Da profano, non posso che commentare il dibattito di politica economica di questi tempi limitandomi a rimettere insieme qualche tassello senza cercare di formulare un quadro completo.
Per prima cosa, è evidente che il governo, in mancanza di idee migliori, continua ad essere affetto dalla sindrome di Brunetta (il ministro definito un cretino da Tremonti): colpire gli statali per far scontare loro le colpe altrui. In nome della responsabilizzazione, è stata inserita nel pacchetto l'eliminazione delle tredicesime di tutti i dipendenti pubblici che lavorano nelle amministrazioni che non riusciranno a far quadrare i conti. In parole povere, saranno i lavoratori a pagare il fio per l'incapacità di chi li dirige o per la follia di un ministero che ha messo in programma tagli troppo radicali per essere completamente realizzati.
Naturalmente sarà un disastro per i meno abbienti, sui quali la perdita di una mensilità avrà un peso considerevole, mentre i veri responsabili del mancato raggiungimento degli obiettivi, cioè coloro che stanno a capo delle amministrazioni e dunque percepiscono lauti redditi, probabilmente si accorgeranno appena del castigo di Tremonti. E che dire dei membri del governo, che hanno davvero in mano le sorti della macchina statale? Per loro non ci sarà nessuna scure in caso di errore, perché - dicono - a quei livelli la responsabilità è esclusivamente politica.
Il secondo tema caldo è la controproposta del Pd di tassare per quindici miliardi i capitali scudati, in modo da alleviare, almeno per un anno, l'impatto della correzione dei conti. L'idea, quando tempo fa fu presentata da Di Pietro, provocò una levata di scudi da parte del Pdl e del Pd meno L (che però adesso sembra averci ripensato), perché avrebbe dato l'immagine di uno Stato che non sa stare ai patti, avrebbe neutralizzato ogni possibilità di condono futuro (che danno!) e sarebbe stata incostituzionale (perché retroattiva?). Oggi, invece, che non c'è nemmeno più certezza che quei capitali esistano ancora (potrebbero essere stati dilapidati o nuovamente sommersi, oppure essere appartenuti ad imprese ormai fallite), è il Pd a ritirarla fuori, da bravo partito senza idee, non accorgendosi forse che è proprio adesso che i dubbi di costituzionalità sono più forti.
Sul Corriere della Sera, invece, si propone una imposizione patrimoniale una tantum da 200 miliardi di euro, in grado di abbattere il debito pubblico di più di una ventina di punti. Il tributo colpirebbe il 20% degli italiani, non riguarderebbe abitazioni e titoli di Stato e prevederebbe una possibile restituzione (almeno parziale) futura, quando ormai il peggio sarà alle spalle. In un colpo, infatti, avrebbe lo stesso effetto di un decennio di manovre lacrime e sangue.
Una mossa simile metterebbe al riparo l'Italia dalle speculazioni dei mercati (non servirà emettere titoli di Stato per un certo tempo e, anzi, il Tesoro potrà saldare immediatamente una bella fetta dei propri debiti) e quindi si limiterebbero gli effetti della crescita dei tassi d'interesse che ha messo tutti nel panico nelle settimane scorse. Utopia?
Nessuno, invece, parla più della Torino-Lione, come se l'Italia alla frutta potesse ancora permettersi quel cantiere faraonico che darà lavoro al massimo a qualche centinaio di persone, ma che costerà allo Stato decine di miliardi di euro. Ovviamente i migliori lobbisti sono in moto a Roma per evitare che qualsiasi politico avanzi la proposta di cancellare velleità come questa e il Ponte sullo Stretto.
Al contrario i Radicali chiedono di tagliare l'otto per mille alle confessioni religiose, per fare un po' di cassa. Se l'ideologia non accecasse (come sempre fa), qualcuno si ricorderebbe che, con i tagli agli enti locali e, quindi, ai servizi al cittadino, strozzare la Chiesa e la sua rete di solidarietà è davvero il modo migliore per provocare la catastrofe sociale. Per fortuna, però, il peggio della gerarchia ecclesiastica sarà sicuramente in moto per scongiurare ogni rischio e il peso politico dei Radicali è ormai praticamente nullo.
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