La Puglia si è svegliata e ha scoperto che forse c'è qualcosa che non va nel nostro modo di pensare l'immigrazione. Non si parla della rivolta a Bari, di cui le pagine dei giornali sono piene e che è diretta conseguenza dell'idea cretina di un governo cretino di stipare per sei mesi un immigrato, insieme ad altre centinaia se non di più, in un recinto metallico, col risultato di farlo diventare, alla lunga, comprensibilmente arrabbiato. Molto più interessante è invece ciò che accade in Salento tra i braccianti agricoli.
A Nardò, un grosso paese qualche decina di chilometri a sud di Lecce, gli immigrati che ogni estate raccolgono gli ortaggi hanno deciso di incrociare le braccia, stanchi di essere sfruttati come bestie da soma senza diritti, dormendo in tende e baracche e vivendo in balia di caporali armati di mitra. Un modo perverso di produrre ha condotto a ciò che nessuno si aspettava: lo schiavo ha smesso di farsi schiavizzare.
Quello agricolo è diventato un mondo ingrato dove, a fronte dell'aumento dei prezzi degli alimentari al supermercato, i ricavi dei produttori si assottigliano di anno in anno e questa torta sempre più piccola va divisa tra il proprietario del campo e i lavoratori stagionali di cui parliamo. Naturalmente, il primo cerca di limitare il proprio impoverimento a spese dei secondi, sempre che non decida di concedere il terreno per la costruzione di impianti di energia rinnovabile e vivere della semplice rendita della locazione.
Quindi l'agricoltura, l'attività produttiva che ci sfama, muore, ma i braccianti non hanno alcuna intenzione di morire di lavoro per primi in modo da permettere ai coltivatori salentini di vivere un po' più a lungo. Le associazioni di questi ultimi, invece, cercano di negare il problema (più che evidente) sostenendo la piena legittimità di tutti i contratti di lavoro, la massima garanzia per i diritti degli immigrati e - udite udite - il fatto che in moltissimi casi agli stagionali verrebbero concesse retribuzioni molto più alte di quelle dovute.
Ma se perfino gli sfruttabili per antonomasia, ovvero gli immigrati stagionali che sanno che se protestano l'anno prossimo non avranno più l'impiego e dovranno rimanersene nel loro paese, si ribellano, allora forse è indizio che il sistema, fino ad ora vivo anche se moribondo, sta per giungere al capolinea.
Alla faccia del chilometro zero, del made in Italy e del Protocollo di Kyoto, davanti ai prezzi concorrenziali dei produttori esteri converrà importare olio e pomodori piuttosto che acquistarli dai nostri agricoltori, che non possono fare a meno di sfruttare la manodopera immigrata a basso costo se vogliono guadagnare quel che basta per mantenere il tenore di vita occidentale. Modo di vivere che, in questo caso, mette a stretto contatto chi lo paga (la gente del Sud del mondo) con la nostra società che ne beneficia.
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