Dunque due sono le vie etiche possibili una volta rifiutata la presenza di Dio, oppure una volta che si è stabilito che il divino non debba essere usato come fondamento dei nostri codici comportamentali. La prima via prevede il rifiuto dell'etica e la riduzione del comportamento all'edonismo. Tale è la via di Epicuro e di Nietzsche, dove, con risultati diversi, si enuncia che il problema morale non deve essere posto all'individuo, che invece deve mirare sempre e solo al proprio benessere e alla propria realizzazione. Tuttavia mentre in Epicuro amicizia, bontà e compassione sono chiavi per lo stare in pace con se stessi e raggiungere il piacere, per Nietzsche nulla deve frapporsi tra l'individuo e la sua volontà di potenza, in un trionfo senza freni della volontà individuale e la riconfigurazione di quello che ho già avuto modo di definire qui come il tentativo di autodivinizzazione a scapito dei nostri simili. Chiaramente questo punto di vista finisce per relegare alla buona volontà del soggetto il compimento o meno del bene e l'adeguamento o meno ad un certo codice comportamentale che sia garante delle esigenze e dei bisogni altrui.
Dunque sarebbe da preferire il secondo filone di pensiero, che invece desidera salvare l'etica e, conscio del fallimento degli ideali giusnaturalisti classici, dello stato etico e del volontarismo della sovranità, prova a porsi nuovi postulati da cui ripartire, nuove premesse su cui costruire il discorso morale. Ma che postulati possiamo porci per fondare questa nuova etica razionale?
La prima tentazione è quella giusnaturalista. Il bene e il male sono in qualche modo due concetti naturali, insiti nella natura stessa della mente umana, dell'uomo come animale sociale che deve mediare il proprio istinto alla sopravvivenza e all'autorealizzazione con l'istinto di aggregazione in formazioni sociali stabili. Da qui nasce l'esigenza di stabilire cosa è bene e cosa è male, dato che ciò che fa piacere a noi sappiamo bene che non fa piacere agli altri. Dunque sorgono i primi tabù, come il divieto di uccidere i membri della comunità, il divieto di derubarli, il divieto di nascondere loro la verità, eccetera. Quest'istinto, antico come l'uomo, è l'origine del nostro agire morale. Ma basta per la fondazione di un'etica razionale? E' molto difficile da afermare: stiamo parlando di regole che valgono in una ristrettissima comunità, fondate sulla dicotomia noi-loro che esclude la maggior parte degli individui dal godimento delle tutele prescritte. Inoltre nulla assicura che il bene per un individuo sia contemporaneamente il bene di un altro, visto che un'azione che ad una persona fa piacere può essere odiosa per un altra.
Che il giusnaturalismo sia un ottimo schermo difensivo per l'etica, questo è palese e lampante, tanto che anche l'etica religiosa tenta sempre di illustrare i propri precetti come naturali e immediati, ma da qui ad affermare che questo rispecchierebbe la realtà delle cose, ce ne corre. Infatti ciò non spiegherebbe le grandissime differenze tra le etiche dei vari popoli, tra le loro leggi e tra le loro concezioni della giustizia. Differenze che non siamo certo noi i primi a notare, ma che erano lampanti anche per gli antichi Greci. Dunque la natura da sola non basta a fondare un'etica.
E' normale sentirsi obiettare a questa affermazione che comunque è individuabile un'evoluzione nelle concezioni morali dell'uomo e che dunque esistono comunque dei punti cruciali, dei momenti-spartiacque, che non permettono un ritorno sui nostri passi: l'uomo cresce, le idee circolano e si sta delineando una chiara direzione del pensiero. Dunque sulla base di questo percorso dell'umanità e sulla base della ragione a tutti comune, allora è possibile fondare un'etica comune a tutti gli uomini ragionevoli (usando l'espressione di Rawls). Ma cosa si intende per "uomini ragionevoli"?
Ragionevole è una parola apparentemente neutrale, ma che in realtà nasconde in sé una marcatissima impronta ideologica. Ragionevole e razionale, infatti, furono i due termini usati dagli europei per demarcare la propria differenza con gli altri popoli del mondo, giudicati irrazionali e inferiori, così diversi dai bianchi superiori e caricati del famoso fardello che li vuole conquistatori e civilizzatori del mondo. Dunque nascerebbe una religione della ragione, per la quale i popoli subirebbero una spaccatura tra ragionevoli e irragionevoli, come anche all'interno dei singoli popoli troveremmo una distinzione tra gli individui razionali e quelli irrazionali, dove i primi si ritroverebbero "sobbarcati" del fardello della guida dei secondi. Avremmo dunque un'etica pseudo-religiosa che assume in sé il peggio delle etiche religiose (che finiscono sempre per dividere gli uomini in due categorie, fedeli-infedeli, ragionevoli-irragionevoli), senza accogliere gli aspetti positivi di alcune di esse (come la fratellanza universale).
E' possibile, dunque, avere un'etica razionale non fondata sulla "natura", ma solo sulla ragione stessa?
Nessun commento:
Posta un commento