martedì 28 settembre 2010

Il caso turco, la democrazia e la laicità

La laicità dello Stato è un principio cardine della convivenza pacifica di cittadini di religioni diverse ed è l'unica garanzia di vera uguaglianza davanti alla legge. E' stata proprio la laicità esasperata della repubblica turca a farci vedere quella nazione, almeno da noi occidentali, come la più vicina ai nostri valori tra quelle mediorientali (escludendo Israele) e per lo stesso motivo l'insediamento al governo di AKP e del suo leader Erdogan fu salutato con sconcerto dalle opinioni pubbliche europee, in cui era aperto il dibattito sull'ingresso della Turchia nella UE. Oggi, forse, il continuo tira e molla di Bruxelles, sommato alla crisi delle nostre economie, ha provocato un raffreddamento dell'euroentusiasmo degli anatolici che si sono stancati di attendere un via libera che non viene mai, giustificato, di volta in volta, con l'impreparazione economica, col mancato riconoscimento dell'annientamento della comunità armena nel 1915 o con la pendenza della questione curda.
La Turchia, a dire il vero, è già presente in un'organizzazione europea, il Consiglio d'Europa, e aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo (CEDU), sul cui rispetto veglia l'apposita Corte di Strasburgo. Gran parte del contenzioso turco davanti a questo tribunale ha riguardato le leggi kemaliste di laicizzazione dello Stato: alla nascita della Repubblica Turca, il padre della patria Mustafa Kemal impose l'uso dell'alfabeto latino, la trasformazione della religione in fatto privato, il divieto di circolazione col velo islamico negli edifici pubblici e altre misure di laicismo forzato, incluso un apparato militare tentacolare finalizzato allo scioglimento di tutti i partiti antilaicisti e la repressione del dissenso di matrice etnica (per via delle minoranze greche, georgiane, curde e armene ancora rimaste) e religiosa. Ebbene, queste leggi laiciste sono sempre state protette e tutelate dalla Corte, nonostante violassero palesemente il testo della CEDU, con la giustificazione della necessità di impedire un rovesciamento della repubblica laica da parte di gruppi confessionali.
L'ascesa dell'AKP, l'attuale partito di governo, fu contrastata appunto dai militari che vedevano in questa formazione una minaccia alla laicità dello Stato. E, in effetti, attualmente la laicità turca sta venendo radicalmente riformata, stravolta, secondo i laicisti, probabilmente con grande sollievo di quelle studentesse cacciate dalle università perché desideravano portare il velo o di coloro a cui l'attività politica è stata per decenni interdetta per via delle loro idee difformi da quelle dei kemalisti. L'unica religione di Stato in Turchia, si dice, è l'essere turchi.
A inizio mese, Erdogan ha incassato il più grande successo della sua carriera politica grazie al sì ottenuto nel referendum per la modifica della costituzione repubblicana. La riforma verte su una democratizzazione dello Stato, su un alleggerimento delle misure del laicismo e anche qualche concessione alle minoranze etniche, che fino ad ora erano più o meno relegate ad una cittadinanza di serie B per via del loro non essere integrate nella nazione turca. I risultati del referendum sorprendono soprattutto per la distribuzione geografica dei consensi: l'interno, agricolo e asiatico, ha votato per il sì alla democratizzazione, mentre le città della costa (eccetto Istambul) della Turchia "moderna" hanno scelto il no.
Tutto questo fa crollare gran parte degli schemi mentali di noi occidentali, che tanto ci siamo battuti negli anni passati (anche tramite la Corte di Strasburgo, un nostro tribunale che giudicava coi nostri parametri le faccende turche) per favorire la parte moderna della Turchia contro quella più arretrata, da noi vista come un ostacolo alla marcia di quella nazione verso il progresso. Adesso, invece, siamo costretti a vedere come riforme che avvicinano quella costituzione alle nostre di democrazia pluralista siano state osteggiate proprio da quei migliori che noi avevamo sostenuto.
Dobbiamo rassegnarci, forse, a capire che la democrazia è un modello formale che non è detto che debba essere utilizzato solo come una macchina di espansione dell'Occidente, ma che magari può essere utile in scenari culturali diversi per meglio venire incontro ai bisogni e alle aspirazioni delle genti del luogo. La Turchia, a quanto pare, ha più bisogno del diritto di far parte della propria comunità d'appartenenza che del livellamento e dell'individualismo di origine nostrana.

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