sabato 27 novembre 2010

E' più occidentale la democrazia o l'assenza di minareti? Alla Svizzera l'ardua sentenza

La legge è uguale per tutti? Può essere prevista per una certa categoria di persone una sanzione aggiuntiva per un illecito commesso dovuta unicamente alla loro condizione personale? I due quesiti ci portano in Svizzera, dove un referendum dovrà stabilire se, in caso di reati gravi e frodi ai danni di enti pubblici e previdenziali (ovvero evasione), sia applicabile l'espulsione automatica dello straniero.
La consultazione popolare è promossa dal partito di estrema destra xenofoba e, secondo un sondaggio, il sì sarebbe in netto vantaggio. Scontato, visto che stiamo parlando dello stesso popolo che proibì la costruzione di minareti nel territorio nazionale.
E' indiscusso che l'idea abbia il proprio fascino: come può pretendere di rimanere ospite in un paese una persona che ha infranto le sue leggi e che ha dimostrato di non sapersi integrare nel vivere civile? Meglio cacciare immediatamente, per far capire che la Svizzera non è il paese dell'anarchia, ma una nazione seria che pretende che le regole siano rispettate (se ve lo state chiedendo, sì, stiamo parlando proprio di quella Svizzera che è nella black list del fisco italiano).
Se così fosse, allora il principio della legge uguale per tutti conoscerebbe una vistosa deroga per lo straniero, il quale non solo dovrebbe scontare la pena applicabile anche ai cittadini, ma dovrebbe sopportare anche la (pesantissima) sanzione accessoria dell'espulsione automatica. Insomma, l'esatto contrario di ciò che postula la democrazia liberale sull'uguaglianza davanti al diritto.
L'argomento tipico con cui si difende la correttezza delle espulsioni facili e della mano pesante contro gli stranieri è generalmente il passionalissimo "Ma se avessi subito tu un crimine da parte degli stranieri la penseresti esattamente come noi" (si perdoni l'uso del discorso diretto: è indispensabile per sottolineare la impossibile formulazione in senso oggettivo-razionale dell'enunciato), che rimanda ad una concezione vendicativa del diritto penale: subisco un torto e voglio soddisfazione piena. Resta solo da comprendere perché, invece, chi subisce il crimine da parte di un cittadino svizzero dovrebbe ricevere una "vendetta di Stato" ridotta: è per caso una vittima di secondo ordine?
Assistiamo ancora all'ipocrisia di un certo Occidente (che in realtà, ormai, va inteso come paesi ricchi) che, magnificando la propria storia e i propri principi, rinuncia a proteggerli e valorizzarli pur di non vedere il proprio skyline modificato dai minareti.

domenica 21 novembre 2010

Di una messa fiorentina

In occasione della cerimonia d'inaugurazione dell' Anno Accademico 2010-2011 dell' Università degli Studi di Firenze, Sua Eccellenza monsignor Claudio Maniago, vescovo ausiliare di Firenze, celebrerà la S. Messa per gli universitari venerdì 3 dicembre 2010 alle ore 9 nel battistero. Alla S. messa sono invitati tutti i dipendenti e gli studenti dell' Università di Firenze.

Queste quattro righe stringate sono bastate a scatenare l'inferno contro il rettore dell'Università di Firenze da parte di partiti di sinistra, UAAR e altri gruppi che cercano un pretesto qualsiasi per avere i propri dieci secondi di notorietà.
L'Università è un'istituzione medievale, nata con un fortissimo connotato religioso, e non c'è da stupirsi se da secoli l'anno accademico è inaugurato sempre da una messa per gli studenti, i docenti ed il personale universitario. L'invito, fino all'anno passato, era consegnato in forma cartacea ai rappresentanti del corpo studentesco perché girassero la notizia ai rappresentati: il risultato voleva essere comunque la capillare comunicazione a tutti per garantire la partecipazione degli interessati all'evento.
Questa volta, invece, la tecnologia ha colpito ancora e il Rettore ha avuto l'idea di effettuare l'invito non più per interposta persona, ma direttamente a tutti gli iscritti e i dipendenti via e-mail. E' cambiata quindi unicamente la forma della comunicazione, non ciò che era comunicato, nè il numero di destinatari.

