mercoledì 20 ottobre 2010

Buoni, cattivi e cattivelli nell'Afganistan occupato

Il New York Times riferisce di trattative segrete tra il governo afgano di Karzai e gruppi di Talebani disposti a negoziare per il rientro nella legalità, mediante contatti con leader locali affidabili. Naturalmente il nostro ministro degli esteri Frattini non può perdere l'occasione per ripete una delle tante frasi fatte del repertorio della diplomazia italiana buonista e politicamente corretta: i gruppi con cui sono in corso i negoziati sono tutti slegati da Al Qaida e le trattative non sono segrete, ma assomiglierebbero molto a delle rese incondizionate allo status quo che è garantito (militarmente, si dovrebbe aggiungere) dalla coalizione occidentale a guida USA e di cui l'Italia fa parte.
Si ripete, così, l'ennesima pantomima in cui ci sarebbe una Spectre mondiale del terrorismo, chiamata Al Qaida e guidata da Bin Laden, a cui i Talebani del mullah Omar sarebbero affiliati. Quindi i sei miliardi e mezzo di abitanti del globo si dividerebbero tra gli amici e sostenitori dei terroristi, gruppo compatto e monolitico in guerra contro di noi e contro la nostra civiltà, ed invece i buoni (commovente la figura dell'arabo buono, che ha abbandonato il tritolo in favore del kebab) che sono nostri amici e alleati. I guerriglieri afgani, essendo contro di noi, sono per questa stessa ragione affiliati ad Al Qaida e dunque immediatamente cattivi, amici dei terroristi; mentre il governo Karzai, imposto dalle nostre truppe, è buono e democratico perché ci aiuta.
Ovviamente la maggior parte degli afgani non sa nulla né dell'undici settembre 2001, né di Al Qaida, né di reti terroristiche mondiali. Lo stesso vale per i guerriglieri locali che stanno dando filo da torcere ai nostri soldati (e in generale alla più potente macchina militare del mondo) laggiù, visto che la loro realtà si limita alla valle dove sono nati e cresciuti e, se sono particolarmente informati, si estende al Pakistan e a qualche paese limitrofo. Dunque l'idea di una rete mondiale del terrore e di una regia unica dietro a tutti gli attacchi all'Occidente fa solo parte delle paranoie della nostra società, quotidianamente foraggiate dalla nostra stampa che non deve dire le cose come stanno, ma deve dare confortare e confermare le idee che sono già presenti nelle menti dei suoi lettori.
Ma come mantenere intatta la nostra visione di scontro tra civiltà se un gruppo di cattivi e un gruppo di buoni dialogano tra loro? Nel caso di specie, come giustificare la trattativa tra dei Talebani (il nemico numero uno, dopo Bin Laden) e il "nostro" governo di Karzai? Chiaramente o si sostiene che Karzai, buono, è sul punto di voltarci le spalle e disertare il nostro fronte, oppure si fa finta che quei cattivi che trattano siano non proprio cattivi cattivi, ma cattivelli, recuperabili perché non membri a pieno titolo della Lega del Male, Al Qaida.
Al Qaida è solo un marchio, si sa, un nome-ombrello sotto il quale una galassia di gruppuscoli improvvisati e indipendenti si fa il proprio jihad casareccio. Ma la verità non è importante: ciò che conta è la rappresentazione della verità, la trasformazione di questo pulviscolo diffuso in un unico organismo di cui, colpita la presunta testa, ci si illude di poter uccidere l'intero sconfiggendo il nemico.
Lo stesso ragionamento lo si può ripetere allo stesso modo circa il termine Talebani: è un'etichetta che si affibbia a tutti i gruppi di guerriglia o di terrorismo nemici delle truppe della coalizione e del governo afgano, senza che magari i loro aderenti si denominino in tal modo. Ma dato che i Talebani sono amici o addirittura parte di Al Qaida, usare questa parola aiuta a demarcare meglio i confini tra l'alleanza del Bene e l'Impero del Male. Sempre, ovviamente, che dei lontani abitanti dell'Asia centrale, ignari di questo nostro modo di pensare, non si mettano a sparigliare la partita.

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