mercoledì 4 agosto 2010

Morire per un albero

Un albero del Libano meridionale aveva un problema di fondo: era cresciuto inclinato verso mezzogiorno. Difetto comune a molte piante, questo (si chiama eliotropismo: i vegetali sono attratti dal sole), ma che non crea poi troppi problemi agli uomini. O, meglio, non ne crea quando l'albero non si trova sulla linea di confine tra due paesi tra cui regna una fragile pace, mantenuta puramente dalla presenza di una forza di interposizione delle Nazioni Unite, l'Unifil.
E così nella giornata di ieri un gruppo di soldati israeliani si era messo a segare via quell'albero, denunciato come un intralcio alla visuale del territorio dello Stato vicino da parte di telecamere di sicurezza. Tuttavia la mancanza di coordinamento tra i vari comandi militari, l'inettitudine (grave, visto ciò che ha portato) dell'Unifil e il clima tesisssimo tra le due nazioni ha spinto una pattuglia dell'esercito libanese, dopo aver sospettato uno sconfinamento, a intimare la ritirata e, dato il diniego degli altri, dare il via ad un conflitto a fuoco di quattro ore conclusosi col tragico bilancio di quattro vittime tra le parti ed il solito "danno collaterale", un giornalista morto nel bel mezzo della sparatoria.
Ovviamente Israele e Libano, come si fa sempre, hanno dato versioni diverse sulle dinamiche dei fatti, anche profondamente diverse nei dettagli. La principale, ma non unica, differenza era la dislocazione esatta dell'albero: la sua inclinazione lo poneva in zona di competenza israeliana o libanese? Nella giornata odierna l'Unifil ha affermato che l'albero era molto inclinato a sud e quindi l'operazione di abbattimento (poi regolarmente avvenuta) era legittima e inclusa nelle attività di "manutenzione del confine" messe in agenda da Tsahal (l'esercito di Israele).
Subito gli analisti e gli pseudoanalisti si sono messi a speculare sull'incidente di cui in realtà non si sa molto. Il TG1 (che ci ostiniamo a definire telegiornale, nonostante tutto) subito trasforma il comunicato dell'Unifil in cui si dichiara la posizione dell'albero in una sottoscrizione dei rapporti più spinti degli israeliani (ovvero non quelli poi accolti dal governo, che vuole mantenersi diplomatico, non scatenare una guerra): la sparatoria per una controversia così ridicola è diventato un agguato messo all'opera da cecchini libanesi, con l'esercito del Paese dei Cedri che, armato follemente dagli occidentali, adesso non combatte, come avrebbe dovuto, Hezbollah, ma fa il suo gioco. Analisi che fa ridere i polli e fa venir voglia di smettere di pagare il canone Rai, dato che in Libano tutti i partiti hanno la propri milizia e attaccare un movimento politico nel suo braccio armato vuol dire innescare una guerra civile. Inoltre sarebbe carino sapere che ci avrebbe guadagnato il comando libanese a schierare i suoi cecchini contro dei soldati che stavano svolgendo mansioni da giardinieri, quando anche il governo di Beirut in queste ore sta seguendo la strategia della diplomazia, non della corsa al conflitto.
Altri (Il Giornale, per esempio, altro pseudo notiziario) avanzano l'idea di un tentativo di Hezbollah, tramite apparati dello Stato libanese, di sabotare la fragile tregua tra i due paesi per salvare i propri dirigenti dall'arresto per l'omicidio di Hariri. Altra farneticazione degna della sua fonte, dato che un partito politico che dall'ostracismo è riuscito a passare al governo avrebbe ben poco interesse, adesso, a giocarsi il tutto e per tutto in una guerra totale contro lo strapotente vicino israeliano, tutto per il bene di quattro suoi vertici che, proprio per come è fatta la democrazia di Beirut e per come è attenta a mantenere il fragile equilibrio tra le forze in campo, probabilmente la faranno franca comunque.
Non sfiora nessuno, forse, l'idea più semplcie, ovvero che tutto sia stato semplicemente un incidente, ma un incidente annunciato e quasi inevitabile allo stato attuale.
Chi semina vento raccoglie tempesta, si dice, e certamente lo stato di tensione tra Libano e Israele, rafforzato dall'oltranzismo del nuovo governo israeliano, non poteva che generare un uragano di odii ed attriti tra le due nazioni, soprattuto tra le opinioni pubbliche.
Va aggiunto anche che gli incidenti sui confini tra nazioni ai ferri corti sono sempre molto frequenti e, per evitarli, esiste appunto l'istituto delle forze di interposizione. Si tratta di soldati neutrali che, a cavallo del confine, garantiscono che gli ex belligeranti non si scontrino tra loro e non ci siano sconfinamenti o conflitti per le zone contese. Ma nel caso di specie la forza di interposizione non è stata schierata sul confine, in modo da tenere lontane le due parti da esso ed evitare incidenti, ma unicamente da un lato del confine, quello libanese, rimanendo così nell'impossibilità di controllare i movimenti delle unità israeliane e di scortarle quando si avvenutrano nelle zone 'calde'. Ora come ora, invece, i caschi blu possono unicamente gironzolare per il Libano meridionale senza in alcun modo venire in contatto, se non telefonico, con uno dei due ex belligeranti.
Sarebbe bastato, quindi, che Israele accogliesse i caschi blu in una strisciolina di cento o duecento metri di larghezza per evitare questo inutile scontro e garantire la sicurezza da qualsiasi incidente. Ma si sa, Israele non rinuncia nemmeno ad un palmo di terra, neppure per salvare le vite della propria gente: il nazionalismo trasforma sempre gli uomini in pedine sacrificabili per un fantomatico bene patrio.

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