Le reazioni sono state furibonde. Gli Studenti di Sinistra hanno diramato un comunicato ("Come Studenti di Sinistra riteniamo inaccettabile che un'istituzione laica e pubblica come l'universita', in totale spregio al principio di laicita' dello Stato, ponga all'interno delle proprie cerimonie un rito religioso, per altro celebrato da personaggi di dubbia moralita") probabilmente accorgendosi solo oggi di quello che l'Università organizza con la diocesi da più di mezzo millennio (chi lo sa, magari pensavano che tutti si vedessero ogni anno in chiesa dal 1321 per giocare a briscola...).
L'UAAR fiorentino scrive direttamente al rettore per protestare contro questo pericolosissimo attentato al bene supremo della laicità dello Stato, richiamando sentenze della Corte di Strasburgo sulla riservatezza dei dati sensibili (anche se qualcuno deve spiegarmi cosa c'entri la privacy con l'invito a una messa) e paventando ritorsioni contro chi non parteciperà alla celebrazione (che, ricordo, si ripete ogni anno dal 1321). Si aggiunge anche che dei musulmani avrebbero manifestato del disagio all'UAAR (!) per via dell'invito ricevuto.
Protesta anche il rappresentante regionale della Federazione della Sinistra che ha colto l'ennesima occasione per alienarsi un altro po' di elettorato operaio parlando della messa di Firenze invece che della crisi o dei diritti dei lavoratori.
Anche Margherita Hack prende posizione condannando questa "cosa assurda", mai udita (eccetto che una volta all'anno dal 1321 in poi...), peggiore perfino del discorso del Papa alla Sapienza (anche se Benedetto XVI alla fine non tenne nessun discorso nell'Università romana fondata dal suo predecessore Bonifacio VIII).

L'Italia si sta sempre più spaccando tra dei deliranti antireligiosi che vorrebbero in un colpo solo spazzare via le messe, i preti e il velo islamico ed una cricca di clericali e atei-devoti (quelli che non credono in Dio, ma nel cardinale Bagnasco...) che concepiscono la religione unicamente come instrumentum regni da usare per controllare le masse. Lo spazio per l'equilibrio e la tolleranza, così, si riduce sempre di più, come anche lo Stato laico corre sempre più il rischio di essere fagocitato ora dai fautori dell'ateismo di Stato, ora dai teorici dello Stato confessionale.

