo.
Obama aveva ricevuto il Nobel perché appariva a tutti come una rivoluzione americana. A differenza del predecessore, era amatissimo dagli europei, non era il paladino dei WASP (white, anglo-saxon protestant, il gruppo americano tradizionale), non sembrava un crociato armato contro l'Islam e prometteva una politica sul terrorismo più attenta al rispetto dei diritti civili e delle convenzioni internazionali (fine dei rapimenti clandestini, fine dell'uso della tortura, chiusura del carcere di Guantanamo). Sotto tutti i punti di vista, il suo primo mandato non ha soddisfatto alcuna delle aspettative.
Su Guantanamo inizialmente si cercò di rispettare la promessa chiedendo ai paesi alleati di ospitare i detenuti della prigione militare, che sarebbe stata chiusa. Nessuno, però, si è voluto sobbarcare il peso di prigionieri tanto scomodi e tratti in arresto con procedure ai limiti (se non molto oltre) della legalità, così la patata bollente è rimasta nelle mani di Obama.
Era poi stata indetta una moratoria dei processi militari a carico dei 172 detenuti del carcere speciale, che però adesso, dopo due anni, la Casa Bianca ha sospeso. Le garanzie processuali degli accusati, quindi, non saranno rispettate, come non verrà garantita in nessun modo la legalità della detenzione, ma ci sarà solo il diritto alla motivazione della sua opportunità.
C'è da chiedersi adesso da questo punto di vista cosa sia cambiato di fatto dall'era Bush. La fine delle guerre di espansione della democrazia, del resto, era ormai prevedibile e fisiologica visto lo stato del bilancio federale americano. Il Nobel per la Pace, dunque, è stato davvero una scelta saggia da parte dell'accademia nazionale norvegese?

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