Le Nazioni Unite lanciano l'allarme per la situazione dei cittadini arabi di Israele, affermando che questa minoranza (1 200 000 persone) starebbe subendo da anni le discriminazioni operate dalle autorità locali e che non ci sarebbe nessun interesse da parte israeliana alla correzione di questo vulnus democratico. Altre fonti confermano che i residenti palestinesi sono vittime di ogni forma di angheria (anche subdola) da parte dei pubblici poteri. Il fine di tutto ciò sarebbe convincerli all'abbandono del territorio dove sono nati e cresciuti, per lasciar spazio unicamente ai cittadini di religione ebraica.
I rappresentanti della comunità araba denunciano inchieste indiscriminate contro i loro parlamentari, la presenza di una legislazione sui ricongiungimenti penalizzante per chi ha la famiglia nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania e la scelta del criterio della prestazione del servizio militare per la concessione di benefici economici e sociali.
Tutto questo finirebbe per determinare la confessionalizzazione di Israele, paese in mano ad un'estrema destra religiosa che è impregnata di fanatismo e che, considerando la terra tra il Mediterraneo e il Giordano come sacra sulla base di suggestioni bibliche, pretende il dominio totale di essa da parte degli ebrei israeliani. Ciò dà giustificazione alla mancata proroga della moratoria sugli insediamenti (sono in programma 2000 nuovi edifici nei territori palestinesi occupati) e alla rigidità nel processo di pace.
Il premier Netanyahu ha perfino dichiarato che condizione per la fine delle ostilità è il riconoscimento dell'esistenza della controparte come Stato ebraico. L'affermazione di tale principio comporterebbe da un lato la negazione in via definitiva del rientro dei profughi (che sarebbero costretti a rinunciare per sempre alle loro vecchie terre, oggi occupate dagli israeliani), dall'altro potrebbe far pensare che gli arabi israeliani, di religione musulmana e cristiana, diventeranno cittadini di serie B di una nazione dove il culto ufficiale sarebbe quello ebraico.
E' chiaro che una scelta del genere sarebbe non solo la negazione della storia di quel paese, ma contraddirebbe perfino lo spirito con cui i primi coloni fondarono quella nuova patria dove si sarebbe dovuto poter trovare rifugio da un'Europa che nel corso dei secoli aveva da sempre negato il diritto di essere diversi, perseguitando i fedeli dell'ebraismo in quanto non assimilati nella società cristiana. Dovrebbero essere dunque gli amici di Israele, per primi, a denunciare questa mutazione genetica, questa perversione di quel quasi isolato esperimento democratico mediorientale, nonché della cultura occidentale che gli intellettuali di Israele, un pezzo di nostro mondo trapiantato altrove, hanno coltivato per decenni nella sua versione migliore.
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