sabato 20 novembre 2010

L'invasione evangelica del Kurdistan

La Guerra del Golfo del 1991 e poi la seconda invasione americana dell'Iraq hanno spalancato le porte della Mesopotamia a un esercito di missionari evangelici, prevalentemente americani, avente l'obiettivo dichiarato di esportare, insieme alla democrazia, anche il cristianesimo riformato.
Nel '91 i primi missionari giunsero insieme alle ONG con scopi almeno nelle dichiarazioni umanitari, non incontrando ostacoli nell'insediamento nel Kurdistan dilaniato dalla guerra e dalla pulizia etnica di Saddam Hussein. Insieme a loro arrivavano milioni e milioni di dollari di provenienza statunitense, dove le Chiese evangeliche possono contare di un sostegno fortissimo e di un finanziamento volontario incredibile per gli standard europei.
Da allora sono cominciate l'attività di traduzione della Bibbia e dei testi dei predicatori americani e la costruzione di chiese e di università religiose nelle principali città, per creare una infrastruttura locale adatta alla propagazione della Parola di Dio. I risultati, seppure non statisticamente significativi, non si sono fatti attendere e molti curdi hanno accettato il battesimo e l'insegnamento di questa strana fede americana che mescola Vangelo e liberismo economico, forse anche nella speranza di avere così garantito un visto più facile per gli Stati Uniti.
E' stato comunque con la conquista di Baghdad che, crollata la frontiera, il Kurdistan è stato praticamente invaso dagli evangelizzatori che hanno cominciato a fare proselitismo in grande stile, suscitando più di qualche malumore nella società irachena che (almeno nelle intenzioni) si dovrebbe reggere sull'equilibrio tra le diverse componenti etnico-religiose.
La denuncia arriva dai cristiani caldei che accusano questi missionari di svolgere un'attività di mera provocazione e facilmente strumentalizzabile da qualcuno dei numerosissimi gruppi terroristici che dilagano nel paese. Alcuni evangelici più spinti, inoltre, hanno perfino espresso il desiderio di rievangelizzare i cristiani levantini, accusati di essersi troppo distaccati dal vero cristianesimo (essendo loro cattolici, ortodossi e siriaci e non evangelici come gli statunitensi). Quanto basta per spingere un partito caldeo a chiedere la proibizione del proselitismo evangelico.
Nel frattempo gli ultimi sette anni hanno visto una vera e propria escalation di questa attività missionaria: i milioni di dollari investiti in una terra dove non c'è nulla, la fondazione di scuole e università, il quasi monopolio nell'importazione di pubblicazioni, la predicazione capillare mediatica e i pubblici raduni con centinaia di neobattezzati appaiono quasi un affronto ai curdi più tradizionalisti. Si denuncia perfino che i pastori protestanti predichino che sia l'Islam la causa dell'arretratezza della regione.
La posizione degli evangelici è da sempre filosionista e filoamericana, ovvero estremamente confliggente con l'antiamericanismo e l'antisionismo che sempre più pervadono l'opinione pubblica araba. Da più parti si paventa il rischio che queste conversioni possano apparire alla maggioranza degli iracheni come forme di collaborazionismo col nemico e che gruppi più radicali finiscano per confondere i pastori evangelici con le millenarie comunità cristiane locali, che quindi si ritroverebbero ancora più coinvolte nel terribile scontro settario in atto nel paese.

venerdì 19 novembre 2010

I paladini della Cristianità

Ecco a voi i politici che dichiarano di volersi battere per i valori cristiani, che attaccano i musulmani e ne chiedono la fucilazione, che danno dell'imam al cardinale Tettamanzi. Eccoli scherzare, bere e bestemmiare nel duomo di Monaco di Baviera.

giovedì 18 novembre 2010

Hai successo? Licenziato!

Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre, è il responsabile della trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano Vieni via con me, che con le ultime due puntate ha registrato gli ascolti più alti della rete, della Rai e delle prime serate in cui è avvenuta la messa in onda. Così la Rai, per premiarlo per il successo che ha registrato, gli ha spedito una lettera di richiamo (cioè un provvedimento disciplinare) e, così facendo, ha reso possibile l'eventuale apertura della procedura di licenziamento nei suoi confronti.
Il mandante pare che sia il ministro Maroni, che non ha affatto gradito l'ultima puntata in cui Saviano ha parlato delle infiltrazioni della 'Ndrangheta in Lombardia, del modo in cui la società lombarta ha accolto le cosche, in qualche modo favorendole, e del mancato impegno della Lega (forza politica dominante in quella realtà) per contrastare il fenomeno dal punto di vista culturale, oltre che con gli slogan. Si è adirato sentendo ricordare per la prima volta davanti a nove milioni di telespettatori che qualche mese fa avvenne un abboccamento tra un politico leghista e degli esponenti delle 'ndrine (famiglie mafiose calabresi), vedendo le immagini di un meeting della Cupola svoltosi appena fuori Milano, accorgendosi che per la prima volta si era rotto il silenzio sull'attività delle cosche nel Nord.
Il ministro voleva andare in trasmissione a replicare (a cosa? A dei video?), ma Mazzetti glielo ha negato: la trasmissione non è un talk show, nè una tribuna politica. Al che Maroni si è attivato per usare tutta la propria influenza contro Saviano e Mazzetti, ottenendo da Masi una spada di Damocle sospesa sopra la testa del secondo. Il Giornale di Sallusti, invece, si sta occupando del primo con una raccolta di firme contro di lui, colpevole di diffamare il Nord (come una volta era colpevole di diffamare il Sud!).
Così, mentre la Sicilia ha superato da decenni il periodo in cui della Mafia era vietato parlare, adesso tocca alla Lombardia, la terra col più alto tasso di investimento mafioso d'Europa, erigere uno scudo di omertà a difesa dei clan che devono poter fare affari indisturbati. Si isolano le associazioni antiracket, si manganella mediaticamente chiunque osa parlare e si nega fino all'estremo l'esistenza del fenomeno (come ha fatto il sindaco Moratti), così dimostrando che Saviano ha detto il vero: la Lombardia non solo non pone ostacoli alla 'Ndrangheta, ma ne è addirittura un ottimo terreno di coltura.
Così, alla faccia della meritocrazia, del mercato e del successo aziendale, la Rai si prepara a mazzolare i propri migliori autori, magari in attesa che, come nel caso Santoro, sia la magistratura a costringerla a reintegrarli e a riprendere a fare utili.

