domenica 28 agosto 2011

Avvenire al suicidio

Un articolo di Avvenire cerca di replicare agli attacchi concentrici recentemente sferrati contro la Chiesa dalla stampa progressista, a proposito delle varie esenzioni fiscali di cui godono le organizzazioni religiose. Un editoriale di Marco Tarquinio respinge le accuse e rinnova le critiche (condivisibilissime) alla manovra e all'inerzia delle istituzioni davanti alla spaventosa evasione fiscale italiana. In particolare, si accusano i politici di essere teneri con gli evasori per convenienza elettorale, essendo quella categoria, molto variegata, forte numericamente ed economicamente.
Il pezzo riesce ad essere equilibrato ed efficace fino all'ultimo paragrafo, dove, invece, il giornalista si ricorda di darci un'informazione cruciale su uno di coloro che a suo parere sarebbero i mandanti dell'assalto alla Chiesa: è un capo massone. Sì, uno dei capi di quell'oscura forza segreta che da secoli complotterebbe contro il cattolicesimo muovendo media, politica, economia, scuola, il gelataio all'angolo, l'elettricista, l'apparentemente innocuo bambino al parco giochi col palloncino, gli UFO e magari anche le scie chimiche, i men in black e chissà che altro.
Il peggiore boomerang possibile quando si deve rispondere ad accuse razionali e basate su dati (veri o falsi che siano) è gridare al complotto di forze oscure nemiche giurate della propria parte. Cadere nel complottismo priva un commentatore della credibilità che gli servirebbe per convincere della bontà delle proprie tesi e regala agli avversari l'opportunità di dipingerlo come farsesco o, peggio, delirante.
Così di tutto l'articolo di Avvenire solo l'ultimo paragrafo, quello sulla massoneria, è finito alla ribalta delle cronache ed è stato commentato dagli avversari della Chiesa. Gridare al massone, ormai, porta a venir presi sul serio solo da qualche clericale accanito, mentre alla gente comune provoca solo una reazione ilare: Avvenire è alla frutta e, non avendo altri argomenti, se la prende con nemici immaginari.
Il passo falso di Avvenire, ora, avrà gravissime ripercussioni sul fronte clericale, visto che è prevedibile che tutti i cattolici complottisti ripeteranno rinfrancati nelle loro assurde paranoie, questa assurda teoria della cospirazione massonica per far pagare l'ICI alle chiese, mentre i commentatori più equilibrati (e più seri) dovranno scegliere se tacere o se correre il rischio di essere accostati ai primi, coprendosi loro malgrado di ridicolo. Ancora peggio se la tesi del complotto sarà percepita come il punto di vista ufficiale della Chiesa (facile, visto che nel clero i maniaci di persecuzione sono moltissimi), la cui credibilità, già al minimo storico a causa delle sue pessime guide, sarà ulteriormente compromessa.
E mentre si parla di congiure, luoghi di culto e laicità dello Stato, le finanze pubbliche sono alla deriva e gli evasori ringraziano quest'ultima arma di distrazione di massa che li ha salvati dall'invece doveroso e necessario giro di vite.

sabato 27 agosto 2011

Sono solo un povero benestante!

