mercoledì 21 luglio 2010

Un'etica fondata sulla ragione (III parte)

Senza una valida base su cui fondare i nostri postulati da cui, con metodo razionale, ricaveremo la nostra etica fondata sulla ragione, il terreno sembra mancarci da sotto i piedi. Bene e male diventano relativi, se non esiste nessun criterio di discernimento che ci permette a pelle di distinguerli in senso assoluto, se tutto viene lasciato alla contingenza del momento e del luogo. Il nichilismo è a un passo, in questo modo.
Sarebbe forse necessario scegliere un sistema di riferimento tra i tanti, quello che ci piace di più, che consideriamo più congeniale alle nostre esigenze, ma anche così come faremo a stabilire quale tra i tanti effettivamente merita di essere scelto? Con una votazione democratica a maggioranza? Oppure, come fanno i costituzionalismi, ricavando dall'accordo di tutte (o quasi) le forze in gioco una serie di principi cardine immutabili e poi lasciando alla dialettica delle maggioranze il resto? Forse potrebbe essere questa l'unica strada per un'etica condivisa, anche se così davvero l'etica si confonderà con la legge e l'unico schermo che ci separerà dal volontarismo dei totalitarismi saranno quei principi immutabili posti a incorniciare la società.
Forse sarà questa la soluzione, ma allora sarà una soluzione in cui l'unica ragione che servirà sarà quella del principio di non contraddizione tra i vari livelli etici. Ci sarà il primo livello che sarà quello delle facoltà, ovvero le asserzioni non tutelate da norme statali, poi ci sarà quello delle norme etiche demandate alla dialettica delle maggioranze e infine, al vertice, ci saranno le norme sottratte al gioco delle maggioranze. Così che nulla del livello inferiore potrà confliggere con ciò che è sopra di esso.
Ma è una base etica, questa, o piuttosto un compromesso che, privo di qualsiasi rapporto col tessuto sociale, ha bisogno di leggi e coercizioni per tenersi in piedi? E può reggersi davvero in piedi un sistema che si regge solo sulla coercizione e non sulla condivisione?
C'è chi ha sostenuto una via di fuga molto particolare, un misto di ipocrisia e di opportunismo che a qualcuno potrebbe risultare blasfemo (tra chi è religioso), mentre ad altri è piaciuto molto per gli scenari che apre (e mi riferisco alle alte gerarchie ecclesiastiche): l'accettazione ipocrita di una religione non condivisa per ricavare da essa la base di tutti i valori che ci servono, contro il relativismo e il nichilismo. Ma si tratta, ovviamente, di una soluzione opposta a quella che noi cerchiamo, ovvero all'etica fondata sulla ragione. Sarebbe un'etica fondata sull'imposizione e sulla finzione.
E allora, oltre al nichilismo, ci resta qualcosa oltre all'alternativa relativista, ovvero permettere a tutte le opzioni etico-culturali di confrontarsi, di mescolarsi e di contrapporsi per giungere, con la dialettica ed il dialogo, ad un compromesso di volta in volta valido per tutti? E' dura, ma forse è l'unica alternativa all'etica religiosa.

Le puntate precedenti:
Introduzione
Parte prima
Parte seconda

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