domenica 14 novembre 2010

Religiolus. Quando il pregiudizio si spaccia per ragione

Giungendo molto tardi sulla notizia, ho avuto modo di vedere (e, perché no, anche di gustare) l'ormai da tempo uscito film Religiolus, una satira sulle religioni girata dal regista Larry Charles (quello di Borat, per intenderci) e condotta con ironia e faccia tosta dal comico Bill Maher. Il lungometraggio è un documentario che ha per slogan "usate la ragione, non la religione" e che si apre e si chiude con un invito al dubbio rivolto ai credenti.
Non volendo recensire il film (stilisticamente godibile, nonostante il saccente monologo finale), mi limiterò a constatare che dalla visione di dubbi sulla fede ne sorgono veramente pochi al cattolico medio,dato che la pellicola si concentra più che altro sulle moltissime e ridicole sette statunitensi.
Se per tutta la prima parte l'opera è assolutamente piacevole e arguta, è quando si parla di Islam che gli appelli alla ragione e al dubbio diventano unicamente nominali e comincia una vera e propria elencazione di tutti i luoghi comuni sulla religione musulmana, tutti dati per veritieri e tutti utilizzati per dimostrare l'infondateza di quel credo.
Si procede così all'estrapolazione dal Corano di quei versetti che, riferendosi alle situazioni di aggressione da parte di nemici esterni o di persecuzione, fanno appello alla lotta armata. Ovviamente la presenza delle due premesse è omessa, come si omette anche il particolare che il Corano vieti espressamente la continuazione della guerra quando il nemico ormai si è arreso e chiede la pace: l'Islam spinge alla guerra gratuita, si preferisce affermare.
Vediamo che il dovere del dubbio, tanto sbandierato all'inizio del documentario, viene improvvisamente meno quando si ha a che fare con le ferme convinzioni degli autori. Eppure sarebbe stato molto facile acquistare una traduzione in inglese del libro per verificare...
A seguire vengono fatte scorrere immagini di guerriglieri palestinesi, citazioni di Osama Bin Laden, immagini di imboscate in Iraq e l'autorevolissima intervista ad un parlamentare olandese islamofobo le cui opinioni sono disponibili in italiano in qualsiasi libro di Oriana Fallaci o Antonio Socci. Poi si accusa l'Islam di intolleranza parlando di Theo Van Gogh e di Salman Rushdie, di trattare male le donne per ordine diretto di Maometto e di tutte le altre storielle che si ascoltano fino alla noia in giro.
Fa quasi sorridere, infine, la scena in cui Maher, intervistando un rabbino antisionista che cerca di spiegargli la teoria dell'unico stato come soluzione per il conflitto israelo-palestinese, si alza e scappa via rifiutando qualsiasi confronto, non riuscendo a fare nulla di meglio che poi montare il pezzo con foto del rabbino in compagnia di Ahmadinejad.
Per i meno informati, preciso che Ahmadinejad, contrariamente a quanto sostengono i nostri media, non vuole lo sterminio di tutti gli ebrei, ma è solo un fautore della teoria (quasi utopia) dell'unico stato di Palestina, dove israeliani e palestinesi possano convivere in pace e con uguali diritti. Ma visto che, nonostante gli slogan sul dubbio e sul pensare con la propria testa, agli autori fa comodo alimentare gli stereotipi dello spettatore medio per portare avanti la propria tesi, allora ci tocca assistere all'ennesima strumentalizzazione dell'ignoranza popolare.
Quella che doveva essere una messa alla berlina delle religioni, così, diviene agli occhi del pubblico più informato una tragicomica rassegna di cliché e di luoghi comuni, dove la razionalità scompare a vantaggio dei collegamenti (mendaci) immediati, delle associazioni di immagini, degli spettri e delle paure collettive. Un'opera di oscurantismo, quindi, che nel suo piccolo contribuirà ad alimentare l'odio anti-islamico ed il pregiudizio.
Dubitate di chi, dicendovi quello che volete sentire, vi invita a dubitare.

