mercoledì 22 settembre 2010

Ancora su cultura ed erudizione: Odifreddi, e la letteratura

Odifreddi, nel blog tenuto sul sito di La Repubblica, prende una singolare posizione sulla letteratura, almeno apparentemente in contrasto con gran parte della sua precedente attività (cercate qui e troverete molti commenti a scrittori), visto che il matematico è più noto per le prese di posizione in campo letterario e religioso che per la sua attività di docente.
Personalmente, non ho nulla in contrario alla completezza dell'intellettuale e Odifreddi, sebbene mi trovi in rotta di collisione col suo pensiero, lo reputo un intellettuale completo, supportato da una solida padronanza delle culture umanistica e scientifica. E fin qui, tutto bene.
Va molto meno bene, però, quando Odifreddi, nello scritto in questione, si dimentica di tutta questa sua attività pregressa e dichiara, tranchant: "a me sembra che gli umanisti non si rendano conto che buona parte della letteratura è solo divertimento e svago, appunto come i centri commerciali e i reality. Ora, lo svago è sacrosanto, ma se lo può permettere solo chi ha tempo da perdere. Non un Newton, ad esempio, che andò una sola volta a teatro, e scappò prima della fine. Non un Darwin, che trovava Shakespeare «cosí insopportabilmente pesante da trarne disgusto». Non i molti premi Nobel o medaglie Fields, che ho sentito con le mie orecchie affermare di non avere interesse a leggere «storie inventate»"¹.
Dunque, in parole povere, per il matematico la letteratura è semplice divertimento, il regno dell'inutile buono solo per chi ha tanto tempo da perdere, certamente non per le persone seriamente impegnate in quelli che Odifreddi, in un altro suo articolo, aveva definito "i veri miracoli". Finisce per porre questa sua affermazione come un corollario al mio precedente post sullo scollamento tra cultura ed erudizione nella società attuale.
La pertinenza non potrebbe essere più evidente, considerato che il matematico scrive in risposta ad uno scambio tra Scalfari e Baricco sui "nuovi barbari", ovvero sui portatori di una civiltà nuova che si impone spazzando via le ceneri di quella vecchia: Google, la tecnologia touch, Wikipedia e tutto il resto mettono in crisi il mondo dei mezzi di comunicazione precedenti, come la stampa mandò in pensione il manoscritto.
Non si può negare, però, che è da più di un secolo che si sta predicando il mondo nuovo e sempre lo si sta facendo mettendo in relazione le novità del decennio in corso con la realtà degli anni immediatamente precedenti. Salvo a volte far riferimento ad un non meglio determinato passato che raccoglie in sé vizi e virtù di epoche variegate se non diversissime tra loro.
In realtà oggi non forse ha più senso cercare i barbari. Le frontiere dell'Impero sono crollate e tutti ci siamo trasformati nel barbaro che distrugge i barbarismi altrui, nell'assenza di una cultura comune che possa sintetizzare in sé il pensiero di tutti. E' barbaro, dunque, il comunista, come il liberale, come il fascista, come il leghista. Lo è l'artista astratto, come quello che invece sogna il ritorno al classicismo. Lo è il fanatico delle nuove tecnolocgie, come il teledipendente, come chi sogna di distruggere computer e cellulari per tornare alla vita agricola di inizio Novecento. Lo è l'ateo, come lo è il credente. Nel pluralismo assoluto, la ribellione è permessa e dunque non è più ribellione.
L'unico denominatore comune è, appunto, l'assenza di un vero denominatore comune, lo scollamento delle nozioni (comuni a tutti gli scolarizzati) dalla cultura in cui esse vengono calate (per ciascuno diversa), il risultato del trionfo dell'erudizione di tipo scientifico sulla formazione di tipo classico. Distinzione he non va intesa, però, come la vecchia dicotomia tra le discipline classiche e quelle scientifiche: c'è un abisso nello studio "scientifico-formale" del latino e quello di tradizione rinascimentale che cercava nelle letterature antiche dei contenuti, perfino nelle forme. Si devono oggi conoscere i classici, ma nessuno pretende che li si faccia diventare un bagaglio della propria cultura (intesa, come sempre, come modo di sentire e di pensare).
Odifreddi si colloca in un filone esasperato di questa corrente quando predica l'inutilità della letteratura. Non si deve più imparare, dunque, per formare l'individuo, ma per apprendere nozioni di rilevanza pratica immediata e poter lavorare tutti insieme nella costruzione del mondo della scienza e della tecnica sognato da Comtes e dai positivisti. Il resto è divertimento.
A proposito di divertimento, fa bene ricordare a chi la pensa come Odifreddi, ma anche a chi non la pensa come lui, che in una civiltà diversa, dove l'erudizione era considerata inutile se non inserita in un contesto culturale, Pascal aveva definito divertimento (divertissement) tutto ciò che non forma l'individuo, ma lo distoglie dal pensare alla sua condizione miseramente umana (e, aggiungiamo, gli fa credere nei "veri miracoli" di cui parla Odifreddi). E, da uomo di scienza, ci avrebbe inserito anche la pura e semplice erudizione scientifica.



1 - Una nota, per essere puntigliosi: Newton forse non aveva tempo da perdere con la letteratura, ma di certo ne ha perso tanto in studi esoterici e astrologici. Ci rallegriamo, perché Odifreddi, più saggiamente, ha sempre dimostrato molto interesse per la prima e nessuno per i secondi, motivo per cui purtroppo (stando alle sue parole) non diventerà mai come Newton. Per sua fortuna.

2 commenti:

  1. Sì, ma credo che il problema di fondo credo sia nella concezione idolatrica della scienza. Odifreddi dice che la scienza dovrebbe sostituire la religione perchè non capisce che la scienza nella sua conformazione moderna non dà più risposte di senso. Non può nemmeno dimostrare sicentificamente che la sua stessa esistenza sia necessaria e degna, figuriamoci se può rispondere alle domande sull'uomo.

    Invece per lui la scienza è onnipotente, e come se non bastasse si tratta anche di una scienza degredata al cosidetto "utile". Cioè alla tecnica, non all'amore per la conoscenza tout court. Anche qui Odifreddi non capisce che questa degradazione è una delle cause della crisi attuale della scienza, in cui per esempio è ormai impensabile finanziare una ricerca che non presenti subito la possibilità di applicazioni tecniche. Questo, non la religione è il problema. Paradossalmente i nemici della scienza sono i suoi instancabili paladini...

    RispondiElimina
  2. La tecnica senza dubbio ha una sua utilità e le dobbiamo molto. Ma la tecnolatria rischia, come ho detto, di non creare più esseri umani, ma ingranaggi di mercato: imparare per produrre per guadagnare per consumare. Un mondo del genere è il contrario di quel mondo di persone capaci di pensare con la propria testa che Odifreddi dice di volere.
    Poi, però, Odifreddi stesso si contraddice, vista la sua profonda cultura umanistica (di cui non posso che rendergli atto e merito: basta leggere la sua trattazione di Borges) che può solo far finta di dimenticarsi.

    RispondiElimina