venerdì 13 agosto 2010

L'età per la comunione

Nella Chiesa si è aperto il dibattito sull’età della Prima Comunione, all’epoca di Pio X fissata intorno ai sette anni, età che poi, spesso e volentieri, si è alzata nella prassi delle parrocchie, vuoi per carenza di bambini, vuoi perché i parroci ritengono che per un Sacramento così importante serva almeno l’aver raggiunto l’età della ragione, anche perché prima della comunione c’è la confessione e un bambino troppo piccolo, che non ha ben chiara la distinzione tra bene e male, rischia di essere soprattutto inadatto a questo secondo sacramento. Così ci sono cattolici dalla nascita come chi scrive che la prima comunione l’hanno ricevuta a dieci anni, invece che a sette come sarebbe consigliato.
Il cardinal Canizares ha di recente lanciato l’idea di un abbassamento di quest’età prescritta, suscitando reazioni molto diversificate tra loro. Il suo ragionamento si basa su due presupposti, il primo è che la comunione la si debba ricevere una volta raggiunta l’età adatta a comprenderla, la seconda è che il sacramento sarebbe utilissimo a immettere un po’ di Cristianesimo nella vita odierna dei più piccoli, esposti unicamente alle idee contemporanee del relativismo e del consumismo. Si dice, infatti, che i bambini di oggi sarebbero più precoci di quelli di ieri e in grado già molto prima di comprendere la valenza di ciò che vivono.
Si tralascerà il ritornello della lotta al relativismo, visto che ha già fatto scrivere a sufficienza, mentre è interessante questa percezione della comunione come una diga a difesa della cristianità dei più piccoli, vedendo nella ritualità e nel simbolo la forza in grado di attirare le coscienze, oltre al confidare nella potenza spirituale dell’ostia consacrata. Una posizione che sa a molti, non a torto, di poco realista.
Prima di tutto, confidare nella forza dell’Eucarestia è abbastanza puerile e anche paganeggiante: non è nell’oggetto, teologicamente, il potere salvifico, ma è in ciò che l’oggetto commemora e ricorda, simboleggiandolo (nel senso letterale del termine, ovvero facendo da calco). Quindi se si crede che in una mente dominata da tutti altri pensieri basti un’ostia consacrata per provocare conversioni miracolose, allora tanto vale ricorrere all’aiuto di Wanna Marchi e del suo sale.
In secondo luogo, la precocità dei bambini di oggi è tutta da dimostrare. Perché una persona di sei anni di adesso sarebbe più in grado di comprendere la comunione di una di cento anni fa? Forse si tratta di una miopia dovuta alla maggiore esposizione dei più piccoli oggi alle nuove tecnologie, che richiedono grandi riflessi e velocità nelle scelte, ma che dall’altro lato inibiscono le capacità riflessive e contemplative, tanto è vero che uno dei maggiori problemi negli scolari è il deficit di attenzione, che impedisce loro di stare concentrati molto e per molto tempo, essendo invece abituati ai tempi televisivi o dei computer. Ma forse sono proprio le capacità ora in declino ad essere quelle che servono per comprendere la comunione, che è un momento di raccoglimento e di contemplazione, non uno spot pubblicitario o un menù a tendina.
Infine c’è un terzo motivo, molto più pragmatico e opportunista, per dubitare della bontà della scelta: l’unica esposizione dei bambini alle idee cristiane, ormai, è il catechismo. Viviamo, infatti, in una società profondamente secolarizzata che non ritiene nemmeno più la fede un fatto domestico, ma proprio la relega all’intimità dell’anima. Non mancano certo i proclami televisivi delle gerarchie ecclesiastiche che, anzi, appaiono ogni giorno di più sul video di cui monopolizzano di fato gli spazi, ma, a guardare bene, ciò che loro fanno e affermano quando sono sullo schermo non è lontanamente definibile prova di fede. Perlopiù, infatti, fanno considerazioni politiche, su quali leggi sono da votare e quali no, oppure stanno lì a denunciare il laicismo e il relativismo, la crisi del Cristianesimo in Europa, la secolarizzazione e tutto il resto. Se parlano di idee, lo fanno per bocca di ateo-clericali che sono fermamente convinti che il nucleo della fede cattolica siano le questioni dell’omosessualità e del fine-vita, mascherando scelte dogmatiche con presunte basi (ir)razionali. Ciò che non esiste, invece, è il messaggio cristiano vero, annegato tra la TV commerciale e lo shopping.
Desiderio della Chiesa, dunque, dovrebbe essere il prolungamento della catechesi ben oltre i termini attualmente in uso(si sa, dopo la Cresima tutti spariscono dalla parrocchia…), dunque alzando l'età dei sacramenti e costringendo chi davvero ci tiene a qualche anno in più di formazione (magari più seria dell'attuale) per far diventare davvero il Cristianesimo un’idea circolante nella società. Purtroppo, però, questo non piace e, anzi, sembra temuto, forse perché si ha paura che, una volta che essere cattolici sarà divenuto finalmente un contenuto e non un’etichetta vuota all’interno, allora forse la pura statistica comincerà ad essere meno generosa verso la Chiesa Cattolica, che perderà in quantità ciò che avrà guadagnato in qualità. Sarà più complicato per i prelati andare insieme agli atei-devoti, gente come Marcello Pera che afferma chiaramente che il Cristianesimo, per lui, è solo una bugia ottima per dare alle masse un’identità e dominarle.
Ma quella che porta alla salvezza è la via larga o la porta stretta?

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