martedì 9 novembre 2010

La nuova frontiera del nucleare italiano: l'archivio

Niente stanziamenti, assenza di personale specializzato, esecutivo traballante. Sono questi i tre elementi che probabilmente faranno saltare il piano di ritorno all'energia atomica su cui Berlusconi e Sajola avevano puntato tantissimo, ma che in realtà sembra destinato ad aggiungere un nuovo elemento alla lunga serie dei desiderata berlusconiani.
Per prima cosa, l'accordo con la Francia non era nemmeno classificabile come un preliminare, dato che era un semplicissimo impegno molto generico e non vincolante per l'impiego di tecnologie transalpine nei nostri ipotetici futuri cantieri. Tuttavia per la sua estrema indeterminatezza era idoneo solo a rivestire un significato politico.
Senza vincoli giuridici, il governo avrebbe dovuto occuparsi della questione rispettando solo parametri politici e, ovviamente, di bilancio. I numeri della maggioranza, però, sono sempre più incerti e, tra una defezione e l'altra, il timore di inimicarsi il proprio collegio approvando una centrale atomica nei suoi paraggi dovrebbe influenzare i parlamentari più di qualsiasi logica di coalizione. Con le camere paralizzate e le liti tra partiti sempre più frequenti, infine, è da escludersi che Berlusconi abbia voglia di impaludarsi in uno spot radioattivo.
Infine la questione dei soldi: non ci sono nemmeno per accontentare i ministeri, dice Tremonti, per cui figurarsi per inaugurare cantieri costosissimi e dalla durata aleatoria come sono quelli delle centrali atomiche. Inoltre fornire l'agenzia nucleare di nuovo personale specializzato e adeguatamente pagato sarebbe un impegno francamente eccessivo per le nostre dissestatissime finanze pubbliche.
Inesistenza di vincoli giuridici e internazionali, assenza di personale idoneo (23 anni senza centrali si fanno sentire...) e impossibilità di spesa faranno sì che la neonata agenzia guidata dal nuclearista Veronesi (sì, proprio quel Veronesi oncologo che, contro ogni statistica, diceva che i fumi di incenerimento non influenzerebbero il tasso di incidenza tumorale) sarà una scatola vuota priva di qualsiasi funzione operativa. Meglio così, forse.