In ques'estate caotica, il governo, così sbandato da far invidia all'ultimo di centrosinistra, ha già dovuto rimangiarsi quell'ombra di disegno di giustizia sociale che voleva essere il contributo di solidarietà da far pagare ai più ricchi perché contribuissero alla quadratura dei conti pubblici.
Si trattava di un aumento dell'aliquota marginale del 5% per la fascia di reddito tra i 90 e i 150 000 euro e del 10% sopra i 150 000. In parole povere, un contribuente che avesse dichiarato un reddito di 200 000 euro avrebbe pagato il 23% di IRPEF sui primi € 15 000 di reddito, il 27% sulla porzione di reddito tra  €15 001 e € 28 000, il 38% su quella tra € 28 001 e € 55 000, il 41% su quella tra € 55 001 e € 75 000, il 43% su quella tra € 75 001 e € 90 000, il 48% (IRPEF più contributo) su quella tra € 91 000 e € 150 000 e, infine, il 53% su quella in eccedenza rispetto a € 150 000.
Sarebbe stata una misura in linea col principio di progressività del prelievo fiscale, costituzionalmente garantito, che prevede che le aliquote crescano con il crescere del reddito. Si comprende, infatti, che non è sufficiente una normale proporzionalità, in quanto ha un differente peso un singolo euro tolto a un povero e la stessa somma tolta ad un contribuente agiato: il primo difetta già dell'essenziale, il secondo, invece, dovrà rinunciare soltanto al superfluo.
Questo concetto, che gli economisti chiamano funzione di utilità, è comprensibile con un esempio: se il reddito necessario per la mera sopravvivenza è 95 ed esistono due contribuenti, uno che percepisce 100 e l'altro che percepisce 1000, un'eventuale aliquota unica del 10% farebbe precipitare il reddito del primo a 90 (quindi sotto il minimo vitale), mentre quello del secondo, anche se in termini assoluti più colpito (100 contro 10), scenderebbe a 900, senza provocare un sacrificio nemmeno lontanamente simile a quello del primo soggetto.
La proposta ha messo in agitazione gli interessati, ovvero coloro che guadagnango 7500 euro lordi al mese, che replicano inorriditi che loro non sono ricchi, ma benestanti (nota categoria distinta), anzi, ceto medio (i poveri sono per caso quelli che percepiscono meno di €5000?). E poi lettere sui giornali di poveri benestanti disperati che minacciano di andarsene dall'Italia, che denunciano come il governo punisca quelli che hanno sempre lavorato (altro che quei fanfaroni degli operai e dei precari...), modesti professionisti da 100 000 euro annui che denunciano l'evasione fiscale (che non si sa bene cosa c'entri: loro i soldi ce li hanno a prescindere dagli evasori) e tanti discorsi della serie che esiste chi è più ricco di me. In conclusione, il governo ha fatto marcia indietro e ora la misura è in forse.
Oltre alla proporzionalità e alla progressività, l'imposizione fiscale può anche essere caratterizzata da regressività e ciò avviene quando, col crescere del reddito, si riduce l'entità del tributo pagato. Ed è appunto regressiva di fatto l'imposta a cui il governo (col placet della Marcegaglia che su Repubblica ha dichiarato che i ricchi italiani pagano già troppe tasse per i suoi gusti...) si affida per risanare i conti: l'IVA.
Verifichiamo infatti gli effetti dell'IVA usando il concetto già visto di utilità. Ipotizzando che sia 100 la quantità di consumo necessaria per la mera sopravvivenza e del 20% l'aliquota IVA (uguale per tutti), il contribuente A che percepisce 110 e spende 100 (giusto per sopravvivere) pagherà 20 di imposta, cioè il 18% ca. del suo reddito; il contribuente B, invece, che gode di un reddito di 1000 e spende 800 (cioè molto di più, ma risparmiando anche molto di più), pagherà 160 di imposta, cioè soltanto il 16%!
Il ricco (pardon, benestante!) così potrà vivere meglio, risparmiare di più e pagare meno tasse del povero. E poco importa che i beni di prima necessità (pane, pasta, farina...) siano sottoposti ad un'IVA inferiore, perché questo "sconto" pesa allo stesso modo su agiati e miserabili, in barba a qualsiasi giustizia sociale.
Insomma, lo spostamento del carico fiscale dall'imposizione diretta a quella indiretta è sempre penalizzante per i ceti inferiori. Si aggiunga anche che esistono beni (ad esempio PC, automobili, telefoni) che il titolare di partita IVA (statisticamente in prevalenza una persona agiata) può scaricare in quanto strumentali per il suo lavoro, ma che poi può utilizzare anche per attività extralavorative. Al contrario, il lavoratore dipendente, non godendo di queste opportunità ed essendo solo consumatore finale, subirà gli effetti inflattivi di un aumento dell'IVA sommato ai consueti arrotondamenti dei commercianti che cercheranno in ogni modo di mantenere intatto il proprio margine di guadagno e, se possibile, incrementarlo.

sabato 20 agosto 2011

A sinistra: socialismo e anarchismo (II)

Dopo il socialismo, occorre esaminare il secondo grande filone del pensiero di sinistra, quello anarchico.
L'anarchismo parte da premesse teoriche assolutamente opposte rispetto al socialismo, poiché mentre i socialisti (soprattutto dopo Marx) il problema sociale nasce dall'ingordigia del singolo, gli anarchici si limitano a constatare che nel mondo esistono forti e deboli e che i deboli tendono ad essere sottomessi all'autorità dei più forti. La liberazione, dunque, non viene dal mettere un morso all'individuo perché non danneggi i propri simili e perché non sia ingordo, ma, al contrario, dall'eliminazionedi ogni potere che lega un uomo a un suo simile per cancellare le basi legali dell'oppressione.
A ben vedere, mentre il socialista trova la risposta ai problemi sociali nelle regole, l'anarchico vuole eliminare anche le poche regole che il liberalismo (comunemente identificato come la fonte dell'oppressione capitalista) ancora impone, ovvero la tutela della proprietà e del rispetto dei contratti, il diritto di famiglia, la difesa comune e la sicurezza. Un libertarismo estremo, che radicalizza di fatto la nemica ideologia liberale, a partire dal presupposto che non possa esistere nessun'autorità esercitata in modo neutro, o addirittura a vantaggio dei sottoposti, ma che il potere sarà impiegato sempre e comunque a beneficio del suo detentore.

