lunedì 27 settembre 2010

La veridicità di una lettera e l'analisi storica delle fonti

Supponiamo di ritrovare un papiro fino ad oggi sconosciuto in cui si afferma nero su bianco, a firma di un noto storiografo dell'epoca, che nel III secolo dopo Cristo un navigatore romano sia giunto su un'isola al di là dell'Oceano Atlantico dopo mesi di navigazione: quanti di voi griderebbero che questa sarebbe la prova dell'esistenza di una colonia di antichi romani in America? Sicuramente nessuno dotato di una minima tecnica di analisi delle fonti.
Sappiamo tutti benissimo che chi afferma qualcosa potrebbe benissimo mentire e che chi sostiene di essere qualcuno non è da escludersi che possa essere semplicemente un impostore. Ed è su queste due banalissime considerazioni che parte la ricerca storica nell'analisi di un qualsiasi documento che ci giunge (almeno apparentemente) dal passato. E solo una volta superato questo esame si può cercare di comprendere cosa il documento può o meno implicare.
Per prima cosa si deve capire se il documento è autentico, ovvero se l'ha scritto davvero chi sembra averlo prodotto. Supporto scrittorio, grafia, lingua, stile, datazione e altri aspetti più o meno oggettivi possono aiutarci a comprendere l'autenticità, senza per questo dirci nulla circa la veridicità dello scritto. Per esempio, un foglio che si autodefinisce un dispaccio di epoca napoleonicam ma che viene datato come del 1990 può benissimo contenere un'informazione vera, come la vittoria o la sconfitta dell'Imperatore francese in una data battaglia.
Ugualmente, un documento può essere autentico, ma non veridico: supponiamo, per esempio, di essere nel futuro e di voler tratteggiare un ritratto storicamente plausibile della figura di Silvio Berlusconi avendo a disposizione la raccolta completa delle edizioni delle 19:00 del TG4, confidando nella certezza che le nostre fonti sono autentiche dell'epoca. Chi comunica, sappiamo, è una persona che inserisce all'interno dei propri messaggi le proprie convinzioni personali, i propri odii e le proprie passioni, che può dire o meno qualcosa a seconda delle convenienze, così come anche inventarsi di sana pianta informazioni. Serve, dunque, un'attenta analisi contenutistica per verificare la veridicità o meno del contenuto del testo antico, magari comparando ciò che leggiamo con ciò che ci dicono altre fonti, con le scoperte archeologiche, con dati di fatto incontrovertibili.
Solo giunti a questo punto possiamo decidere quali conclusioni trarre dal documento, coa sia possibile o meno dedurre dalla sua lettura. Se è autentico e veritiero, allora possiamo affidarci ad esso come ad una fonte sicura per ricostruire il fatto storico a cui si riferisce e le sue implicazioni. Se è autentico, ma mendace, allora sarà forse più utile a comprendere la persona del suo autore, i motivi che lo hanno spinto a darci un'informazione falsa. Se non è autentico, al contrario, ma veridico, allora forse ci interesserà capire perché è stato prodotto, come faceva l'autore ad essere a conoscenza della verità e perché si sia nascosto dietro una falsa identità. Perfino se il documento è falso e mendace può interessarci: perché e da chi è stato scritto?
Torniamo, quindi, al caso di partenza. Supponiamo che il papiro si riveli autentico e veridico (le due cose, come visto, non sono legate) e che quindi effettivamente un antico romano sia giunto in America. Ciò implicherebbe davvero una successiva colonizzazione del continente americano da parte di suoi compatrioti? Mancherebbero tutti gli elementi per stabilirlo e qualsiasi storico che provasse ad affermarlo si ritroverebbe screditato inevitabilmente.
Ora, una volta fatto questo esercizio, provate ad applicare queste nozioni nella vicenda di Tulliani e della sua off-shore. Esce fuori un risultato interessante.

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