domenica 7 novembre 2010

Democrazia o fascismo? Per qualcuno fa lo stesso

Il malcostume nazionale sta raggiungendo vette mai viste prima e il contagio sembra essersi esteso anche a persone che, come Morandi, apparivano essere fuori dalla mischia fino a non molto tempo fa. Che cosa avrà spinto, infatti, un cantautore di vecchissima scuola, non impegnato come un Guccini o partigiano come i Modena City Ramblers (mi si perdoni se li cito tutti di una stessa parte, ma dall'altra non vedo, o sento, equivalenti degni di nota), a voler far cantare a Sanremo Giovinezza, celeberrima canzonetta del Ventennio?
Il Fascismo ormai da anni è stato sdoganato, grazie all'impegno pluridecennale di giornalisti come Montanelli (che nella sua Storia d'Italia parla di Guerra Civile, non di Resistenza) e Pansa. Ma da questo a farlo entrare in uno degli appuntamenti televisivi tradizionalmente più popolari, ecumenici e inoffensivi ce ne dovrebbe correre.
Se gli organizzatori si fossero limitati a programmare Giovinezza, il danno sarebbe stato ancora contenuto. Ma ancora più grave è che abbiano affiancato alla canzone fascista il canto partigiano Bella Ciao, dicendo di voler unire nello spettacolo tutti gli italiani, fascisti o antifascisti che siano, senza magari ricordarsi che la nostra Italia, che è repubblicana e non repubblichina, è nata proprio dalla contrapposizione armata (la Resistenza) tra i fautori dei valori liberal-democratici e coloro che invece desideravano imporre quelli liberticidi della RSI.
Sarebbe come voler bilanciare le dichiarazioni di un mafioso con il nastro di un'intervista a Falcone o a Borsellino: il solo affiancare i due momenti significherebbe mettere sullo stesso piano il nostro Stato (l'Italia repubblicana e democratica) con i suoi nemici (il Fascismo liberticida o Cosa Nostra o che sia).
Le polemiche su Giovinezza hanno fatto mobilitare i dirigenti della Rai: la canzone non sarà cantata, assicurano, ma, per correttezza, non potrà nemmeno essere eseguita Bella Ciao per par condicio.
Esattamente come se per bilanciare la mancata lettura del Mein Kampf si annullasse pure quella della Costituzione: non esiste par condicio nei casi in cui è lo stesso fondamento del nostro convivere civile è messo in discussione, dove si può solo decidere se accettare e rifiutare quei minimi valori di libertà, uguaglianza e giustizia che sono la base portante della democrazia.
La Resistenza, periodo storico ormai bollato dalla propaganda come comunista e filosovietico, è quella di Calamandrei, del Partito d'Azione, del Comitato di Liberazione i cui partiti poi confluirono nella Costituente. Dall'altra parte, c'erano macellai come Kesselring (il comandante dell'esercito nazista in Italia), quelli della X Mas, delle SS, delle stragi e degli eccidi. Non può esistere par condicio tra loro.






Lapide ad Ignominia           (P. Calamandrei)

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

venerdì 5 novembre 2010

Ecopragmatico (con ogm e scorie radioattive al seguito)