All'atto pratico, non è mai esistita nessuna società anarchica: non è possibile che un insieme di persone conviva senza riconoscere al proprio interno un qualche minimo potere, che sia un capo carismatico, un organo elettivo o, addirittura, la comunità nel suo complesso (che non è la semplice somma dei consociati, ma un ente a sè, con una sua personalità). Un'eventuale società anarchica non potrebbe avere regole, perché da un lato ogni decisione dovrebbe essere presa unanimemente da tutti, dall'altro perché in ogni momento un singolo individuo potrebbe decidere di cambiare idea e di fare di testa propria, senza che sia possibile esercitare alcuna coercizione nei suoi confronti.
Dunque l'anarchismo è la negazione dello Stato sociale, perché serve un'autorità centrale per garantire il rispetto dei doveri di solidarietà tra i cittadini, la riscossione dei tributi e l'offerta dei servizi, mentre questo movimento crede che ogni aiuto reciproco debba essere spontaneo e fondato sulla naturale filantropia umana.
Un punto debole è la possibilità della creazione di posizioni di forza di natura extralegale, come può essere l'instaurazioni di una tecnocrazia (dove pochi riescono a farsi ubbidire semplicemente perché hanno competenze di cui gli altri necessitano) o di un dispotismo violento (dove un gruppo di individui abbastanza forti riescono a dominare gli altri facendo ricorso alla violenza). Insomma, all'ambizione del singolo non viene contrapposta la forza del gruppo.
L'unico rimedio che l'anarchismo propone alla nascita, dopo la rivoluzione anarchica, di nuovi rapporti di potere è la rivolta permanente: poiché tutti si opporrebbero ad ogni autorità anche solo potenziale, sarebbe impossibile la formazione di ogni tipo di egemonia. Ciò, però, va contro la natura umana, dato che a molti potrebbe risultare più conveniente accettare un potere anche solo per puro istinto di sopravvivenza (come nel caso di aggressione esterna, di origine umana o naturale), mentre personalità naturalmente gregarie potrebbero spontaneamente fare gruppo per affrontare meglio le sfide della vita. L'uomo è animale politico, affermava Aristotele...


Alla prima parte

venerdì 19 agosto 2011

Qualche nota economica estiva

Da profano, non posso che commentare il dibattito di politica economica di questi tempi limitandomi a rimettere insieme qualche tassello senza cercare di formulare un quadro completo.
Per prima cosa, è evidente che il governo, in mancanza di idee migliori, continua ad essere affetto dalla sindrome di Brunetta (il ministro definito un cretino da Tremonti): colpire gli statali per far scontare loro le colpe altrui. In nome della responsabilizzazione, è stata inserita nel pacchetto l'eliminazione delle tredicesime di tutti i dipendenti pubblici che lavorano nelle amministrazioni che non riusciranno a far quadrare i conti. In parole povere, saranno i lavoratori a pagare il fio per l'incapacità di chi li dirige o per la follia di un ministero che ha messo in programma tagli troppo radicali per essere completamente realizzati.
Naturalmente sarà un disastro per i meno abbienti, sui quali la perdita di una mensilità avrà un peso considerevole, mentre i veri responsabili del mancato raggiungimento degli obiettivi, cioè coloro che stanno a capo delle amministrazioni e dunque percepiscono lauti redditi, probabilmente si accorgeranno appena del castigo di Tremonti. E che dire dei membri del governo, che hanno davvero in mano le sorti della macchina statale? Per loro non ci sarà nessuna scure in caso di errore, perché - dicono - a quei livelli la responsabilità è esclusivamente politica.
Il secondo tema caldo è la controproposta del Pd di tassare per quindici miliardi i capitali scudati, in modo da alleviare, almeno per un anno, l'impatto della correzione dei conti. L'idea, quando tempo fa fu presentata da Di Pietro, provocò una levata di scudi da parte del Pdl e del Pd meno L (che però adesso sembra averci ripensato), perché avrebbe dato l'immagine di uno Stato che non sa stare ai patti, avrebbe neutralizzato ogni possibilità di condono futuro (che danno!) e sarebbe stata incostituzionale (perché retroattiva?). Oggi, invece, che non c'è nemmeno più certezza che quei capitali esistano ancora (potrebbero essere stati dilapidati o nuovamente sommersi, oppure essere appartenuti ad imprese ormai fallite), è il Pd a ritirarla fuori, da bravo partito senza idee, non accorgendosi forse che è proprio adesso che i dubbi di costituzionalità sono più forti.
Sul Corriere della Sera, invece, si propone una imposizione patrimoniale una tantum da 200 miliardi di euro, in grado di abbattere il debito pubblico di più di una ventina di punti. Il tributo colpirebbe il 20% degli italiani, non riguarderebbe abitazioni e titoli di Stato e prevederebbe una possibile restituzione (almeno parziale) futura, quando ormai il peggio sarà alle spalle. In un colpo, infatti, avrebbe lo stesso effetto di un decennio di manovre lacrime e sangue.
Una mossa simile metterebbe al riparo l'Italia dalle speculazioni dei mercati (non servirà emettere titoli di Stato per un certo tempo e, anzi, il Tesoro potrà saldare immediatamente una bella fetta dei propri debiti) e quindi si limiterebbero gli effetti della crescita dei tassi d'interesse che ha messo tutti nel panico nelle settimane scorse. Utopia?
Nessuno, invece, parla più della Torino-Lione, come se l'Italia alla frutta potesse ancora permettersi quel cantiere faraonico che darà lavoro al massimo a qualche centinaio di persone, ma che costerà allo Stato decine di miliardi di euro. Ovviamente i migliori lobbisti sono in moto a Roma per evitare che qualsiasi politico avanzi la proposta di cancellare velleità come questa e il Ponte sullo Stretto.
Al contrario i Radicali chiedono di tagliare l'otto per mille alle confessioni religiose, per fare un po' di cassa. Se l'ideologia non accecasse (come sempre fa), qualcuno si ricorderebbe che, con i tagli agli enti locali e, quindi, ai servizi al cittadino, strozzare la Chiesa e la sua rete di solidarietà è davvero il modo migliore per provocare la catastrofe sociale. Per fortuna, però, il peggio della gerarchia ecclesiastica sarà sicuramente in moto per scongiurare ogni rischio e il peso politico dei Radicali è ormai praticamente nullo.

