sabato 4 settembre 2010

Hawking e Dio: una storia tormentata

Hawking ha cambiato idea: Dio non c'entra più nulla col Big Bang e la nascita dell'Universo si può spiegare benissimo unicamente con le leggi fisiche. Gli atei italiani sono in festa, a partire dal loro mentore Pirgiorgio Odifreddi, il quale ha esclamato che era ora, anzi, che il famoso astrofisico giungesse a questa conclusione, scontata da molto tempo. Comunque è un ulteriore colpo alla religione e alle superstizioni che essa diffonde.
Per una volta concordo con Odifreddi: invece di altalenare per decenni con le sue dichiarazioni Dio c'è, Dio non c'è, in un poco serio carosello teologico-pseudo-scientifico, l'astrofisico avrebbe potuto dire fin dal primo momento che forse sì, i fenomeni scientifici possono e devono spiegarsi unicamente con motivazioni scientifiche. Un paradosso per un credente? Forse no.
Hawking ha peccato infatti per ben due volte d'orgoglio. La prima quando affermò di aver trovato Dio nel Big Bang, quando, per definizione, Dio è l'essere infinito e incommensurabile, impossibile da comprendere dalla mente umana che (per sua stessa natura) è limitata e può solo dedicarsi alla conoscenza del limitato. La seconda quando, adesso, ci insegnerà ex cathedra che Dio non serve nel suo modello scientifico e dunque non esiste, perché non ha un posto tra le cose esistenti.
Abbastanza carino che, come al solito, un nostro piccolo e debole simile, che conosce molto poco della realtà in cui vive (perché attualmente la scienza conosce molto poco della realtà che studia) si metta a pontificare su cosa possa esistere e cosa non possa esistere nell'Universo: se nel suo modello matematico c'è bisogno della spintarella, allora ecco che è pronto il Creatore a tappare il suo buco (tipica scorciatoia di chi non sa di non sapere); ma non appena qualcuno appena più desideroso di conoscere di lui riempie il buchetto, ecco che lo scienziato-teologo, sciamano della religione razionale a cui la modernità si sta votando, è pronto ad espungere l'intervento metafisico per fare professione di ateismo militante, per la gioia degli Odifreddi di turno.
Purtroppo non stiamo parlando del primo venuto, ma di una delle menti più illustri del nostro tempo, che dimostra in questo modo tutta la propria, spesso dagli osservatori profani ignorata, umanità. Così è facile che chi a casa fa fatica a trovare gli occhiali da vicino si metta a gridare di aver trovato Dio, per poi, una volta trovate le sue benedette lenti, capire di non aver trovato un bel niente, che tutto sarebbe stato spiegabile in modo molto più semplice.
In questi casi la considerazione giusta da fare è "sono un umano fallibile", oppure "ecco, questo significa che sono in grado di comprendere tutto l'Universo"?

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