Stewart Brand è una delle figure di spicco dell'ecologismo americano. E' visto da alcuni come un messia, da altri come un traditore della causa ambientale. Gli piace definirsi un ecopragmatico, neologismo che indica un ecologista non arroccato su posizioni ideologiche, e il suo nuovo libro, Una cura per la Terra, fa già discutere.
Nel saggio l'autore sostiene che il futuro del pianeta sarà garantito da megalopoli ad altissima densità abitativa, dagli OGM e dall'energia nucleare e su La Repubblica è apparsa un'intervista in cui ci viene data un'anticipazione molto interessante.
Sulle città sovrappopolate sembra più pragmatico un idealista come Latouche che parla di decrescita (dell'economia e della popolazione), piuttosto che un americano pragmatico che ci invita a trasferirci tutti in supercondominii da migliaia di residenti in stile giapponese, dove la spersonalizzazione è completa e finalmente l'individuo subirà una volta per tutte la trasformazione da persona a numero: se anche questo fosse un toccasana per l'ambiente, lo sarebbe maggiormente per gli strizzacervelli che vedranno aumentare esponenzialmente i pazienti che si rivolgeranno a loro per depressione.
Quanto agli OGM, più che al futuro sembrano ormai appartenere al passato della tecnologia: se ne parla da lustri, ma stanno venendo progressivamente banditi dai nostri campi e dalle nostre tavole. L'autore arriva fino a collegare gli organismi transgenici all'Africa e ignora bellamente le conseguenze disastrose che essi hanno sui paesi poveri: quelle piante sterili (le aziende non fanno mai un prodotto in grado di replicarsi) obbligano i contadini locali ad indebitarsi ogni anno con le multinazionali che producono le sementi (non hanno i soldi per pagarle subito e offrono in garanzia i frutti), in una ripetizione che non potrà mai avere fine. I risultati sono la distruzione dell'agricoltura tradizionale e la crisi irreversibile della biodiversità (l'ecopragmatico ne ha mai sentito parlare?).
Il capolavoro, però, è l'inno "ambientalista" al nucleare, agiografia ormai troppe volte sentita. Abbiamo già visto come persone che fino a due anni fa negavano i cambiamenti climatici adesso ne siano divenute i più convinti profeti visto che il terrore dei tre gradi in più sembrerebbe un ottimo incentivo alla fabbricazione di reattori. Brand, invece, fa parte della schiera di coloro che, sentendo gli argomenti dei primi, è passato dal campo antinuclearista convinto a quello radicalmente opposto.
Ci dice che le radiazioni non fanno male (Chernobyl era più che altro un'isteria collettiva, a quanto pare) e che le scorie non sono un problema, poiché la soluzione esisterebbe già (vetrificare i rifiuti; ma questo serve solo ad evitare la polverizzazione, non c'entra nulla con la radioattività in sè), che i depositi di stoccaggio starebbero già venendo fatti in Francia, Svezia e Finlandia e che stivare tutto nelle miniere di salgemma ci libererebbe per sempre del problema. Peccato che in Germania la miniera di salgemma di Asse, auspicato deposito definitivo delle scorie, sta dovendo essere sgomberata in fretta e furia perché le infiltrazioni d'acqua stanno sommergendo i fusti e il sito rischia di crollare, mentre in Francia attualmente non esiste nessun deposito permanente di scorie radioattive e i fusti sono semplicemente ammassati in container lasciati in depositi a cielo aperto. Qui si può vedere un documento (di quasi due ore) andato in onda sul tema poco tempo fa sul tema.
Ma l'ecopragmatico non deve aver avuto notizia di tutto ciò e, mentre il Portogallo produce il 60% della propria energia da fonti pulite e nel mondo il numero delle centrali nucleari è stazionario a causa dei loro costi eccessivamente antieconomici (ho già citato lo studio del MIT), lui chiede ai governi di spendere dove nessun privato investirebbe per un'energia che appartiene ormai alla preistoria delle fonti. Molto pragmatico.

giovedì 4 novembre 2010

4 Novembre 1918

Il 4 Novembre è la festa delle Forze Armate: si celebra la vittoria nella guerra del '15-'18, nota come Prima Guerra Mondiale, Grande Guerra e, da noi, come Quarta Guerra di Indipendenza. Si festeggia il fatto che la Venezia Giulia, l'Istria e il Trentino si siano uniti alla patria comune degli altri Italiani e che l'Alto Adige sia stato annesso al Regno d'Italia perché, nonostante vi si parli ancora tedesco, si trova al di qua dello spartiacque alpino.
Si festeggia la conquista di Trento a prezzo di decine di migliaia di morti, quando la città ci era stata offerte per ben due volte in passato dall'Austria e noi l'avevamo rifiutata perché non ci bastava. Si festeggia la conquista di Gorizia costata centinaia di migliaia di morti, quando anche questa città ci era stata offerta in passato dall'Austria. Si festeggia per Trieste e per l'Istria, anch'esse conquistate con un immenso sacrificio umano, ma che pure ci erano state offerte dall'Austria in passato. Si festeggia l'annessione dell'Alto Adige, provincia austriaca per lingua e cultura, ma che l'Italia ha annesso a prezzo di migliaia e migliaia di morti.
Ma il 4 Novembre non si festeggia soltanto. Il 4 Novembre si ricorda anche il fallimento delle aspirazioni su Fiume e sulla Dalmazia che, nonostante fossero state promesse a noi, sono poi state date alla Iugoslavia dai nostri alleati. Si ricorda la Vittoria Mutilata che la dea Guerra ci aveva concesso in cambio di più di seicentomila sacrificati. Si ricorda quella pace che non andò bene a nessuno tra vincitori e sconfitti, che doveva distribuire ai primi un poco dei resti dell'Europa devastata, strappandoli ai secondi che ormai non avevano più voce in capitolo.
Il 4 Novembre si ricordano anche quei vent'anni che seguirono di fascismi e revanscismi, invidie e vendette. Si ricorda quell'altra guerra, ancora più Grande della prima, che avrebbe dovuto regolare tutti i conti lasciati in sospeso o aperti dalla tregua intermedia.
Il 4 Novembre è una festa in cui c'è poco da festeggiare.

