La Guerra del Golfo del 1991 e poi la seconda invasione americana dell'Iraq hanno spalancato le porte della Mesopotamia a un esercito di missionari evangelici, prevalentemente americani, avente l'obiettivo dichiarato di esportare, insieme alla democrazia, anche il cristianesimo riformato.
Nel '91 i primi missionari giunsero insieme alle ONG con scopi almeno nelle dichiarazioni umanitari, non incontrando ostacoli nell'insediamento nel Kurdistan dilaniato dalla guerra e dalla pulizia etnica di Saddam Hussein. Insieme a loro arrivavano milioni e milioni di dollari di provenienza statunitense, dove le Chiese evangeliche possono contare di un sostegno fortissimo e di un finanziamento volontario incredibile per gli standard europei.
Da allora sono cominciate l'attività di traduzione della Bibbia e dei testi dei predicatori americani e la costruzione di chiese e di università religiose nelle principali città, per creare una infrastruttura locale adatta alla propagazione della Parola di Dio. I risultati, seppure non statisticamente significativi, non si sono fatti attendere e molti curdi hanno accettato il battesimo e l'insegnamento di questa strana fede americana che mescola Vangelo e liberismo economico, forse anche nella speranza di avere così garantito un visto più facile per gli Stati Uniti.
E' stato comunque con la conquista di Baghdad che, crollata la frontiera, il Kurdistan è stato praticamente invaso dagli evangelizzatori che hanno cominciato a fare proselitismo in grande stile, suscitando più di qualche malumore nella società irachena che (almeno nelle intenzioni) si dovrebbe reggere sull'equilibrio tra le diverse componenti etnico-religiose.
La denuncia arriva dai cristiani caldei che accusano questi missionari di svolgere un'attività di mera provocazione e facilmente strumentalizzabile da qualcuno dei numerosissimi gruppi terroristici che dilagano nel paese. Alcuni evangelici più spinti, inoltre, hanno perfino espresso il desiderio di rievangelizzare i cristiani levantini, accusati di essersi troppo distaccati dal vero cristianesimo (essendo loro cattolici, ortodossi e siriaci e non evangelici come gli statunitensi). Quanto basta per spingere un partito caldeo a chiedere la proibizione del proselitismo evangelico.
Nel frattempo gli ultimi sette anni hanno visto una vera e propria escalation di questa attività missionaria: i milioni di dollari investiti in una terra dove non c'è nulla, la fondazione di scuole e università, il quasi monopolio nell'importazione di pubblicazioni, la predicazione capillare mediatica e i pubblici raduni con centinaia di neobattezzati appaiono quasi un affronto ai curdi più tradizionalisti. Si denuncia perfino che i pastori protestanti predichino che sia l'Islam la causa dell'arretratezza della regione.
La posizione degli evangelici è da sempre filosionista e filoamericana, ovvero estremamente confliggente con l'antiamericanismo e l'antisionismo che sempre più pervadono l'opinione pubblica araba. Da più parti si paventa il rischio che queste conversioni possano apparire alla maggioranza degli iracheni come forme di collaborazionismo col nemico e che gruppi più radicali finiscano per confondere i pastori evangelici con le millenarie comunità cristiane locali, che quindi si ritroverebbero ancora più coinvolte nel terribile scontro settario in atto nel paese.
Nessun commento:
Posta un commento