martedì 5 luglio 2011

Il paradigma islandese

L'Islanda è sempre stato un paese marginale, sempre escluso dal grande palcoscenico europeo e ignorato dall'opinione pubblica occidentale. L'isola atlantica, conosciuta dai più solo per i geyser e per le saghe, è stata invece protagonista negli ultimi due anni di una storia (quasi tutta islandese) che nelle nostre TV non è stata raccontata, ma a cui molti sulla rete guardano con ammirazione.
Qui si trova una breve sintesi della vicenda.

Personalmente, considero questo episodio come paradigmatico della perdita di responsabilità delle società civili democratiche occidentali.
In parole povere, i governi eletti dai cittadini islandesi, col pieno sostegno dei cittadini islandesi, hanno scialato le risorse pubbliche e si sono indebitati fino al collo pur di non costringere i cittadini islandesi a pagare più tasse o a rinunciare a qualche servizio: si è fatto esattamente ciò che fece Craxi da noi in Italia, cioè garantire il bengodi a debito, fino ad esaurimento.
Poi è arrivata la crisi, il sistema che piaceva tantissimo agli islandesi ha fatto crack ed il governo si è trovato inseguito dai creditori. Qualunque lettore di questo blog, in questi casi, sarebbe costretto a pagare fino all'ultimo centesimo perché si troverebbe gli ufficiali giudiziari a casa per il pignoramento. Ma gli islandesi, con proteste di piazza, hanno costretto alle dimissioni il governo che fino a pochi mesi prima incensavano per le sue politiche suicide, costringendo il nuovo esecutivo a non pagare i debiti e dichiarare bancarotta, ovvero fallimento di Stato.
Io sono un convinto democratico e credo che i popoli abbiano il diritto di governarsi da soli. "Honor onus", dicevano i latini, un potere è un onere: se si elegge il proprio governo, allora si è responsabili per ciò che fa tale governo. Gli islandesi hanno portato all'esasperazione l'infantilità che purtroppo sempre di più flagella le nostre società e si sono rifiutati di pagare il disastro che i loro rappresentanti hanno combinato.
Problema delle banche? Non solo, ma anche di qualsiasi governo che verrà, visto che uno Stato irresponsabile fa molta fatica a trovare credito a buon mercato. Gli islandesi, da domani, pagheranno tassi di interesse stratosferici per i loro titoli e dovranno sottrarre risorse pubbliche a servizi e investimenti.
Naturalmente auguro loro che si riescano a trovare soluzioni alternative, ma i precedenti storici non lasciano ben sperare. Sembra di essere in una sorta di Spagna seicentesca, dove si vive sopra le proprie possibilità, si combattono guerre globali a debito e si confida in una prosperità che si rivela ogni anno più precaria.
Anche questo ci insegna la vicenda islandese, un monumento a questo nostro Occidente sempre più scriteriato. Temo che, più di censura, si debba parlare di autorimozione, sia da parte del mainstream (che tace), sia da parte di coloro che invece cercano laggiù un modello da imitare.

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