L'Eritrea è uno dei tantissimi paesi africani governati da giunte militari impegnate a spartire tra i propri gerarchi gli aiuti umanitari dei paesi ricchi, senza alcuna cura per il resto della popolazione, costretto a vivere nella miseria e nelle vessazioni. In particolare, il servizio militare, ovvero lo strumento che tiene in piedi il sistema di potere militarista eritreo, è a chiamata e a tempo indeterminato. Il governo, dunque, con la scusa della vicina minaccia etiope (l'Eritrea si è separata dall'Etiopia nel 1992 a prezzo di una durissima guerra), si arroga il diritto di reclutare interi strati della popolazione maschile (ma non solo) e di mantenerli in servizio per decenni in condizioni precarie e con una paga misera. Tutti i ragazzi sono costretti, nell'ultimo anno di studio, a sottoporsi all'addestramento bellico.
Così chi può si imbosca e fugge dal paese, percorrendo i cosiddetti itinerari della speranza verso i paesi mediterranei dell'Africa e, di lì, tentando la traversata verso l'Europa, dove si richiede asilo. La via parte dall'Eritrea e, attraversando in diagonale il Sahara (per Sudan e Libia) giunge sulla costa libica dove, spesso ipotecando il proprio futuro, gli esuli cercano di imbarcarsi per l'Italia. Lì sperano di vedersi riconosciuta quella prerogativa che la nostra costituzione sembra così generosamente promettere a tutti coloro che non godono delle libertà civili e politiche italiane: l'ospitalità garantita. Prerogativa che, tuttavia, in nome della necessità di regolare il flusso migratorio, è adeguatamente bilanciata in una politica stringente in fatto di visti.
Gli accordi del governo italiano con la Libia, inoltre, sono tesi a impedire perfino l'arrivo del rifugiato nel nostro territorio ed impedire di fatto perfino l'astratta richiesta di asilo politico. Dunque, se il rifugiato giunge in Italia, è spedito in Libia con un processo sommario, se invece è intercettato in mare dai radar, allora sono le autorità libiche stesse ad interrompere la sua traversata per scortarlo a Misurata, a un centro di detenzione.
Lì i secondini sottopongono l'esule a torture di ogni genere per costringerlo a firmare il foglio di rimpatrio, con percosse e reclusione in spazi ristretti, senza cibo per giorni e acqua centellinata. I servizio igienici non esistono.
E' giunta oggi in Italia la voce che una fuga di notizie da uno di questi centri ci conferma queste che a lungo erano stati semplici sospetti: 250 eritrei che sfuggivano dalla situazione descritta ora sono trattenuti in queste condizioni perché autorizzino il rimpatrio verso un paese che, al ritorno, li condannerà a morte per diserzione.
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