Francia e Italia nazioni sorelle? Forse sì

Presidenti coinvolti in casi di corruzione, potere personalistico, populismo, strane frequentazioni, xenofobia, leggi efferate sull'immigrazione, richiami da parte dell'Unione europea, gigionismo internazionale e presunto utilizzo dei servizi segreti dello Stato contro gli oppositori. E questa volta non si parla del nostro premier Silvio Cesare Berlusconi.
Sarkozy è riuscito in pochi anni ad apprendere la lezione italiana e, giovandosi della rovina del suo diretto rivale de Villepin, ha prima ottenuto il controllo della destra francese e poi dell'Eliseo. Da quel momento in poi ha portato avanti la sua crociata personale contro gli stranieri (anche di seconda generazione) cavalcando la xenofobia e l'islamofobia in esponenziale aumento, con slogan simil-leghisti su sicurezza, terrorismo (da notare che la Francia non ha subito attentati) e difesa dei posti di lavoro minacciati dall'invasione straniera. Dopo i musulmani è toccato agli zingari, espulsi in massa dal paese con una metodicità che non si vedeva da decenni in Europa, per la quale il Parlamento dell'Unione ha richiamato ufficialmente la repubblica transalpina.
Adesso il giornale satirico Le Canard Enchainé ha rivelato indiscrezioni secondo le quali i servizi segreti avrebbero tenuto sotto controllo la stampa per "ridimensionare" (usando le parole di Henri Guaino, consigliere presidenziale) i giornalisti, sollevando un polverone sul governo.
Il direttore sostiene che le fonti del giornale sono buone e che non si può avanzare un'accusa del genere senza sostanza. L'Eliseo impacciatamente smentisce ("la DCRI - il servizio segreto interno, ndr - non è la Stasi o il Kgb") e pretende di conoscere le fonti dell'inchiesta (il problema è sempre chi parla, mai chi fa), mentre il Parlamento ha chiesto l'audizione dei due direttori dei servizi per avere le spiegazioni del caso. Uno dei due, Bernard Squarcini, ha minacciato (ma non eseguito) una denuncia per diffamazione.
Squarcini nega la responsabilità di Sarkozy e accusa il capo della polizia di aver fatto tutto da solo, commissionando l'operazione di spionaggio. Sostiene che oggetto dell'attività di spionaggio non erano i giornalisti e i direttori, ma le loro fonti all'interno della Pubblica Amministrazione.
Non resta che misurare il livello di italianizzazione della Francia sulla base di quanto questi continui scandali influiranno sulla tenuta del Presidente. Nel caso in cui nemmeno adesso si deciderà di dare le dimissioni, allora il nostro rapporto di parentela stretta coi francesi potrà anche essere ufficializzato: il berlusconismo, questo sistema di leadership basato sul potere di uno, sul menefreghismo per le regole democratiche e sul populismo xenofobo, si è diffuso anche oltralpe.