martedì 2 agosto 2011

Occidente e Sud del mondo faccia a faccia in Salento

La Puglia si è svegliata e ha scoperto che forse c'è qualcosa che non va nel nostro modo di pensare l'immigrazione. Non si parla della rivolta a Bari, di cui le pagine dei giornali sono piene e che è diretta conseguenza dell'idea cretina di un governo cretino di stipare per sei mesi un immigrato, insieme ad altre centinaia se non di più, in un recinto metallico, col risultato di farlo diventare, alla lunga, comprensibilmente arrabbiato. Molto più interessante è invece ciò che accade in Salento tra i braccianti agricoli.
A Nardò, un grosso paese qualche decina di chilometri a sud di Lecce, gli immigrati che ogni estate raccolgono gli ortaggi hanno deciso di incrociare le braccia, stanchi di essere sfruttati come bestie da soma senza diritti, dormendo in tende e baracche e vivendo in balia di caporali armati di mitra. Un modo perverso di produrre ha condotto a ciò che nessuno si aspettava: lo schiavo ha smesso di farsi schiavizzare.
Quello agricolo è diventato un mondo ingrato dove, a fronte dell'aumento dei prezzi degli alimentari al supermercato, i ricavi dei produttori si assottigliano di anno in anno e questa torta sempre più piccola va divisa tra il proprietario del campo e i lavoratori stagionali di cui parliamo. Naturalmente, il primo cerca di limitare il proprio impoverimento a spese dei secondi, sempre che non decida di concedere il terreno per la costruzione di impianti di energia rinnovabile e vivere della semplice rendita della locazione.
Quindi l'agricoltura, l'attività produttiva che ci sfama, muore, ma i braccianti non hanno alcuna intenzione di morire di lavoro per primi in modo da permettere ai coltivatori salentini di vivere un po' più a lungo. Le associazioni di questi ultimi, invece, cercano di negare il problema (più che evidente) sostenendo la piena legittimità di tutti i contratti di lavoro, la massima garanzia per i diritti degli immigrati e - udite udite - il fatto che in moltissimi casi agli stagionali verrebbero concesse retribuzioni molto più alte di quelle dovute.
Ma se perfino gli sfruttabili per antonomasia, ovvero gli immigrati stagionali che sanno che se protestano l'anno prossimo non avranno più l'impiego e dovranno rimanersene nel loro paese, si ribellano, allora forse è indizio che il sistema, fino ad ora vivo anche se moribondo, sta per giungere al capolinea.
Alla faccia del chilometro zero, del made in Italy e del Protocollo di Kyoto, davanti ai prezzi concorrenziali dei produttori esteri converrà importare olio e pomodori piuttosto che acquistarli dai nostri agricoltori, che non possono fare a meno di sfruttare la manodopera immigrata a basso costo se vogliono guadagnare quel che basta per mantenere il tenore di vita occidentale. Modo di vivere che, in questo caso, mette a stretto contatto chi lo paga (la gente del Sud del mondo) con la nostra società che ne beneficia.